A fine settembre di questo mese sarà passato un anno dall’esodo della popolazione armena cacciata dalle forze armate dell’Azerbaijan con il supporto della Turchia nel Nagorno Karabakh (si tratta della regione montuosa del Caucaso con una superficie di 4,400 chilometri quadrati). La regione è stata oggetto di un conflitto che ha radici etniche e religiose e vede contrapposti gli interessi di Armenia, Azerbaijan e Repubblica di Artsakh (nome che era stato definito per il territorio del Nagorno Karabakh).
L’autonomia di questo territorio è stata oggetto di aspre controversie belliche e di dibattito perché la questione ha origini storiche nei domini persiani, turchi e russi. Sin dal periodo dell’antica cultura transcaucasica, la regione caucasica del Nagorno Karabakh era rappresentata come parte del territorio dell’Armenia, il primo documento che descrive ciò è: “La Geografia di Strabone” (14-23 d.C.), nell’ opera l’autore sostiene che il territorio armeno si estendeva, all’epoca, dal sud della catena montuosa del Caucaso Minore, fino al sud della regione denominata Albania.
Risale al 387 d. C. l’epoca in cui l’Impero Romano e l’Impero Sassanide si divisero l’Armenia e nel 405, Mesrop Mashtots, monaco e teologo inventò l’armeno e fece nascere la Chiesa Apostolica Armena. Questo il passato. Per il recente, è necessario, prima di tutto, ricordare quanto conosciuto come il “genocidio degli Armeni” da parte dei turchi. La campagna di diffamazione contro gli armeni era iniziata già nel 1914 quando le autorità ottomane dichiararono che gli armeni che vivevano nell'impero erano una minaccia per la sicurezza nazionale. Furono le forze irregolari che iniziarono a commettere omicidi di massa nei villaggi armeni vicino alle frontiere con la Russia e nell’aprile 1915 per gli armeni ebbe inizio dell'incubo.
Le autorità turche approfittarono del gran numero di armeni chiamati alle armi per trasformarli in soldati/operai destinati a costruire strade e ferrovie mentre altri furono fucilati in trincee costruite da loro stessi. Nel 1915 il governo ottomano autorizzò a deportare chiunque fosse percepito come una minaccia per la sicurezza dello stato in forza di questo le autorità turche iniziarono le deportazioni di massa, seguite da una campagna di omicidi sistematica condotta da forze irregolari. I sopravvissuti arrivarono nei campi di concentramento ubicati nel deserto siriano in condizioni pietose. Una volta lì potevano soltanto attendere la morte per fame o per sete, o cadere sotto i proiettili dei fucili turchi.
I massacri continuarono fino al 1916 e le stime più prudenti ritengono che almeno un milione di armeni sarebbero stati assassinati nel corso delle grandi marce che il governo ottomano non poté nascondere alla vista di giornalisti, missionari, diplomatici e ufficiali stranieri, che ne informarono i rispettivi Paesi. La Turchia ancora oggi e incredibilmente, nega l’evidenza del genocidio armeno nonostante l’ampio riconoscimento internazionale.
Gli armeni subentrarono nelle provincie del Karabakh al posto dei musulmani in fuga dall’Impero Russo quando nel novembre 1920 i territori del Nagorno Karabakh furono considerati come parte della Repubblica Socialista Armena.
Dopo un periodo di relativa tranquillità, il periodo che porta alla dissoluzione dell’Unione Sovietica è il momento storico critico ed ciò porterà negli anni successivi a un vero e proprio conflitto tra le repubbliche armena e azera.
Tra il 30 aprile e il 15 maggio 1991 fu condotta un’azione militare da parte di truppe sovietiche e azere che si concretizzò nell’espulsione forzata di armeni da villaggi nelle regioni presso il confine tra Armenia e Azerbaijan. L’operazione ebbe come solo risultato quello di acuire le divisioni etniche nella regione deteriorando i rapporti già problematici tra Armenia e Azerbaijan. Il 30 agosto 1991 l’Azerbaijan si dichiarò indipendente e il 2 settembre 1991 anche il Nagorno Karabakh decise di intraprendere un processo che avrebbe portato la regione a ottenere l’indipendenza del territorio che costituì l’allora Oblast Autonomo del Nagorno Karabakh.
