Un anno pieno di incognite

(di Renato Scarfi)
15/03/24

Se il 2022 è stato l’anno dell’aggressione russa all’Ucraina, che ha riportato lo scontro ad alta intensità sul territorio europeo, e il 2023 ci ha confermato lo sconvolgimento degli equilibri geopolitici mondiali, l’inizio del 2024 ci ha presentato un contesto internazionale particolarmente difficile che, durante i primi due mesi, è ulteriormente cresciuto in complessità.

Una nuova e aspra competizione strategica internazionale sembra voler essere la caratteristica di questo anno bisestile, con nuovi motivi di attrito che si sommano a quelli irrisolti degli anni precedenti.

Le principali aree di crisi/conflitto

L’inquietante situazione in Ucraina desta particolare preoccupazione anche perché, mentre rimane ferma la consapevolezza che il sostegno a Kiev è fondamentale per la prosecuzione del suo sforzo bellico in risposta all’aggressione russa, i promessi aiuti economici occidentali e, soprattutto, statunitensi, stanno attraversando un momento di flessione. Aiuti che potrebbero compensare, almeno in parte, la superiore disponibilità di cannoni e di giovani vite buttate sul campo di battaglia da Putin. Una flessione che ha causato dapprima l’impantanarsi dell’azione di Kiev e poi la ripresa dell’aggressione da parte di Mosca, che ha ultimamente preso il controllo di alcune aree che erano tornate sotto il legittimo controllo ucraino. Putin vuole sicuramente cercare di ottimizzare il momento di flessione del conflitto, tornando anche a diffondere inquietudine e sfidando l’Occidente con un grande classico del suo repertorio, la minaccia nucleare.

Questa nuova spinta offensiva è anche favorita dalla trasformazione del sistema russo in economia di guerra, che permette una eccezionale produzione di armamenti. Tuttavia, dato che non vi sono pasti gratis, la scelta (obbligata) dovrebbe avere nel medio termine delle significative implicazioni sociali, specialmente in un Paese che già non brillava per ricchezza pro-capite.

Ad aggravare la situazione complessiva dell’area a noi così vicina va sottolineato che il rinnovato vigore russo in Ucraina potrebbe riflettersi anche nella postura navale nelle acque del Mediterraneo, un bacino di estrema importanza geopolitica e strategica, che la Voenno Morskoj Flot (VMF) sta tentando di “russizzare” già da qualche tempo, occupando tutti gli spazi disponibili (leggi articoli “La NATO fa 32” e/o “La nuova strategia marittima russa”).

Ad alimentare la confusione generata dalla disinformazione proveniente da Mosca, infine, nel campo occidentale (e italiano, come sottolineato dalla recente relazione annuale della nostra intelligence) prosegue la propaganda ideologica di pseudo-pacifinti, che continuano a indignarsi se in Ucraina vengono inviati sistemi di difesa antiaerea (allo scopo di impedire che i missili russi entrino nelle case), mentre guardano con indulgenza verso chi uccide civili inermi utilizzando droni (leggi articolo “Influencer in guerra”).

Nell’area Mediorientale una soluzione rapida sembra sempre più remota e, mentre al confine israelo-libanese è sempre presente la minaccia di nuovi scontri, con Teheran sullo sfondo, si fa sempre più evidente la spaccatura all’interno di Hamas.

Si è poi aperto un nuovo fronte sul Mar Rosso, dove gli attacchi al traffico navale da parte degli Ḥūthī sta influendo negativamente sul commercio marittimo mondiale e, quindi, sull’economia globale (leggi articolo “Spazi marittimi e sicurezza internazionale”).

Nonostante gli oltre duecento obiettivi distrutti dai raid statunitensi e britannici, infatti, sembra che non sia diminuita la capacità di fuoco dei ribelli, che gestiscono il potere sul territorio yemenita che si affaccia sul Mar Rosso a nord di Aden. La veemenza degli attacchi sembra riuscire in qualche modo a sopperire alla mancante complessità tecnologica degli armamenti in uso (missili a corto raggio e droni). In alcuni casi i danni causati sono risultati estremamente limitati, mentre un attacco ha causato l’affondamento della nave e la perdita del carico. Successi parziali esaltati dai ribelli, che hanno diramato un comunicato avvertendo che tutte le navi che transitano al largo dello Yemen devono indentificarsi via radio o via mail, altrimenti saranno considerate ostili. Successi che non sembrerebbero possibili senza un aiuto informativo “esterno” e la presenza di una nave iraniana nelle stesse acque dove sono avvenuti gli attacchi più precisi ha fatto sollevare più di un interrogativo.

