"Il ragazzino di Sasso di Castalda"

(di Axel)
04/10/17

Erano pochi fotogrammi. Quelli che ritornavano quando meno se lo aspettava. Era passato molto tempo, ma ogni tanto tutto si fermava e quei fotogrammi ritornavano.

Uno

Quel giorno non era come tutti gli altri, gli avrebbero comunicato se sarebbe potuto rientrare in servizio; era mesi che vestiva in borghese e ciò gli sembrava molto poco familiare. Da molto tempo chiedeva, in ogni occasione in cui qualche medico lo visitava, se poteva rientrare, ma erano troppi mesi che riceveva risposte evasive che si traducevano poi in un foglio di convalescenza che prolungava quella pena.

Ad un certo punto un medico gli disse, in una delle visite fiscali a cui doveva periodicamente sottoporsi, che questa domanda gli sembrava ben poco familiare, perché invece era abituato a sentirsi chiedere sempre di prolungare in qualche modo la convalescenza; avrebbe voluto aiutarlo, ma anche lui doveva proteggersi le spalle e far scorrere altro tempo in cui non sarebbe accaduto nulla, fino alla visita successiva, in cui tutto si ripeteva e tutto restava uguale.

Aveva scoperto questo mondo che fino a quel momento gli era rimasto impermeabile, un mondo di gente sofferente per davvero, che qualche volta spacciava il mal di vivere per sofferenze provocate dalla vita che faceva; gente che voleva evitare, ma che ogni tanto doveva incrociare in quelle giornate di sofferenza in cui aspettava un responso che gli alleviasse la vita.

Due

Il rientro era stato lieve. Un viaggio abbastanza tranquillo con uno scalo per prendere “la tattica”, come la chiamavano, e terminare il viaggio. Ormai c’era abituato, guardava chi si affacciava per la prima volta e ripensava a se stesso quando era nelle condizioni di non conoscere tutta la storia che lo avrebbe aspettato. Adesso quel viaggio gli era diventato familiare e si sentiva più vicino con i luoghi, le persone, gli oggetti. Era stata una licenza abbastanza breve, per spezzare quei mesi, per dimenticare un po’ di persone per qualche tempo, per non perdere l’abitudine a parlare con le donne che aveva conosciuto, per ritrovare i suoi familiari che ogni volta lo accoglievano con grandi feste, ma da cui voleva scappare per il troppo amore che gli davano; dopo qualche giorno voleva stare solo.

Tre

Ricordava come una luce che gli toglieva dalla vista il Lince di Bergamini; gli stava davanti fino ad un secondo prima, poi era sparito. Lui era capomacchina su quello che seguiva, era a cinquanta metri, forse meno, gli sembrava impossibile non vederlo più così all’improvviso; nemmeno aveva sentito l’esplosione, tutta l’attenzione era a vedere fuori se qualcosa poteva succedere, se una macchina si frapponeva tra i due mezzi, se qualche ragazzino si buttava in mezzo con la bicicletta. Era una strada fino a quel momento sicura, non c’erano state bombe o attacchi negli ultimi mesi, e la routine continuava come sempre. Facevano la spola tra la base e l’aeroporto, su uno stradone a due carreggiate sempre trafficato di pulmini, Toyota Corolla, carretti, polvere bianca, negozi che esponevano merce, gente che li guardava male, bambini che andavano a scuola.

C’era sempre qualcuno che tornava dalla licenza, o che si doveva accompagnare in aeroporto per partire, documenti da consegnare al comando dipendente. Non era nulla di impegnativo, il maresciallo Bergamini era il responsabile del nucleo e lui si sentiva tranquillo, si fidava di quello che gli ordinava e di come gestiva le persone alle dipendenze. Lui era il vice, con il grado di sergente, ormai era anche abbastanza anziano, e voleva provare a vedere se riusciva a diventare ufficiale, non sarebbe stato facile, anche se il Generale gli aveva detto di essere fiducioso.

