Nel giornalismo indipendente, oltre a tante amarezze, ogni tanto ci si imbatte in episodi davvero spassosi. L'ultimo merita di essere raccontato.
Lo scorso febbraio un collega con diverse esperienze all'estero, anche al seguito delle nostre forze armate, ha scritto per Difesa Online un approfondimento sugli “embedded”, i giornalisti che vengono ospitati - gratuitamente - nelle missioni militari.
Una figura storica e di notevole importanza, come ha correttamente argomentato nel suo pezzo “Frank Montana” (leggi articolo). Peccato che, a chiusura, abbia svelato un segreto di Pulcinella (almeno per gli addetti ai lavori):
“Peccato che negli ultimi anni la possibilità di seguire le forze armate italiane da embedded sia stata, se non azzerata, "di molto ridotta". Come costume dei militari, non vogliamo qui sindacare precise scelte politiche...”
Apriti cielo! Il giorno stesso della pubblicazione abbiamo ricevuto lodi e sostegno da moltissimi giornalisti. Colleghi a cui abbiamo risposto “ma se tutti sapevate e non eravate d'accordo, perché abbiamo dovuto essere noi a sollevare per primi la questione...?”
“Perché ora col ….. che vi porteranno in un teatro operativo!”, in sintesi la risposta generale. Dal momento che i governi, nonostante qualcuno lo pensi, non sono (più...) eterni e che ad essere embeddati da anni abbiamo rinunciato anche solo a sperare, la replica ci ha lasciati sobriamente indifferenti.
Ma torniamo all'articolo. Tra le migliaia di lettori, c'è evidentemente stato qualcuno della commissione difesa (Movimento 5 Stelle in particolare) che non è stato a guardare e ha chiesto maggiori informazioni al ministro della difesa, attraverso un'interrogazione...
Interrogazione a risposta in commissione 5-10683
presentato da
RIZZO Gianluca
testo di
Giovedì 23 febbraio 2017, seduta n. 747
RIZZO, BASILIO, CORDA, FRUSONE e TOFALO. — Al Ministro della difesa, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
gli «embedded» sono dei giornalisti specializzati in materie particolari, che seguono i militari nelle loro missioni nei teatri operativi e nelle esercitazioni;
la loro funzione è quella di scrivere, produrre video, reportage e convegni sul complesso mondo delle attività militari facilitando la conoscenza dell'opinione pubblica che, attraverso il loro prezioso lavoro, è in grado di capire come vengono spesi i soldi destinati alla Difesa e come sono apprezzati, per preparazione e capacità, i militari italiani dalle altre nazioni e dalle popolazioni locali;
i giornalisti «embedded» viaggiano e seguono le forze armate nei teatri operativi, tra l'altro, senza incidere nei bilanci del Ministero della difesa, in quanto sono inviati dalle testate giornalistiche per cui lavorano o agiscono in proprio in qualità di freelance;
la normativa attuale prevede per i giornalisti che richiedessero di realizzare dei servizi sui contingenti impegnati nelle missioni di «fornire la necessaria assistenza ai media accreditati (compresa l'eventuale ospitalità e appoggio logistico) solo previa autorizzazione dell'Ufficio di pubblica informazione dello Stato Maggiore Difesa (SMD-PI) unico referente per l'accreditamento in teatro. Gli ufficiali PI in teatro devono assistere gli operatori dei media in tutte fornendo su esplicita disposizione informazioni, materiale fotografico, documentazione e organizzando visite presso i reparti nazionali, previa la firma di una dichiarazione liberatoria»;
SMD-PI si prodiga ogni anno per realizzare corsi di formazione in accordo con la Federazione nazionale della stampa italiana (FNSI), la Fondazione Cutuli ONLUS e con l’Institute for Global Studies (IGS) per addestrare gli organi di stampa ad affrontare le aree di crisi;
un articolo di stampa apparso su «difesaonline.it» titola «C'ERANO (UNA VOLTA) GLI “EMBEDDED”», e, giustamente specifica che «i militari, dunque, potrebbero usare gli scritti degli embedded, anche con le varie critiche, per migliorarsi o per capire quello che occhi diversi da loro hanno rilevate sul campo. È un valore aggiunto importantissimo e prezioso»;
sembra agli interroganti che si stia accendendo un forte dibattito tra chi richiede di poter seguire le attività delle forze armate nei vari scenari operativi ove essi vengono inviati e lo Stato Maggiore della Difesa; infatti, l'articolo giornalistico così conclude: «Peccato che negli ultimi anni la possibilità di seguire le forze armate italiane da embedded sia stata, se non azzerata, “di molto ridotta”. Come costume dei militari, non vogliamo qui sindacare precise scelte politiche (...)» –:
quanti giornalisti ed operatori della comunicazione abbiano svolto attività a seguito delle forze armate italiane negli ultimi 20 anni, indicando, per ogni anno, in quale teatro operativo estero, e quanti di essi fossero già appartenenti alle forze armate. (5-10683)
La risposta è stata sconvolgente.
