"Navi e mozzarelle"

(di Giuseppe Sfacteria)
22/04/15

Il periodo tra il primo autunno del ‘98 e la primavera del ‘99 non è stato dei più tranquilli. Venti di guerra spiravano da est, preceduti da agghiaccianti notizie di sterminio. Come sempre, giusto o no, l’ordine di intervenire venne eseguito. Da settembre la nave era stata inserita nel dispositivo internazionale di operazione.

Interminabili le giornate passate a pencolare in Adriatico; le soste, invece, brevissime e di grande impegno per chi, come il commissario di bordo (capo del Servizio amministrativo e logistico), affettuosamente detto Commi, in porto deve provvedere ad ogni possibile esigenza logistica.

Punta Riso, il molo del porto di Brindisi assegnatoci per questi fugaci scali, venne rapidamente ribattezzata Punta Pianto, anche per effetto della coreografica presenza delle carcasse delle carrette del mare con cui dall’Albania, erano avvenuti, nei pochi anni precedenti, i primi sbarchi dei profughi dalle macerie del paradiso autarchico di Enver Oxha e compagni di dottrina. Chissà se saranno ancora là ‘ste bagnarole? Chi mai ne rivendicherà la proprietà?

Non si deve pensare che vengano meno le necessità del lavoro ordinario, rispetto a quando le cose si fanno per esercitazione. Così restano immutati doveri e scadenze, si tratti di assicurare il pagamento degli stipendi o di assicurare gli approvvigionamenti di generi alimentari o di inviare ufficiali e sottufficiali ai corsi di formazione periodica, o di relazionare i comandi superiori sull’impiego dei fondi, sul benessere del personale, eccetera.

E se questo era l’ordine del giorno del Commi, i colleghi degli altri reparti non si trovavano in condizione più rilassata. Aveva poco da ridere il reparto operazioni, consumato su schermi radar e ordini d’operazione, incomprensibili al vulgo come la maledizione di Tutankamen. Poca allegria anche tra il personale dei Reparti tecnici, alle prese con la riparazione delle frequenti avarie ai motori e le continue manutenzioni ai sistemi di combattimento; attività a dir poco miracolose, in quanto risolte con i pochi e preziosi mezzi di bordo.

In tutti i casi l’elemento umano faceva la differenza. Il “moltiplicatore di potenza” (così, il comandante amava definire la sua gente) era ben consapevole di ciò che si andava a fare e buttava giù il rospo senza lamentarsi troppo, facendo violenza all’antica tradizione marinara del mugugno. Insomma la nave, in ogni singolo membro del suo equipaggio, aveva ben preso coscienza di quello che era il suo compito e, nell’adempimento del proprio dovere, l’armonia delle coscienze dava un significato tutto particolare al termine che si impiega per definire le navi: Unità.

L’attività operativa militare, per quanto possa essere svolta nel più scrupoloso rispetto delle regole, non è esente, come ogni attività umana, da errori. Errori che si possono elevare “alla enne” nel caso dell’imbarco di derrate alimentari, se si considera la ristrettezza degli spazi a bordo, la diversa dislocazione dei depositi e delle celle frigorifere, lo stivaggio reso proibitivo dalla scarsa accessibilità degli scaffali, aggiungendo il carico da 90 dell’operazione di imbarco con il tradizionale passamano, in tempi che farebbero scoccare la scintilla dell’invidia ai brillanti uomini del box della Ferrari.

Pur senza alcun preavviso, ci si era organizzati al meglio e si era partiti, anche sperando nella potenza dell’italico stellone e nelle buone capacità del supporto logistico di terra, anche perché “pe’ mmare nun ce stanno taverne”, rimandando alla navigazione la sistemazione di tutto quanto, in modo che, in brevissimo tempo, fosse tutto a posto. Conserve, farina, succhi di frutta, latte, carni surgelate, legumi… devono, in ogni momento, trovarsi così ben posizionati e rizzati negli scaffali che, qualora il comandante dovesse accedere al deposito, l’unica cosa di cui potrebbe sentire la mancanza rispetto a una ispezione ai reparti sarebbe solo lo sbattito dei tacchi. Tuttavia, le impegnative attività passate in assetto di combattimento, le frequenti esercitazioni antincendio, le action mess (nota: mensa self service svolta in condizioni di massimo assetto operativo), le esercitazioni di abbandono nave avevano consentito solo di assicurare il pane quotidiano, obbligando a rimandare a tempi migliori la sistemazione di quello che restava.