Sul Mar Rosso, quindi, esiste un problema di sicurezza che ha profonde implicazioni economiche e causa significativi danni sia ad alcuni paesi arabo-mussulmani, come l’Egitto, che ha visto crollare gli introiti per il passaggio da Suez, ma anche ai paesi (come l’Italia) fortemente dipendenti dal commercio marittimo per l’importazione di materie prime e risorse energetiche e per l’esportazione dei prodotti lavorati. Non solo, il reindirizzamento del flusso marittimo commerciale via Golfo di Guinea ha causato un aumento dei costi di trasporto (nolo e assicurazione) e un aumento del movimento dei porti europei sull’Atlantico, depauperando i porti mediterranei, italiani compresi.

Dalla caduta di Gheddafi nel 2011, favorita da una improvvida decisione franco-britannica, i paesi del Sahel hanno conosciuto una crescente instabilità, sia sotto il profilo politico che sotto quello della sicurezza. Alla minaccia jihadista, nell’area stabilmente attiva ormai dal 2003, si sono aggiunte altre istanze che hanno portato la regione a un preoccupante livello di instabilità e, in alcuni casi, a colpi di Stato che hanno fatto partire una spirale di violenza che ha rapidamente coinvolto la regione e altre aree del continente africano. In tale ambito, va detto che tutta l’Africa sta purtroppo diventando l’epicentro del jihadismo mondiale, con cinque teatri che si evidenziano per criticità e violenza: Sahel, Somalia, Ciad, Mozambico e Africa settentrionale.

Più in generale, l’Africa, si sta affermando ogni giorno di più come un teatro di policrisi dove i pochi equilibri, quando faticosamente raggiunti, rimangono estremamente precari. Le cause di questa instabilità non risiedono solo nelle attività dei jihadisti, ma sono numerose e in parte collegate all’esistenza di Stati fragili, spesso attraversati da povertà endemica, alla mancanza di prospettive per i giovani, alla corruzione dei quadri e anche ad ataviche rivalità tra etnìe presenti su uno stesso territorio.

Un continente che ha anche grandissime risorse naturali, che stuzzicano gli appetiti di attori sempre più voraci e cinici, che mirano al controllo delle ricchezze locali, spesso attraverso l’opera di attori esterni ai governi, come gruppi armati nazionali o transanazionali (leggi articolo “Uno sguardo all’Africa sub-sahariana”). In tale quadro emerge l’area più orientale della Repubblica Democratica del Congo, quella al confine con Uganda, Ruanda e Burundi1, in cui da tempo è in corso un aspro conflitto per il controllo delle risorse agricole e dei suoi vasti giacimenti minerari di enorme valore come il cobalto, elemento fondamentale per l’industria delle batterie.

Tutto ciò fa dell’Africa un terreno di proiezione di influenze, uno spazio eminentemente geopolitico e geoeconomico, dove le forti tensioni endogene potrebbero sfociare in ulteriori sommosse e contestazioni popolari, accrescendo l’instabilità complessiva del continente (leggi articolo “L’instabilità africana e le sue conseguenze geopolitiche”).

In Estremo Oriente, la Cina continua ad alimentare la tensione in tutto il Mar cinese e nei confronti di Taiwan, conducendo esercitazioni navali e inviando segnali non fraintendibili (leggi articolo “Pechino e Taipei”). Oltre alle note motivazioni politiche per assorbire definitivamente l’isola all’interno del territorio cinese, Pechino è infatti convinta di essere circondata da vicini ostili e vede Taiwan come il fulcro della sua difesa marittima (leggi articolo “La strategia marittima cinese”).