Risposta scritta pubblicata Giovedì 30 marzo 2017
nell'allegato al bollettino in Commissione IV (Difesa)
5-10683
In risposta al quesito posto dall'interrogante ritengo di poter affermare che la Difesa ha sempre incoraggiato senza riserve, in totale trasparenza e con i soli limiti imposti dalla sicurezza operativa, ogni attività mediatica tesa a documentare, in Patria e fuori, l'operato dei nostri soldati per la comune sicurezza. Come si potrà infatti desumere dalle informazioni che sto per condividere, il Dicastero ha garantito ai giornalisti – e anche a scrittori – fattivo supporto e piena accoglienza in tutti i più importanti teatri d'operazione.
In particolare, le attività della Difesa a favore dei media sono documentate a partire dal 2002, anno nel quale la prassi fu regolamentata al fine di armonizzare le esigenze mediatiche con quelle di natura operativa. Dal 2002 ad oggi, lo Stato Maggiore della Difesa ha inviato 2305 rappresentanti degli organi d'informazione in 16 teatri d'operazione. L'elenco completo, per economia di tempo e per una più agevole consultazione, ho ritenuto opportuno produrlo come annesso alla presente risposta.
Ai numeri poc'anzi menzionati vanno poi aggiunti i numerosi media che hanno svolto attività nelle diverse zone d'operazione al seguito dei Ministri della Difesa e delle altre cariche istituzionali (Presidente della Repubblica, Presidente del Consiglio, Presidenti delle Camere e titolari di altri Dicasteri) nel corso delle loro visite ai Contingenti nazionali. A tutti costoro la Difesa ha fornito, nel rispetto della sicurezza operativa, ogni informazione utile e tutta l'assistenza tecnica e logistica necessaria a svolgere la propria attività.
Ma non solo. Mi preme altresì evidenziare che, oltre agli operatori dell'informazione poc'anzi citati, il Dicastero ha supportato altresì i media che hanno voluto raggiungere i teatri operativi in maniera autonoma e che, avvalendosi delle cellule Pubblica Informazione dei contingenti militari, sono riusciti a svolgere il loro lavoro in maniera efficace, come testimoniano i numerosi servizi e reportage realizzati.
