Quest’anno, il 5 maggio, in diverse località d’Italia risuoneranno i versi soavi dell’ode manzoniana per ricordare la scomparsa di un personaggio che, ancora oggi, suscita sentimenti contrastanti: Napoleone Bonaparte. Il nostro paese, grazie alla formazione di un Comitato Nazionale per le celebrazioni del bicentenario, ha riscoperto questa parte di storia che ha avuto un significato fondante per la nascita dell’Italia unita.
Celebrarlo si, celebrarlo no? Un interrogativo che ha coinvolto in primis gli storici francesi i quali, lungi da perdonare tutto al loro illustre avo, lo hanno messo al centro di un dibattito in pieno stile “politicamente corretto” che certamente non restituisce giustizia al valore della storia. Le contestazioni rivolte a Napoleone sono state molte: a partire dalla misoginia, fino al fatto che fu lui a reintrodurre lo schiavismo. Questo – tutto vero per carità, con qualche dubbio per le donne forse – rischia di portarci diritti verso un errore ricorrente, causato da una mancanza totale di prospettiva storica, ma soprattutto di conoscenza storica. Come è possibile, infatti, giudicare il passato usando i parametri del presente? Lo si fa soltanto in un caso: vale a dire quando chi giudica non possiede le competenze necessarie per capire il passato e dunque è obbligato a basarsi sul presente. Ne nasce, quindi, una visione distorta, pregiudizievole e certamente errata delle vicende. Attenzione però: allo stesso modo sarebbe un grave errore scegliere di osannare, glorificare e dare per buono tutto quello che proviene da un’epoca – come quella napoleonica – che ha mietuto vittime in tutta Europa per soddisfare le ambizioni personali di un solo dominatore.
L’unica cosa su cui possiamo concordare unanimemente è che Napoleone, uomo energico alto appena un metro e sessantotto, ha solcato il suo secolo lasciando un segno, ravvisabile ancora oggi nella politica di un’Europa che lui stesso avrebbe sognato unita, ma sotto il suo totale controllo.
Come dicevamo, il Comitato per le celebrazioni del bicentenario, guidato mirabilmente dal numero uno degli studi in materia, prof. Luigi Mascilli Migliorini, ha riunito tutti i “napoleonici” sotto un’unica bandiera al fine di ripercorrere – con senso critico e imparzialità – le tappe più salienti della vita di Napoleone fino alla sua morte nella sperduta e umida isola di Sant’Elena.
In questo variopinto corollario di manifestazioni e con l’occhio sempre rivolto ai numeri della pandemia, la Reggia di Venaria, capofila delle Residenze Reali Sabaude, ha scelto di ricordare (non celebrare) la figura storica di un condottiero che, malgrado il rapporto conflittuale con il Piemonte e la sua casa regnante, ha consegnato all’Italia un’idea unitaria che solo i Savoia seppero portare a compimento dopo anni di conflitti e audaci manovre politiche.
Da Marengo alla Reggia di Venaria
Quella che stiamo per raccontare è una storia appassionante che – badate bene – deve ancora trovare un lieto fine poiché l’oggetto di cui parleremo è al centro di un’indagine che coinvolge il Centro di Conservazione e Restauro di Venaria, il Centro Studi della Reggia di Venaria e l’associazione di stato francese Souvenir Napoléonien (delegazione del Piemonte e Valle d’Aosta).
Il 5 maggio 2021, nell’immensa Grande Scuderia Juvarriana della Reggia, entrerà trionfante la carrozza imperiale “detta” di Napoleone.
Perché soltanto “detta” e non “di” Napoleone? Nel 1805, da poco indossata la corona imperiale nella fastosa cattedrale di Notre Dame a Parigi, Napoleone si spinse in Italia dove, già da alcuni anni, le idee francesi diffuse “in punta di baionetta” stavano cambiando il volto di una nazione ancora divisa. Il viaggio del 1805 però, sarebbe stato molto diverso da quelli del 1797 o del 1800: l’imperatore, infatti, si stava recando a Milano per cingere sul capo la “Corona ferrea” che ne avrebbe sancito la sovranità sul cuore pulsante della penisola italica. Certo, restavano distanti dal suo controllo le regioni centrali e meridionali, ma era solo questione di tempo. Una volta giunto in Piemonte, l’imperatore dei francesi si recò a Marengo per assistere ad una parata in ricordo della battaglia del 14 giugno 1800: quella fatidica giornata in cui, l’amico Desaix, lo salvò da una probabile sconfitta. Fu proprio durante quelle giornate che nacque la leggenda della carrozza “abbandonata”: una vettura suntuosa, realizzata nel 1805 dall’artigiano parigino Jean-Ernest-Getting, carrozziere di Napoleone. Secondo alcuni una delle vetture del convoglio imperiale si guastò e dovette essere abbandonata proprio a Marengo. Ovviamente non esistono documenti a suffragio di questa teoria, ciò nondimeno esistono tracce più plausibili sulla storia della carrozza che conducono alla fine dell’epoca napoleonica. Con ogni probabilità la vettura imperiale arrivò a Milano e li restò almeno fino al 1816, anno in cui riapparve nelle mani dell’imperatrice Maria Luigia, moglie asburgica dell’imperatore, che la portò a Parma l’anno in cui divenne duchessa di Parma, Piacenza e Guastalla.
