La capacità anfibia come strumento di proiezione di Esercito e Marina

(di Filippo Del Monte)
29/10/24

Nell’ambito dell’esercitazione AMPHEX 24, il commander amphibious task force della terza divisione navale della Marina Militare ha condotto la proiezione a terra della joint landing force, guidata dalla brigata Pozzuolo del Friuli dell’Esercito Italiano, integrata con personale e assetti della brigata marina San Marco. L’esercitazione ha sancito la certificazione operativa della capacità di proiezione dal mare della Difesa ed è stata un esempio importante di integrazione tra reparti delle forze terrestri e navali.

Già durante l’esercitazione “Mare Aperto” del giugno scorso i due dispositivi avevano collaborato per consentire alla brigata Pozzuolo del Friuli di acquisire le necessarie capacità di collaborazione con le forze anfibie della Marina in vista di AMPHEX 24. Lo stato maggiore della Difesa sta, infatti, lavorando da qualche tempo allo sviluppo di una “Full Operational Capability” congiunta per Esercito e Marina, che ha ottenuto il primo importante risultato proprio con l’ultima esercitazione.

Parte del dibattito ritiene che l’evoluzione delle armi di precisione (ASCM, missile da crociera antinave, e SAM, missile superficie-aria) e la diffusione sempre maggiore dei dispositivi unmanned “di sciame” abbiano definitivamente archiviato la possibilità di effettuare sbarchi di grandi unità in un’area costiera contesa. I riferimenti dottrinari ed operativi al teatro dell’Indo-Pacifico e, specificamente, agli arcipelaghi del Mar Cinese Meridionale appaiono abbastanza chiari. Così, mentre negli Stati Uniti si sta puntando ad una riforma – che è, poi, una riproposizione dei compiti per i quali è nato – del corpo dei Marines, alleggerendone specifici assetti e trasformandolo in una forza specializzata in operazioni anfibie di “early entry”; in Italia si sta puntando sull’integrazione delle fanterie anfibie di Esercito e Marina, sostenute da forze corazzate ed elicotteri sia multiruolo che da attacco.

Come ha osservato Clifford Weinstein, colonnello degli U.S. Marines, non si può escludere che nel XXI secolo gli sbarchi e le operazioni anfibie in generale siano, prima che l’inizio di una campagna terrestre, parte di un più ampio quadro operazionale di carattere marittimo. In altre parole, si sta dicendo che quelle anfibie siano operazioni congiunte terrestri e navali afferenti al dominio marittimo. Controllo della fascia costiera e dell’immediato entroterra, distruzione delle batterie antiaeree e antinave nemiche, controllo dei punti di passaggio obbligati e lotta al traffico mercantile avversario sono, in estrema sintesi, gli obiettivi che con un’operazione anfibia dovrebbero essere raggiunti.

È chiaro che dal punto di vista tattico-operativo, nella fase di ingresso nell’area contesa il dispositivo da sbarco dovrebbe essere dotato di elevata potenza di fuoco e mobilità, ma anche di appoggio costante nella “terza dimensione”. Senonché, ad essere essenziale sarà la capacità di incidere in profondità, ben oltre l’area di sbarco, attraverso l’acquisizione e la neutralizzazione delle minacce missilistiche al dispositivo navale, che non potrebbero essere garantite solo dall’azione degli aerei imbarcati o dal lancio di SSM (Surface-to-Surface Missile).

Foto: Marina Militare / U.S. Marine Corps