Nelle brevi due settimane di licenza offerte all’equipaggio per le festività invernali (dopo tre mesi in mare), il Commi – più per necessità che per virtù, sia detto per evitarne la santificazione in vita – si riservò tre ricche giornate: 31 dicembre, 1 e 2 gennaio, stop. Così il 1° gennaio, quando ospite dei genitori della fidanzata si apprestava a offrirsi vittima della magnificenza della “suocera”, terminato un prosecchino con stuzzichini, venne distolto dall’incantevole visione delle portate già apparecchiate, dal trillare del proprio telefonino.

Pronto, commissario, sono il tenente di vascello Brina, ufficiale d’ispezione, volevo avvisarla che c’è una rivolta a bordo. Che cosa? Eh?” Si, Commi, i sergenti stanno aizzando la truppa, rifiutano di mangiare le lasagne. Scusi, non capisco qual è il problema: ci sono due primi e il vitto in bianco. Possono anche farsi aggiungere il pesto alla genovese. In definitiva possono scegliere quattro tipi di primo piatto. Santo cielo, che cosa vogliono, mangiare brioches? No, è che il sergente Solpiede dice che le lasagne sono state fatte con le mozzarelle scadute! Scusi, ma che cosa ne sa ‘sto sergente Solpiede delle mozzarelle scadute? E poi, in cucina la corvée è composta da personale del suo reparto. Perché non chiede rassicurazioni a loro? Che cosa mi viene a raccontare? Dice che già ieri il cambusiere Simonsa gli aveva anticipato che le lasagne di oggi sarebbero state cucinate con le mozzarelle scadute e che oggi ‘sto Simonsa lo ha portato a vedere gli involucri delle mozzarelle nei cassonetti della rumenta e che effettivamente le date di scadenza erano già bell’e passate. Commi, io per placare gli animi ho detto al “capo gamella” (nota: sottufficiale della cucina) di fare un altro primo, pasta al ragù. Ho mandato un marinaio a prelevare gli involucri delle mozzarelle dai cassonetti. Ho fatto cercare il marò Simonsa, ma era già andato in franchigia (libera uscita, in Marina); ho già telefonato al Secondo (nota: comandante in seconda)”. Va bene, sì, insomma, compatibilmente col bordello che si è creato; mi raccomando, nella cartella delle consegne ci sono le direttive da seguire per i casi come questo. Acquisisca informazioni dal personale presente; a quelli della cucina e della commissione viveri riferisca che non va in licenza più nessuno se non rilasciano tutti - tutti! - le proprie dichiarazioni in merito. Dica al capo gamella di avvisare il capo cambusiere che la sua licenza finisce il 3 gennaio!. Lei prepari una bella relazione di servizio. Domattina sarò lì. Comandi, Commi”. “Arrivederci, mannaggia, arrivederci a domani e – cacchio! - buon anno”.

Click. Inizia un nuovo problema…

Che c’è, hai la faccia nera, problemi? - disse amorevole la fidanzata – non dirmi che… Domani devo essere a bordo – la interruppe lui – ma adesso riprendiamo che la roba si fredda ed è comandato di onorare i genitori, santificare le feste e… le delizie di tua mamma.

“Tono minore”, diceva fra sé e sé, sciorinando il detto che il comandante amava ripetere per smorzare gli impeti del suo giovane commissario, che ancora divideva il mondo tra buoni e cattivi, tra guardie e ladri. Certo, la voglia di godersi il pranzetto era un po’ svanita, ma si sa, quando si è chiamati all’estremo sacrificio, si risponde all’appello. E poi quel “cappun magro” (nota: piatto tipico ligure) lo stava davvero provocando.

Comandi, comandante, sono rientrato ieri sera e sono a sua disposizione.

Erano le 08.00 in punto e mentre l’ufficiale d’ispezione presiedeva la cerimonia dell’alzabandiera, il Commi si presentava al comandante in seconda.