A commento dei dati appena illustrati, e in risposta ai quesiti sollevati dall'interrogante, va precisato che il flusso dei giornalisti verso i diversi teatri non è riconducibile a parametri costanti nel tempo essendo, al contrario, in funzione di molteplici fattori, quali:
la sicurezza operativa, variabile nel tempo e nello spazio e principale elemento di valutazione da parte del Comandante di contingente sulla fattibilità di ogni attività mediatica;
l'interesse giornalistico per una determinata area di crisi, che varia a sua volta in base alle diverse fasi di un'operazione (apertura – consolidamento della missione – chiusura) e in relazione ad eventi di particolare rilievo di natura operativa, istituzionale o sociale;
l'assenza di criticità cicliche quali, ad esempio, avvicendamenti di Contingenti, etc.;
la disponibilità di vettori aerei;
la ricettività logistica dei teatri d'operazione, determinante in particolar modo per i teatri di recente apertura, grandi catalizzatori dell'attenzione mediatica, ma raramente idonei a sostenere regolari afflussi di giornalisti, nonostante il costante impegno della Difesa;
non ultimo, la crisi economica dell'editoria, che ha fortemente limitato afflussi e permanenze dei media nei teatri.
Prescindendo tuttavia dalle variabili che possono aver inciso sul flusso mediatico verso i teatri operativi, ritengo che i dati forniti e le considerazioni svolte evidenzino una sola costante: il massimo supporto che la Difesa garantisce nei confronti dei giornalisti impegnati a documentare l'operato dei militari italiani per la sicurezza e per la stabilità di tutti. Riteniamo tale supporto sia un atto sentito prima che dovuto verso gli organi di informazione, verso l'opinione pubblica e verso i nostri stessi soldati.
ELENCO DEI GIORNALISTI CHE HANNO SEGUITO A CURA DELLA DIFESA LE ATTIVITÀ DEI CONTINGENTI ITALIANI NEI TEATRI OPERATIVI
Anno 2002: 16, di cui 7 in Afghanistan, 1 in Albania, 3 in Bosnia, 2 in Etiopia/Eritrea e 3 in Kosovo;
Anno 2003: 75, di cui 17 in Afghanistan, 55 in Iraq e 3 in Kosovo;
Anno 2004: 189 di cui 30 in Afghanistan, 3 in Albania, 9 in Bosnia, 1 in Etiopia/Eritrea, 119 in Iraq, 26 in Kosovo e 1 in Oceano Indiano;
Anno 2005: 206 di cui 104 in Afghanistan, 1 in Albania, 28 in Bosnia, 37 in Iraq, 26 in Kosovo, 2 in Libano, 1 a Malta, 1 in Palestina e 6 in Sudan;
Anno 2006: 261 di cui 48 in Afghanistan, 6 in Bosnia, 37 in Iraq, 43 in Kosovo, 127 in Libano;
Anno 2007: 162 di cui 68 in Afghanistan, 11 in Bosnia, 35 in Kosovo e 48 in Libano;
Anno 2008: 112 di cui 43 in Afghanistan, 4 in Bosnia, 3 in Chad, 6 in Iraq, 37 in Kosovo e 19 in Libano;
Anno 2009: 215 di cui 122 in Afghanistan, 4 in Bosnia, 5 in Chad, 27 in Iraq e 57 in Libano;
Anno 2010: 212 di cui 94 in Afghanistan, 2 in Bosnia, 3 ad Haiti, 12 in Iraq, 54 in Kosovo e 47 in Libano;
Anno 2011: 224 di cui 150 in Afghanistan, 37 in Kosovo e 37 in Libano;
Anno 2012: 194 di cui 109 in Afghanistan, 19 in Kosovo, 63 in Libano e 3 in Oceano Indiano;
Anno 2013: 159 di cui 85 in Afghanistan, 26 in Kosovo e 48 in Libano;
Anno 2014: 158 di cui 68 in Afghanistan, 1 in Centrafrica, 41 in Kosovo, 47 in Libano e 1 in Somalia;
Anno 2015: 56 di cui 6 in Afghanistan, 1 in Centrafrica, 6 in Iraq, 12 in Kosovo, 30 in Libano e 1 in Somalia;
Anno 2016: 46 di cui 6 in Afghanistan, 1 a Hebron, 31 in Iraq, 3 in Kosovo e 5 in Libano;
Anno 2017 (dato parziale, aggiornato al mese di marzo): 19, di cui 7 in Iraq, 1 in Kosovo e 11 in Libano.