Quattro

Quando ricevette il foglio in cui lesse che era stato giudicato idoneo, un brivido lo percorse dalla testa ai piedi, e pensò che probabilmente il Generale qualche telefonata stavolta l’aveva fatta. Anche se era passato del tempo, si era ricordato forse di lui, e lo aveva seguito dopo quell’episodio. Certo al momento poteva dimenticarsi di chiedere di passare ufficiale, ma gli era sufficiente pensare che era rimasto vivo e che stava rientrando.

Arrivò abbastanza presto, era agosto e le strade erano libere, a casa tutti gli dicevano che erano contenti, ma si vedeva che lo erano fino ad un certo punto; forse anche loro speravano in un prolungamento della convalescenza, come ad allontanare un futuro che non gli piaceva.

Dopo il diploma non avevano ancora capito come avesse fatto a fare domanda per fare il soldato; gli aveva detto che era un anno solo, come quando il servizio militare era obbligatorio e la leva era una pena, come sentiva dai racconti delle persone più grandi; poi aveva continuato, in fondo non era difficile fare il soldato. Rimase qualche anno a fare il soldato, poi conobbe un suo comandante che un certo giorno gli disse che si stava accontentando e che avrebbe potuto fare qualcosa in più. Superò il concorso da sergente e si trovò trasferito in un altro reparto dove si faceva sul serio. Aveva ragione quel comandante, lo conobbe quando lo mandarono lì per il comando. Ogni tanto lo sentiva ancora; era uno che leggeva dentro le persone, si vedeva che gli piaceva parlare con gli uomini per tirare fuori da loro quello che di meglio avevano. Aveva valorizzato molte persone, gente che ormai era stata esclusa da ogni prospettiva e si trovava a vegetare nel reggimento, per errori passati o perché quando ti bollano non cambia più nulla, si era anche scontrato con il suo comandante diretto e gliela avevano fatta pagare.

Lo incontrò qualche altra volta e si abbracciarono, forse doveva anche a lui se non era rimasto a fare il soldato.

Cinque

Il fotogramma che gli balenava ogni volta davanti era l’attimo quando non vide più il Lince davanti a lui, non era possibile che un mezzo così pesante potesse essere stato spazzato via come una piuma. Il conduttore del suo mezzo riuscì a frenare subito, scesero e si misero a riccio per vedere se qualcuno gli sparava con le armi leggere, non riusciva a vedere dove fosse finito il Lince di Bergamini, per ora doveva pensare a mettere in sicurezza quella bolla dove erano, in mezzo alla strada. Vide lì vicino dei brandelli di carne, una tunica mezza bruciata, una gamba. La via era affollata delle solite persone inconsapevoli che venivano sacrificate al caso in ogni occasione come quella. Doveva mettere in posizione gli altri, si era accorto che il suo rallista, il più giovane della squadra non era più al suo posto, forse era uscito dalla botola per non offrire troppa sagoma e l’avrebbe trovato intorno al veicolo, non vide infatti nemmeno la MINIMI in torretta e si tranquillizzò un po’. Odore di bruciato, carne dolce arrostita, polvere bianca, silenzio, nessuno più sulla via, soli a sperare di trovare una via di uscita. Disse al conduttore di chiamare via radio il comando e di comunicare la posizione, non erano lontani dalla base, forse erano a metà via. Tolse la sicura al fucile e qualche goccia di sudore dagli occhi, forse era qualche lacrima ma non ne era sicuro, cercava qualcuno attraverso il mirino che magari gli puntava contro, sentì una breve raffica dal retro del Lince, era Andrea che sparava in aria ma non troppo per fermare le macchine che seguivano e che era meglio stessero lontano.

Non vedeva ancora il Lince di Bergamini, passò dagli altri che già stavano intorno al mezzo anche per vedere che non fossero feriti, mancava il rallista, il ragazzino di Sasso di Castalda, un paesino lontano della Lucania. Se lo era trovato da poco e lo stava crescendo come aveva fatto il suo ex comandante.

Tre erano intorno al veicolo, il ragazzino di Sasso non c’era. Pensò con delusione che si era fatto prendere dal panico ed era scappato, ma chissà dove era adesso, gli serviva la sua MINIMI. Non sentiva ancora nulla, si rese conto che stava urlando agli altri di rimanere sul posto, lui magari andava a vedere se il ragazzino di Sasso era lì vicino e magari riusciva a capire anche il Lince di Bergamini dove fosse.