Si, Commi, grazie, ma che cosa è successo? Comandante, ne so quanto lei, quantomeno so quello che mi ha riferito il signor Brina. Ieri sera ho chiesto ai cuochi di guardia di darmi più informazioni, ma erano sinceramente dispiaciuti e sorpresi. Uno di questi è proprio quello che ha fatto le lasagne incriminate. A momenti piangeva. Ho controllato se anche il marò Simonsa fosse a bordo, ma nisba, era ancora fuori. Stamattina dal corpo di guardia mi hanno detto che è rientrato pochi minuti prima del termine della franchigia. Ho parlato con il comandante – disse il Secondo – ha detto di fare un’inchiesta amministrativa e di informare la Divisione navale. Commi ci pensi tu?”. Comandante, ci penso io, ma posso solo offrirmi come collaboratore. Non posso essere membro di alcuna commissione. Io sono parte in causa. Sì, sì, va bene, metti ufficiali degli altri reparti, ma renditi utile lo stesso. “Comandante, è per questo che sono qua.

La commissione incaricata dell’inchiesta acquisì tutte le informazioni possibili. Il marò Simonsa ebbe il tempo per ribadire le sue accuse, esibendo l’involucro di una mozzarella scaduta mesi prima e prontamente acquisita agli atti, e quindi prese bellamente la via del congedo. Tutti gli addetti alla mensa, in particolare gli uomini della corvée, giurarono e spergiurarono che non era passata nemmeno una briciola di pan grattato senza controllo della scadenza. Il più “anziano” della commissione viveri, volle che fosse riportato nel suo verbale che avrebbe considerato un tradimento della fiducia dei propri compagni lo svolgere con leggerezza quell’incarico, visto che si passavano per consegna, dall’uno all’altro, espressamente, il controllo delle scadenze dei generi. Perfino le uova, prima di essere aperte, venivano immerse una ad una nell’acqua per vedere se galleggiavano o se andavano a fondo. Al minimo sospetto, kaputt, cestino.

Il maresciallo Cambusiere disse che sì, forse nel deposito c’era un po’ di disordine, ma tirò fuori le carte dei generi imbarcati, complete di tutti i documenti, compreso l’estratto del giornale di bordo, in cui ogni cosa era stata meticolosamente registrata. A vederlo ora ci si stupiva di noi stessi per essere stati capaci di riempire “a tappo”, in sole due ore, un deposito viveri che, dopo 20 giorni di mare era sottovuoto come la scatola degli spinaci spremuta da Braccio di ferro. L’ultimo imbarco era stato fatto circa a metà dicembre, poco prima di rientrare, perché ancora non era chiaro se e quando la nave sarebbe stata rilevata.

Insomma, c’era sì disordine ma, tutte le volte i generi erano stati controllati prima dell’imbarco e quelli più deperibili messi all’ingresso delle celle e dei deposti per essere consumati prima. Il 30 dicembre, poi, era stata fatta una sommaria pulizia del deposito e delle celle e le cartacce, i pacchi smozzicati, le lattine ammaccate, eccetera, erano state accantonate, ben chiuse nei sacchi neri, nei caruggetti davanti ai depositi e il mattino del 31 erano stati smaltiti nei cassonetti. Il tutto era stato registrato sul giornale di bordo.

L’ipotesi che si era azzardata, per dare una spiegazione della presenza di questi involucri che non facesse appello al soprannaturale, era che durante il trasporto e nel successivo lancio del sacco nel cassonetto, alcuni di questi si fossero lacerati, facendone fuoriuscire il contenuto. Non spiegava tutto, ma era già qualcosa e, comunque, serviva a chiudere l’incidente. Di lì a poco, sarebbe anche arrivata l’assoluzione con formula piena dell’inchiesta svolta dalla superiore Divisione navale. Restava solo da capire, come in un giallo, quale fosse il movente, per capire chi eventualmente dovesse ricevere la patente di coglione o, peggio, di mariuolo.

Il Commi convocò nel suo alloggio il capo cambusiere e il capo gamella.