Nell’area, l’equilibrio militare si sta spostando a suo favore, ma la Cina è apparentemente frenata dall’effettuare azioni di forza dalla possibilità che uno scontro aperto con Taipei possa costituire un casus belli con Washington. Una eventualità che, al momento, Pechino non sembra far rientrare nella gamma di possibili evoluzioni della competizione sinoamericana.

In tutto questa instabilità, la Corea del Nord lavora sotto traccia, continuando ad armarsi e a rinforzare i propri legami con la Russia (fornitura di armi e munizioni) e la Cina, contribuendo a irrobustire l’asse Mosca-Pechino-Pyongyang, con l’intento di indebolire l’Occidente (leggi articolo “Lo strumento navale della Corea del Nord”).

Aspetti politici

Sotto il profilo politico, Kiev e tutte le capitali occidentali guardano con estrema attenzione alle elezioni americane del prossimo 5 novembre che, in maniera abbastanza anomala, si sta caratterizzando per i toni particolarmente duri e per un linguaggio estremamente aggressivo e, talvolta, offensivo e volgare. In tale ambito, se l’imprevedibile Trump dovesse effettivamente mantenere ciò che ha dichiarato in passato e ciò che sta promettendo in campagna elettorale, la vittoria repubblicana potrebbe significare non solo la fine (o un drastico ridimensionamento) degli aiuti a Kiev da parte di Washington, ma anche un cambiamento degli equilibri in ambito NATO e, probabilmente, anche l’ulteriore polarizzazione della scena internazionale. Cambiamenti di cui non si sente il bisogno, specialmente in un periodo di estrema fluidità (leggi instabilità) come l’attuale.

L’Unione Europea si sta preparando per le prossime elezioni (6-9 giugno), in cui i cittadini dei paesi membri verranno chiamati a votare per il rinnovo del Parlamento. Inoltre, principalmente sotto la spinta rappresentata dalla minaccia russa, ma anche tenendo conto di quanto affermato da Trump durante il suo mandato da presidente, sta predisponendo un piano per diventare più autonoma nel settore della Difesa, accrescendo la produzione di armi ma, soprattutto, ottimizzando le capacità industriali europee nel settore, attraverso l’aumento (almeno il 40%) degli acquisti congiunti tra gli Stati membri. Qualunque sia l’esito del conflitto ucraino, infatti, secondo molti analisti internazionali la minaccia russa non cesserà di incombere sul Vecchio Continente, anzi. Basta riflettere su ciò che già oggi sta avvenendo in Moldavia-Transnistria.

E così, mentre Kiev ha reso più concreta la prospettiva dell’adesione all’UE, Bruxelles sta predisponendosi affinché per il 2035 almeno il 65% degli armamenti europei sia prodotto da industrie dell’Unione. In tale ambito, la proposta legislativa per il Programma Europeo per l’Industria della Difesa (EDIP - European Defence Industry Programme) è stato presentato dalla Commissione Europea il 5 marzo. Tuttavia, diventare produttori indipendenti non sarà facile.

Ad ogni modo, le elezioni americane non saranno il solo elemento politico di attenzione del 2024. In ben 76 paesi, infatti, quest’anno sono previste elezioni nazionali, a partire proprio da quella Russia (15-17 marzo) che ha riportato la guerra sul suolo europeo e che sta usando l’aggressione e i crimini di guerra e contro l’umanità (ultimamente la Corte Penale Internazionale ha spiccato due mandati di arresto per due ufficiali russi2) come metodo per ottenere il suo “spazio vitale”.

In tale ambito Putin, che è al comando da un quarto di secolo, corre sostanzialmente da solo per ottenere il suo quinto mandato. Mentre il suo successo (probabilmente plebiscitario) non è in discussione a est degli Urali, dove la popolazione è estremamente povera e abbastanza frammentata sul territorio, sarà interessante vedere l’esito delle consultazioni nelle grandi città, a partire da Mosca e San Pietroburgo, dove è possibile (con un certo rischio) reperire informazioni indipendenti e dove il dissenso verso la guerra è continuamente espresso in varie forme. Secondo alcuni, infatti, circa il 52% dei russi vorrebbe la pace e circa il 17% vorrebbe restituire i territori occupati all’Ucraina3.