Fece qualche passo indietro e vide un mucchietto verde. Era il ragazzino di Sasso, la testa era volata via lontana per l’esplosione insieme alla MINIMI. Capì bene adesso che sugli occhi aveva delle lacrime, non era sudore. Non ebbe il tempo di pensarci troppo, ritornato al mezzo indicò a Vincenzo di andare a recuperare il ragazzino di Sasso, gli disse che doveva anche cercare la testa che era volata via con tutto l’elmetto, magari dopo avrebbero cercato anche la MINIMI, e notò che Vincenzo aprì troppo gli occhi, non voleva forse capire quel particolare, ma gli gridò di nuovo di cercare la testa.

Andò stavolta sul davanti del suo mezzo a vedere di capire dove fosse il Lince di Bergamini. Qualcuno dai bordi della strada voleva vedere ora cosa succedesse ma lo ricacciò indietro con una breve raffica in aria. Trovò a quaranta metri una voragine sul ciglio della strada. C’era solo una buca, null’altro. Allora guardò dall’altra parte della strada verso il ciglio opposto e leggermente più avanti scorse un rottame, era il Lince di Bergamini, erano più di trenta metri, attraversò di corsa le due carreggiate e lo raggiunse. Dentro erano tutti morti, il rallista era sparito, volato via come il ragazzino di Sasso. Le lamiere erano deformate in modo innaturale. Non cercò nemmeno di sperare qualcuno ferito, si ripassò la mano sugli occhi per asciugarsi le lacrime che gli restavano.

Sei

Di solito quando ripensava a tutto questo gli veniva da sudare e le mani facevano rapidi movimenti come per cercare di riprendere quell’abitudine a scarrellare, a puntare il fucile, a urlare ordini, a sperare che il ragazzino di Sasso fosse rannicchiato da qualche parte a piangere con la sua MINIMI ed a chiedersi perché fosse lì. Ma oggi che ci pensava, oggi che era rientrato in servizio si erano riaffacciate le lacrime che aveva sentito rapprese quel giorno sul viso coperto di polvere bianca, quando aveva visto Bergamini deforme dentro al Lince con tutti gli altri. Improvvisamente sentì una repulsione fortissima verso la sua felicità di poter rientrare, aveva condiviso con i morti di quel giorno tutte quelle sue sofferenze che avevano seguitato a ricordargli che era uno scampato e null’altro. Poteva essere al posto di Bergamini, il caso lo aveva protetto dalla morte, come invece aveva scelto gli altri e tutti quei civili ridotti a mucchietti come il ragazzino di Sasso.

Sette

Quando rientrò alla base si accorse che continuava a non sentire perché gli dicevano di non urlare e di togliersi l’elmetto, di scaricare il fucile, di lavarsi la faccia, ma non lo voleva fare perché sentiva le lacrime rapprese sul volto che si erano impastate con la polvere. Aveva sete e non voleva togliersi nulla di ciò che indossava nel momento in cui non aveva più visto il Lince di Bergamini davanti a lui. Avrebbe significato voltare pagina, far passare il tempo, dimenticare tutto cambiandosi d’abito, ripulendosi; non voleva nemmeno andare all’ospedale da campo, gli avevano trovato pure una frattura al polso perché gli faceva male, forse al momento dell’esplosione aveva sbattuto da qualche parte, ma non se ne era accorto, in quei momenti si era accorto solo delle lacrime rapprese sotto l’elmetto.

Otto

Quando lo rimandarono a casa in convalescenza richiamò quasi subito il suo ex comandante e gli disse che aveva fatto tutto quello che poteva, ma era stato impotente quando aveva visto il ragazzo di Sasso e Bergamini e gli altri dentro il Lince. Ti spiegano come uscire dalle situazioni di pericolo, come riuscire a salvare i tuoi uomini, ma di fronte all’impotenza della morte che vedi non ti dicono cosa proverai, come reagirai.