Ho detto “sconvolgente” per diverse ragioni:
- perché chi ha redatto il testo si è aggrappato agli specchi per trovare una giustificazione “tecnica” a scelte ancor più evidentemente “politiche”;
- perché, finalmente, ha reso pubblici dei dati che in precedenza erano “cordialmente ed informalmente” negati;
- perché nel rispondere “il flusso dei giornalisti verso i diversi teatri non è riconducibile a parametri costanti nel tempo essendo, al contrario, in funzione di molteplici fattori, quali: la sicurezza operativa, variabile nel tempo e nello spazio e principale elemento di valutazione da parte del Comandante di contingente sulla fattibilità di ogni attività mediatica”, si finge di non vedere che, al contrario (v. grafico come esempio), il numero di giornalisti presenti nelle aree di crisi ha seguito fedelmente l'aumento e non la riduzione del rischio operativo;
- perché “l'interesse giornalistico per una determinata area di crisi” va lasciato ai media, non di certo a chi riceve una richiesta di embedding e non la asseconda...;
- perché le fasi di avvicendamento dei contingenti in area operativa sono noti e “comprensibilmente” riducono la presenza dei media nel periodo di passaggio di consegne, tuttavia i responsabili militari dei rapporti con i reporter sono oramai dei veri e propri “veterani di guerra”, non hanno di certo bisogno di un mese o due per “ambientarsi” (e se anche fosse, i rimanenti 8/10 mesi?);
- perché riguardo alla “disponibilità di vettori aerei”, vogliamo verificare l'effettivo coefficiente di riempimento dei voli? Per non parlare di quelli “vip”, con a bordo i vertici politici dalle cui gagliarde parole di conforto deriva la tenuta dei soldati che si fanno la doccia con una bottiglietta d'acqua nelle FOB (forward operating base) o nelle COP (combat outpost) afgane...
- perché infine è lampante come con l'assunzione dell'incarico da parte dell'attuale ministro gli embedding siano crollati dai 158 del 2014 ai 56 del 2015 fino ai 46 del 2016.
Ma c'è di più e questa è la sorpresa più grave. Anni addietro, correva l'anno 2006, il governo Prodi si resse su una risicatissima maggioranza, tempi in cui il malumore di uno qualsiasi dei parlamentari dell'eterogenea maggioranza avrebbe potuto far cadere il governo. Quello, a memoria di tutti i militari che si occupavano con entusiasmo, professionalità e passione di pubblica informazione e comunicazione, fu a lungo definito un “annus horribilis”, una sostanziale censura ordinata dalla presidenza del consiglio. Ebbene, ci accorgiamo ora che quel violento e traumatico taglio di un centinaio di giornalisti - dai 261 nel 2006 ai 162 nel 2007 - è stato ben poca cosa se paragonato ai 46 del fondo toccato nel 2016 con l'era Pinotti.
E almeno Prodi era, se non giustificabile, almeno comprensibile.
Mi auguro che, in una prossima eventuale occasione, sia il ministro stesso a rispondere delle personali decisioni politiche e non mandi un sottosegretario. Per due motivi. Il primo è che ogni politico dovrebbe assumersi la responsabilità delle proprie decisioni ed, eventualmente, difenderle anche di fronte alle peggiori critiche, se convinto. Il secondo è che gli attuali sottosegretari alla difesa hanno esperienza diretta dell'encomiabile lavoro di trasparenza attuato dalle forze armate nei confronti dei concittadini: l'on. Alfano è figlio di un appuntato dei carabinieri e l'on. Rossi un generale di corpo d'armata dell'Esercito.
Caro ministro Pinotti, detto fra noi, piuttosto che far rispondere in quella maniera e con quei dati, non era meglio censurare anche quella risposta?
(foto: ministero della difesa)