Nel 4 marzo 2008, dopo l’ottenimento dell’indipendenza da parte del Kosovo, il presidente azero Aliyev decise di ritirare 33 militari azeri di supporto al contingente NATO KFOR dal 1999. Questo accadde a causa della similarità tra la posizione della regione del Nagorno Karabakh e di quella del Kosovo, al ritiro militare il presidente azero dichiarò di essere pronto a ristabilire l’integrità territoriale dell’Azerbaijan attraverso l’uso della forza, allo scopo di scoraggiare le forze separatiste del Nagorno Karabakh, il cui morale e diritto di esistere erano cresciuti con l’indipendenza del Kosovo stesso.
Una nuova riapertura del conflitto si ebbe nel periodo dall’1 al 5 aprile 2016, quando vi fu la così detta guerra dei quattro giorni lungo la linea di confine a nord tra Armenia ed Azerbaijan. Il conflitto si è concluso con un accordo di cessate il fuoco che attribuiva alla Repubblica d’Azerbaijan delle conquiste territoriali modiche ma strategiche, confermando la posizione della Russia come mediatore centrale nella controversia.
Il 20 febbraio 2017 vi fu un referendum costituzionale nella Repubblica del Nagorno Karabakh, e il nome principale della Repubblica diventò quello di “Repubblica dell’Artsakh”.
Il conflitto permase in uno stato di stallo fino al 12 luglio 2020 quando ci furono quattro giorni di scontri tra Armenia ed Azerbaijan. La Turchia si dimostrò di supporto alla causa azera uscendo allo scoperto e riportando alla memoria del mondo intero il citato genocidio (olocausto) degli armeni perpetrato proprio dai turchi tra il 1915 e 1916.
Un vero e proprio scontro su larga scala si ebbe nel periodo tra il 27 settembre e il 10 novembre 2020, uno scenario di guerra durato per quarantaquattro giorni. In questo frangente fu cruciale il supporto congiunto di Turchia e Israele (per aver fornito droni). La Russia aveva invece fornito armamenti sia all’Armenia sia all’Azerbaijan, ma senza essere effettivamente coinvolta nel conflitto come alleato dell’Armenia.
La fine della guerra di quarantaquattro giorni si ebbe quando le truppe azere vinsero la battaglia di Shushi, una volta conquistata la seconda città dell’Artsakh, segui un cessate il fuoco mediato dalla Russia.
Fu previsto il dislocamento di un gruppo “peacemakers” russi anche schierati lungo il corridoio di Lachin che connetteva il Nagorno Karabakh all’Armenia passando per l’Azerbaijan. I russi raggiunsero l’area in concomitanza con il ritiro dei due eserciti.
Il coinvolgimento della Turchia tra questo conflitto è stato cruciale, giacché con l’ausilio dato alla Repubblica d’Azerbaijan si evidenziò l’indubbia volontà della Turchia di imporsi quale attore e mediatore della controversia.
Per quanto riguarda la situazione territoriale successiva al cessate il fuoco l’Azerbaijan aveva comunque ripreso i territori occupati dall’Armenia durante la Prima Guerra del Nagorno Karabakh.
Una serie di importanti violazioni del cessate il fuoco si ebbero nell’anno 2022, già dal 5 marzo vi furono scontri tra l’Esercito azero e l’Esercito di Difesa dell’Artsakh e secondo l’Armenia anche il conflitto in Ucraina e la conseguente “distrazione” della Russia hanno facilitato l’assenza di conseguenze alle violazioni azere del cessate il fuoco.
L’evento principale in violazione agli accordi si ebbe il 3 dicembre 2022, con un primo blocco del corridoio di Lachin per opera di “cosiddetti” ambientalisti azeri e in seguito l’escalation della protesta azera si concretizzò in un vero e proprio blocco al passaggio di vetture nel corridoio. Nei giorni successivi vi crearono già preoccupazioni per la scarsità dei beni di prima necessità cui era concesso di transitare nel corridoio, mentre la Repubblica d’Azerbaijan sosteneva che il blocco del corridoio costituisse una protesta spontanea per opera di alcuni ecologisti e che le persone fossero libere di muoversi in entrambi i sensi di marcia.