In quel lungo periodo di riposo si misero a curargli i danni all’udito ed al polso. Nessuno quel giorno si accorse di quelle lacrime rapprese sul volto insieme alla polvere, né poi fecero caso ai rapidi movimenti delle mani quando andava sovrappensiero, né alla concentrazione che non riusciva più a tenere a lungo. Piangeva da solo a casa, oppure quando stava sull’argine di canale Mussolini a correre e improvvisamente si fermava sudato e ansimante e ripensava all’attimo che gli sparì davanti il Lince di Bergamini.

Quando andò a trovare il suo ex comandante, abitavano abbastanza vicini, gli disse che era stato bravo e che aveva visto giusto a non farlo restare un soldato perché si era comportato bene, gli avevano detto, e che avrebbe meritato di passare ufficiale. Gli disse pure di stare attento ai guai dell’anima perché quelle cicatrici non se ne vanno via facilmente. Allora pensò alle lacrime rapprese di cui nessuno si era accorto quel giorno, ma che continuavano a solcarlo e che cercava di nascondere anche a se stesso.

Nove

Si era accorta di tutto Giuliana. Non ricordava nemmeno più quando c’era stato il matrimonio di Giovanni, un cugino che aveva perso di vista da molto tempo. Per obbligo di famiglia se lo erano tirato dietro; era già da un po’ in convalescenza e i fratelli gli dicevano che doveva esserci pure lui, mica stava lontano stavolta, e gli avrebbe fatto bene incontrare parenti e amici.

Si incontrarono al bar del ristorante. Lei stava aspettando il suo turno proprio dietro a lui ed al momento non c’era nessun altro, il barista tardava ad arrivare visto il daffare che c’era per il matrimonio. Si voltò, si accorse di lei e si salutarono; lei allora per interrompere quel silenzio gli chiese di quale ramo della famiglia fosse, per cercare di conoscere un po’ alla volta gli invitati disse. Allora si dovette sforzare di ricordare i cognomi giusti, per non sbagliare parentela, per inquadrare il ramo di provenienza. Scoprì che lei era una parente della sposa e che abitava in città. Era poco più grande di lui. Iniziarono a parlare, visto che il barista non arrivava, di cosa facessero nella vita e si trovò a dover scegliere le giuste parole per spiegare di che lavoro si occupasse. Lei era diplomata al conservatorio in violoncello, e anche se adesso lavorava presso lo studio di un notaio sperava di entrare in un’orchestra.

Quando il barista arrivò lui le chiese come una cortesia scontata se potevano prendere qualcosa insieme e si misero ad un tavolino lì vicino. Lei non era sposata o fidanzata, lo era stata un tempo, ma a lui interessava poco intromettersi nei particolari della vita di Giuliana perché magari poi avrebbe dovuto mascherare i propri.

Epilogo

Stava per scegliere un libro dallo scaffale di una libreria della città e sentì un attimo prima l’istinto di voltarsi come aveva fatto il giorno di quel matrimonio; era passato già del tempo ma lei lo chiamò per nome, lui la riconobbe e le fece un sorriso tiepido. Dopo qualche minuto di conversazione, in cui riassunsero un po’ quello che avevano fatto da quel giorno in cui si erano conosciuti, Giuliana gli disse che era incuriosita da lui in un modo particolare perché quel giorno lo aveva poi visto da lontano mentre sembrava assorto nei pensieri e muoveva le mani come se volesse dare qualche indicazione o trafficare con qualche arnese mentre si asciugava con movimenti veloci il viso. Il giorno del matrimonio non ci aveva fatto più tanto caso, ma anche oggi aveva rivisto tra gli scaffali della libreria quello sguardo fisso, quasi disperato e attonito gli disse, le mani muoversi rapidamente, quasi che volesse urlare qualcosa a persone vicino a lui, il toccarsi il viso velocemente come per portarsi via qualche lacrima, come se vedesse qualcosa di caro scomparire e allora lui sciolse le lacrime impastate di polvere da quel giorno, l’abbracciò e iniziò a singhiozzare sul suo petto.

Agosto 2017