Come dicevamo, molte elezioni nazionali che vedono andare alle urne, tra gli altri, i cittadini di India, Messico, Indonesia, Sudafrica, Etiopia e dell’ambigua Turchia (31 marzo). Elezioni nelle quali il 51% della popolazione mondiale si troverà a scegliere chi e che forma di governo desidera avere. Tra questi, mentre il nuovo presidente argentino sta scombussolando i piani cinesi, anche Perù, Venezuela e Haiti dovrebbero andare alle urne in un quadro di grande instabilità, fomentata dalla presenza di attori inseriti ad-hoc da potenze esterne.

Nel frattempo, Taiwan ha già fatto una scelta, nonostante le forti pressioni cinesi. La vittoria del candidato indipendentista ha fatto irritare Pechino che, tuttavia, oltre alle rinnovate e note dichiarazioni sulla questione, nel corso del 2024 dovrà vedersela con una crisi economica di notevoli dimensioni.

Conclusioni

La parola “guerra” sembra stia diventando piuttosto comune nel nostro discutere quotidiano. Ciò è dovuto alla sempre più diffusa applicazione della forza bruta e della politica del “fatto compiuto” da parte di alcuni Stati illiberali che, preso atto dell’inefficacia dell’ONU e della sostanziale paralisi del suo Consiglio di Sicurezza, ormai si muovono nel sistema di relazioni internazionali con estremo cinismo, con disprezzo per la vita umana e senza alcun rispetto per il diritto internazionale, un libro che viene aperto o richiuso come un tavolino da pic-nic, a seconda dell’esigenza del momento.

Si tratta, infatti, di Paesi che si riempiono la bocca con il principio di “sovranità” riferendosi solo alla loro, non a quella di chi viene brutalizzato dalla loro arroganza e violenza. La Russia in Ucraina ne è un esempio. Ma anche la Cina, nel Mar cinese meridionale, dove dimostra un atteggiamento estremamente assertivo nei confronti degli altri paesi rivieraschi, o l’Iran, che continua a sostenere gli Hitzballah in Libano e a rifornire di droni i ribelli Ḥūthī che stanno mettendo a ferro e fuoco il Mar Rosso, attaccando il traffico mercantile internazionale e tranciando i cavi di comunicazione sottomarini, in una sorta di sfida alle potenze occidentali.

A queste gravi minacce oggi si aggiungono una molteplicità di sfide epocali globali, come il clima, la sovrapopolazione, i flussi migratori, l’intelligenza artificiale, la ricerca di risorse energetiche, che devono essere affrontate da società che oggi appaiono più frammentate, con maggiori tensioni endogene e una maggiore propensione alla contrapposizione internazionale. Un cocktail niente affatto gradevole.

Siamo, quindi, immersi in un periodo molto delicato, nel quale troppi elementi cercano di gettare benzina sul fuoco delle rivalità. Una situazione non dettata dal destino ma frutto di responsabilità umane, spesso perfettamente identificabili. Collaborazione o confronto, norme condivise o prepotenza, multilateralismo o individualismo, il futuro non è mai già scritto e le possibili alternative sono solo una nostra scelta. Le consultazioni elettorali potrebbero dare alcune risposte, fornendoci elementi di valutazione per cercare di comprendere le possibili evoluzioni dello scenario mondiale.

Abbiamo appena iniziato un anno pieno di incognite, nel corso del quale speriamo di dissipare, almeno in parte, le nubi che si stanno addensando su questo disgraziato pianeta.

1 Mi riferisco alle regioni Ituri, Nord e Sud Kivu, compresa l’area del Parco nazionale dei Monti Virunga.

2 Sono il Tenente Generale Sergei Ivanovich Kobylash e l’Ammiraglio Viktor Kinolayevich Sokolov, nel periodo 10 ottobre 2022 – 9 marzo 2023 rispettivamente Comandante dell’Aviazione a lungo raggio delle Forze aeree russe e Comandante della Flotta del Mar Nero, quali presunti responsabili di crimini di guerra per aver lanciato attacchi contro obiettivi civili e aver causato danni eccessivi ai civili o a strutture civili, e di crimini contro l'umanità.

3 Antonello Guerrera, La Repubblica, 14 marzo 2024