Il Genocidio degli armeni: la Storia che non ha discepoli

29/04/24

Il 24 aprile scorso, su iniziativa dell'Ambasciata di Armenia e del Consiglio della Comunità Armena di Roma, si è svolta la cerimonia di commemorazione del Genocidio armeno nella sua 109a ricorrenza. Il primo Genocidio del XX secolo che molto poco, o pressoché nulla, sembra abbia insegnato agli uomini e agli Stati. Lodevole, peraltro, è stata la decisione a suo tempo assunta dalla Municipalità della Capitale di intitolare a quel Genocidio il giardino di Piazza Augusto Lorenzini. 

Certamente, la conservazione della memoria è fondamentale quale occasione per esprimere la nostra riprovazione per tali misfatti; ed è anche imprescindibile come testimonianza storica, ovvero quale fonte documentale per trasmettere alle future generazioni il ricordo di eventi che incidono sulla stessa identità di un popolo e sulla sua coscienza nazionale. E questo è proprio il caso del Genocidio armeno che ha colpito con assurda ferocia un popolo già dalla Storia molte volte sacrificato sull’altare della violenza. Ma da quella orribile esperienza purtroppo sembra che gli uomini non abbiano tratto il giusto insegnamento che ci si aspettava. Da quella data, infatti, altri Genocidi si sono succeduti nel mondo fino ai nostri giorni, consumandosi un po' ovunque sotto gli occhi troppo spesso indifferenti di tanti Governi e Stati pronti ad interessarsi ai casi unicamente quando utili al conseguimento dei propri interessi nazionali. È la mercificazione dei valori che oggi, infatti, prevale nella Comunità internazionale. Una Comunità più incline al profitto che al rispetto della dignità della persona umana.

E così i Genocidi continuano a dilagare per il Pianeta, moltiplicando dolori e sofferenze. Né il Genocidio del 1915 è valso ad immunizzare l’Armenia da consimili violenze. Oggi, come ieri, il Paese è ancora a rischio. A rischio, infatti, non è solo la sua integrità territoriale, a seguito delle due guerre recentemente perdute, o la sua capacità di recupero economico, ma anche, e soprattutto, la sopravvivenza della sua idea-sostanza di Nazione. Sì, perché proprio l’identità del suo popolo sta ancor oggi subendo la più vergognosa delle vessazioni; e ciò sia a seguito dell’atteggiamento dei Paesi occidentali, troppo spesso indifferenti alle cause nazionali armene, sia per via della politica assertivamente espansiva condotta dai suoi irruenti e combattivi vicini di casa, la Turchia e l’Azerbaijan. A ricordarci quanto questi Paesi siano inaffidabili e aggressivi soccorrono in fondo le parole pronunciate proprio dallo stesso Erdogan a riguardo dell’Armenia.

“Dovremo continuare l’opera dei nostri padri” ha dichiarato solo recentemente il presidente turco facendo ben intendere il suo riferimento intenzionale al Genocidio del 1915. Ma anche sul piano culturale l’Armenia rischia l’eliminazione.

Come già accaduto tempo addietro nel Nakhijevan, una exclave azera, ora è il turno dell’Artsakh (nome armeno per Nagorno Karabagh) per mettere mano allo smantellamento delle chiese cristiane armene. Ha forse qualche Paese occidentale reagito alla recente distruzione della Chiesa di San Giovanni Battista a Shushi? Si colpisce l’Armenia non soltanto infierendo sulla sua popolazione, ma la si ferisce anche nel profondo della sua coscienza e memoria storica. È la sua identità nazionale a rischio di cancellazione. E il tutto avviene sotto lo sguardo distaccato, se non addirittura apatico, dei Governi occidentali.

A scongiurare il verificarsi di siffatti eventi, però, noi abitanti della parte più opulenta del Pianeta non ci voltiamo indietro a guardare, per riflettere e cambiare il corso politico; continuiamo ad affidarci alla commemorazione delle vittime, come se la sola "memoria" potesse bastare ad esorcizzare il Male. Ma a scongiurare altri simili misfatti per il futuro la memoria evidentemente non basta. Non basta più. Pur necessaria per non perdere traccia storica degli eventi, evitando che essi cadano nell’oblio, la memoria non insegna più nulla, non sembra più sufficiente, quale fonte di insegnamento alle future generazioni, a superare il "senso del vuoto" che la perdita dei valori della vita ci impone, e tanto meno ad evitare che altre tragedie abbiano nuovamente a verificarsi nel futuro.

Se guardiamo al corso politico attuale, infatti, facilmente noteremo che mai come in questi nostri tempi l’umanità sta attraversando uno dei periodi più bui e angoscianti dell’età moderna. A nulla è servito sopravvivere alle due Guerre Mondiali: l’uomo non ne ha tratto nessun insegnamento. Dopo una fase di apparente recupero di civiltà, al tempo dell’affermazione da parte delle Nazioni Uniti dei diritti di libertà e della persona umana, si è tutto e rapidamente dimenticato. Ed ecco che oggi, tra i lasciti ascosi dei due conflitti mondiali, ci ritroviamo in una terza guerra mondiale del pari spietata, ma combattuta a pezzi e frammenti in ogni angolo del Pianeta e ad un altissimo costo di vite umane.

La memoria, evidentemente, non basta più. Il quadro politico attuale è costellato di violenze, di guerre, di eccidi e genocidi. E anzi, la facilità con cui oggi si predica la morte sembrerebbe quasi convincerci della sua banalità, come se si potesse giocare con essa per passatempo, quale mezzo per trastullarsi, un azzardo in cui la posta in gioco sia la nostra stessa esistenza. Ma questo processo di banalizzazione della morte prende piede perfino all’interno dei nostri Paesi! Qui si legifera per l’eutanasia, per l’aborto facile, per la cremazione liquida. Perfino la pubblicità delle pompe funebri giunge a ridicolizzare il momento del “trapasso” come fosse un semplice salto in un altro luogo esistenziale cui giungere cosmeticamente ineccepibili!

Non è forse questa la “cultura della morte” che oggi si impone con prepotenza? Ma a scongiurarne il sopravvento sembra che la memoria del passato non basti più. Occorrerebbe un supplemento d’anima per fermare questo viaggio verso l’abisso, e il Genocidio degli armeni questo ce lo dovrebbe insegnare.

Sì, continuiamo pure a commemorare questi misfatti della Storia. C’è sempre un senso nel farlo, se non altro per compiangere le vittime. Ma per contrastare questa imperante “cultura della morte” ben altro sarà necessario. Occorrerà un serio ripensamento sugli esiti di questo nefando corso politico. Un ripensamento che induca a credere che la vittoria del Bene sia ancora possibile. Ed è nostra convinzione al riguardo che solo con una partecipazione attiva, diretta e personale in un’azione di contenimento del Male potremo garantire la restaurazione dei valori perduti della vita.

La sola memoria, dunque, non basta più. Solo un serio ed avvertito impegno civico da parte di tutti noi potrà aiutarci a scongiurare il verificarsi in futuro di altri Genocidi.

Bruno Scapini

Foto: Difesa Online