La protesta da parte dei falsi attivisti ambientali è terminata a fine aprile 2023 e il 19 settembre 2023 ha avuto luogo la più grave violazione del cessate il fuoco mediato nel 2020, la Repubblica d’Azerbaijan ha lanciato un attacco verso la regione del Nagorno Karabakh (quest’ultima offensiva fu giustificata come operazione antiterroristica dal Ministero della Difesa azero). La popolazione locale era stata informata che il corridoio di Lachin era stato riaperto per favorire l’evacuazione delle zone colpite dagli attacchi e già durante la prima giornata del conflitto molti degli obiettivi militari appartenenti all’esercito di difesa della piccola repubblica sono stati distrutti. L’esercito armeno e il contingente di peacekeeping russo non sono stati coinvolti nel conflitto. La veloce offensiva dell’esercito azero, supportato dalla Turchia e da consiglieri militari israeliani, ha quindi portato alla sconfitta dell’esercito di difesa dell’Artsakh e la conseguente firma di un nuovo cessate il fuoco il giorno 20 settembre.
Il cessate il fuoco firmato tra i rappresentanti della popolazione armena del Nagorno Karabakh e l’Azerbaijan è stato incentrato sul disarmo dell’esercito di difesa dell’Artsakh e sulla dissoluzione della repubblica autonoma, con la conseguente reintegrazione della regione sotto la sovranità dell’Azerbaijan (la dissoluzione della Repubblica dell’Artsakh è stata decretata con effetto dal 1° gennaio 2024).
L’esodo della popolazione di etnia armena dal Nagorno Karabakh è avvenuto dal 24 settembre 2023 al 3 ottobre 2024, l’ottanta percento della popolazione, pari a più di centomila persone, è scappata per il corridoio di Lachin che era stato appositamente aperto, mentre nel frattempo le forze armate e di polizia azere stabilivano il controllo sull’intera regione. Si può quindi affermare, senza tema di smentita, che si è trattato di una vera e propria pulizia etnica della regione sponsorizzata del presidente turco Erdogan.
Ad aprile 2024, si è tenuto a Yerevan un incontro multilaterale tra la presidente della commissione europea Von Der Leyen, il segretario di stato americano Blinken, l’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri Borrell, ed il primo ministro armeno Pashinyan. In quell’occasione l’UE ha confermato il suo supporto verso l’economia e le istituzioni armene: la stessa UE a e gli USA hanno anche espresso il loro supporto all’Armenia nel provvedere al benessere degli sfollati armeni ed il loro reintegro (in Armenia).
All’argomento del rientro e reintegro degli sfollati armeni in Nagorno Karabakh non è stato dato seguito. La questione sembra essere stata rimossa dall’agenda di UE e USA, gli unici attori internazionali che avrebbero potuto fare pressione sull’Azerbaigian al riguardo. D’altronde anche in passato, prima del grande esodo del 2023, non si erano mostrati particolarmente attenti alla possibile sorte degli armeni del Karabakh. Nei primi giorni di settembre 2023, per esempio, gli Stati Uniti dichiararono che non avrebbero tollerato la “pulizia etnica” degli armeni del Karabakh. Ma, come indicato, solo pochi giorni dopo, l’operazione militare dell’Azerbaigian portò alla “pulizia etnica” degli Armeni dal Karabakh, senza che Baku subisse alcuna ripercussione americana. L’Unione Europea, d’altro canto, appare evidentemente più interessata ad importare ulteriore gas azero, per compensare la diminuzione di quello russo, piuttosto che alla sorte degli armeni del Karabakh e anche in Armenia si ritiene, da molti, non realistica (se no nulla) la possibilità di un ritorno in Karabakh degli sfollati armeni.
Per quanto riguarda in nostro paese, a inizio settembre, in una visita del presidente azero Aliyev a Roma, lo stesso, dopo un cordiale incontro con il presidente del Consiglio Meloni, ha rilevato che i rapporti tra i due paesi sono ottimali e che il nostro paese sia il primo partner commerciale azero.
Aliyev ha tenuto a confermare che l’Azerbaijan svolge un ruolo fondamentale per la sicurezza energetica dell’Europa e dell’Italia. Non dimentichiamo che il gas azero arriva in Puglia e poi è distribuito in buona parte del “Vecchio Continente”.
Foto: presidenza del consiglio dei ministri / web / official web-site of the president of the republic of Azerbaijan