Entro il 2016 saranno realizzati 53 F-35 per una flotta, al prossimo 31 dicembre, di poco superiore le 200 unità. Quando lo stabilimento della Lockheed Martin raggiungerà la capacità di produrre 17 caccia tattici al mese, entro il 2020, nel mondo voleranno già 600 F-35, 180 dei quali con i partner del programma.
Nella sola catena di montaggio di Fort Worth, nel Texas, lavorano 2.200 operai specializzati, supportati da altri 1.500 dipendenti della società. In attesa di capire in cosa evolverà lo JSF, analizziamo il programma secondo le attuali stime ufficiali.
Ogni singolo F-35 è composto da 300 mila componenti e 16 miglia di cavi forniti da 1100 fornitori in patria e all’estero. Le fusoliere centrali sono realizzati dalla Northrop Grumman a Palmdale, in California e dalla Turkish Aerospace Industries ad Ankara, in Turchia. La sezione poppiera è realizzata da BAE Systems, in Gran Bretagna. In definitiva, solo il 50% dei componenti del velivolo sono realizzati negli Stati Uniti. L’F-35 sarà costruito in tre principali stabilimenti. Oltre a quello della Lockheed Martin di Fort Worth, gli F-35 saranno realizzati a Cameri, in Italia, dove Alenia Aermacchi ha terminato il suo primo caccia lo scorso anno ed in Giappone. Il primo assemblaggio negli impianti di Nagoya si concluderà il prossimo anno. Per mantenere gli strumenti opportunamente calibrati, la temperatura interna degli stabilimenti è sempre di 22 gradi.
Tra le direttive del Pentagono, oltre alle specifiche tipiche di un caccia tattico a bassa osservabilità, vi era l’esigenza di una linea principale di volo formata da tre versioni dello stesso caccia che avrebbero dovuto condividere il 70% delle parti in comune.
Il programma Joint Strike Fighter nasceva con l’obiettivo di sostituire le otto principali famiglie di piattaforme in servizio con gli Stati Uniti con tre varianti dell’F-35: la versione A per l’Air Force, la B con un sistema propulsivo diverso per il Corpo dei Marine e la C ottimizzata per l’US Navy.
La speranza del Pentagono era quella di avere una sola piattaforme in grado di sostituire F-15 e F-16 nel dogfight. In grado di eccellere nel ruolo CAS in sostituzione dell’A-10 e che fosse in grado di rilevare l’intera flotta Hornet. A supporto dei Marine, l’F-35 avrebbe rimpiazzato l’Harrier. L’innegabile vantaggio economico di una sola piattaforma avrebbe incrementato l'efficienza nella produzione e formazione, risparmiando centinaia di miliardi di dollari. Il Pentagono, se avesse avuto quella piattaforma polivalente, avrebbe stornato le somme risparmiate negli altri programmi della Difesa.
Un caccia per certi versi modulare, in grado di essere modificato in tempi relativamente brevi, forte di quel 70% dei sistemi in comune tra le tre versioni dello stesso caccia. Quel 70% di parti in comune tra le tre varianti, si è rivelato impossibile da raggiungere. Oggi, grazie anche alle continue specifiche che ogni ramo delle forze armate ha preteso nella propria variante, le versioni A, B e C dell’F-35 sono per lo più incompatibili tra di loro. Le tre versioni hanno soltanto il 20/25% delle parti in comune.
Ad esempio, l'ala dell’F-35 della Marina, realizzata per tollerare le operazioni a bordo delle portaerei, è il 40 per cento più grande dell’ala della variante A e B. Per realizzare il primo F-35 nel 2006 sono state necessarie 160 mila ore di lavoro. 140 mila per l’F-35B e 130 mila per l’F-35C. L’ultimo F-35A uscito dalla catena di montaggio ha richiesto 43 mila ore.
Mediamente, ogni F-35 costa 100 milioni di dollari. Lockheed ha promesso un taglio di venti milioni a piattaforma entro il 2019.
(foto: Lockheed Martin)