Ok, siamo stati “assolti”. Questa è la lettera. D’altra parte ho continuato a dormire sereno, come si dice: male non fare, paura non avere, no? Penso che anche voi… Si commissà, anche nuje – lo interruppe quel marpione del cambusiere, il Maresciallo Megulla, al quale il commissario associava istintivamente la frase “nessuna conoscenza accertata della lingua italiana” – ccà simme tutte brave guaglione, c‘a testa ‘ncopp’e spalle. Chillo Simonsa, invece, è nu’ malamente!. Si, però, per me c’è qualcosa sotto. Non mi spiego come può essere successo; cioè ho capito ma non l’ho potuto dire. Commissà, parlate – disse con un’aria preoccupata il maresciallo, mentre il capo gamella, un sergente giovane e ingenuo, faceva la faccia della mucca che, in una notte di plenilunio, sollevato il mento dall’erbetta fresca, osserva passare un treno in corsa – che vulete dicere con “aggio capito ma nunn‘o pozzo dicere”? Maresciallo Megulla, Lei ha capito benissimo. Io so che lei sa. E ora lei sa che io so. Commissà, vulite pazzià, che ssò ‘sti anagrammi? Nun parlate egiziano. Maresciallo… insomma, è chiaro che le mozzarelle sono sempre state consumate fresche. Il marò Simonsa faceva il cambusiere mica il barbiere; ‘sto grande stronzone deve aver portato le mozzarelle in cucina e dopo averle aperte si è infilato le confezioni in tasca, giorno dopo giorno, aspettando il momento propizio per creare il pandemonio”. Commissà, ma…. No, Megulla, adesso stop alle parole. Possiamo mandare in cucina il capo gamella no? (il giovane sergente non aspettava altro che trarsi d’impaccio da una situazione che lo vedeva con il sedere ospite di uno sgabello riducendo a ciò solo il suo contributo alla conversazione e fuggì battendo il record d’esecuzione della sequenza in piedi – attenti - un passo indietro - sbattito di tacco - dietro front - ritirata). E ora mi lasci continuare. Il fatto è chiaro. È così e punto. Io, però, adesso voglio sapere perché. Perché ‘sto cretinetti mi ha fatto fare rientrare dopo un giorno, dico uno, ripeto uno, di licenza? Perché voleva farci fare il ballo di San Vito, perché? Perché? Perché?” Commissà, ‘stu fetente da tre mesi me scassav’o cazz pecché se vuleva raffermà. Ma io ce diceve ca nunn’era cosa, che nunn’era bbuono. C’a divisa nun sapeva addò steva, era sucido - con rispetto parlando - comm'a nu puorco, a penna ‘n mano nunn’à sapeva tené, a voglia ‘e faticà manco ce muntava ‘ncoppe. Commissà, ve lo tenevate pe’ n’at'anno? “Ma io, per la verità, la sua domanda di rafferma non ricordo di averla vista. E già commissà, nun l’avite vista pecché nun l’ha fatta. Co’ tutt’e juorn’e consegna c’a fatto (nota: giorni di punizone), a rrisate ‘nfaccia ò pigliavano a Roma. Si, ma che cavolo, sarebbe stato meglio se avesse fatto la domanda. Commissà, datemi retta, io songo ignorante, ‘o saccio, ma de piezz’e mmerda n’aggio visti tanti, ‘e saccio scoprì subbito. I fatti me danno raggione. Vuie site ‘ncazzato cu mmè ed è giusto. Nunn’o penzavo che era nu fetente tanto malamente, me so’ sbagliato pure io. Però mo’, pure si nuje avimme perso tiempo, licenza e pazienza, avimme libberato ‘a Marina da ‘na sanguisuga. Commissà, creriteme, appena che lo raffermavano, chillo marcava visita (nota: si dava per malato) e se pigliava ‘o stipendio restannosene a casa. Nu monumento m’avessero a ffà!

Finì con un cazziatone paurosa, una tale lavata di capo da fare innalzare il livello del mare. Ma fini lì. Almeno per la Marina il pericolo era scampato. Un pezzo di merda in meno.

 

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Nota dell'autore: il presente racconto è già stato pubblicato sul sito www.paginedidifesa.it (ora non più attivo). Ringrazio il Generale Giovanni Bernardi, direttore di PdD, per l’ospitalità allora concessami.