Dal giorno in cui l’imperatore dei francesi fu incoronato re d’Italia, la parabola napoleonica fu in continua ascesa, ma una volta raggiunto l’apice lo stesso Napoleone cadde vittima dell’arte in cui eccelleva: la guerra. La campagna in Spagna del 1808 e la disastrosa ritirata di Russia nel 1812 logorarono il mito dell’invincibilità francese e, nel giro di pochi anni, Napoleone si ritrovò prigioniero ed esiliato a Sant’Elena, senza alcuna possibilità di redenzione. Dopo anni di sofferta prigionia, relegato nella ventosa e umida Longwood, il 5 maggio 1821 Napoleone esalò l’ultimo respiro seppellendo con sé luci e ombre della sua strabiliante avventura.
Il 5 maggio morì l’uomo, ma nacque il mito: la sua scomparsa fu, infatti, l’inizio di una rinascita emotiva nella memoria di quanti lo avevano ammirato, servito e sostenuto. Parole, memorie, oggetti, simboli e qualsiasi altra cosa ricordasse l’imperatore, si trasformarono in oggetto di un culto pagano che perdura ancora oggi.
Le autorità della Restaurazione, in particolare gli austriaci, cercarono in tutti i modi di smacchiare l’Europa dal bonapartismo, tuttavia l’operazione ottenne solo risultati parziali. In un Italia per l’ennesima volta dominata da mano straniera, la reminiscenza di Napoleone continuava a far breccia nel cuore di molti italiani, tra cui il farmacista Antonio Delavo. Questo benestante alessandrino, proprio a Marengo, volle allestire un museo dedicato alla battaglia: una scelta di coraggio nel Piemonte di Carlo Alberto. Tra i vari oggetti raccolti per riempire le sale museali, Delavo riuscì di nuovo a mettere le mani sulla carrozza ormai caduta nell’oblio, acquistandola dalle autorità austriache. A questo punto – secondo la ricostruzione fatta da Andrea Merlotti, direttore del Centro Studi della Reggia di Venaria – la carrozza fu oggetto di un primo intervento o, se vogliamo, di una forzatura storica che la riconducesse a Napoleone: “Risale probabilmente a quest’epoca lo stemma imperiale posto su quello di Maria Luigia per ‘ri-napoleonizzare’ la berlina. Questa restò a Marengo per un secolo, divenendo una delle attrazioni principali del Museo. Già nel 1854 essa era riprodotta con ammirazione nel volume Marengo et ses monumens, edito in una Parigi dove i Bonaparte erano ormai tornati sul trono”.
Dopo vari passaggi di proprietà che riguardarono il museo di villa Delavo, la carrozza fu lasciata incustodita a Marengo, divenendo meta di curiosi e vandali che incisero il loro nome su diverse parti lignee. “Con la chiusura del museo di Marengo” – prosegue nel racconto Merlotti - “la berlina napoleonica passò in possesso dell’antiquario di Novi Ligure Edilio Cavanna. Questi - raccontava “la Stampa” del 1° luglio 1950 - la portò in un camerone, fra attrezzi da campagna e altri veicoli fuori uso», dove chi voleva poteva «visitare il cimelio dando una piccola mancia”.
Nel 1955, prima che la vettura finisse davvero per sgretolarsi a causa dell’incuria e del tempo, Gustavo Adolfo Rol, uno dei personaggi più curiosi e in vista della Torino bene, decise di acquistarla poiché anch’esso ammiratore e collezionista di cimeli napoleonici. Gustavo Rol sperava di vedere la carrozza esposta degnamente in qualche museo torinese, tuttavia non riuscì nell’impresa e l’unica via percorribile sembrava quella di restituirla alla Francia. Solo grazie all’intervento di Noemi Gabrielli (1901 – 1979) allora Soprintendente alle Gallerie per il Piemonte, la carrozza di Napoleone passò all’Ordine Mauriziano ed infine alla palazzina di caccia di Stupinigi, luogo ove ritornerà dopo una lunga esposizione nelle scuderie della Reggia di Venaria.
Andrea Merlotti e Silvia Ghisotti, capo conservatrice della Reggia, hanno realizzato un arricchimento sul percorso di visita già esistente della Reggia di Venaria, coadiuvati anche da Souvenir Napoléonien (delegazione Piemonte e Valle d’Aosta), l’associazione francese prima al mondo per la tutela e la conservazione della memoria del Primo e Secondo impero napoleonico. Un piccolo spazio con poche opere nel quale Andrea Merlotti ha voluto raccontare alcuni passaggi fondamentali della carriera di Napoleone, ma soprattutto ha evidenziato lo stretto legame tra l’imperatore francese e la storia piemontese. Sono esposti pezzi di pregio dal grande valore simbolico: dalla celebre Relation de la bataille de Marengo, alla spada di Napoleone fino alle suggestive aquile imperiale dei veliti regalate dal generale Teodoro Lechi al re Carlo Alberto.
Il ruolo di Souvenir Napoléonien
L’associazione francese più importante che si occupa della memoria napoleonica è certamente Souvenir Napoléonien. Fondata il 27 dicembre 1937, nel 1982 ha ottenuto il riconoscimento dallo stato francese come associazione di utilità pubblica e capo fila di qualsiasi iniziativa riguardante la conservazione e la tutela del ricordo del Primo e del Secondo impero.
Le sue sedi sono presenti in tutto il mondo, tuttavia l’Italia riveste un ruolo molto particolare poiché, grazie all’instancabile lavoro di coordinamento di Alessandro Guadagni e di tutti i delegati regionali italiani, le iniziative sono cresciute sia di quantità, sia di qualità.
Nel Comitato Nazionale per le celebrazioni del bicentenario, presieduto da Luigi Mascilli Migliorini e da Marina Rosa, il Souvenir Napoléonien riveste un ruolo di prim’ordine, essendo presente coi suoi membri in diverse iniziative. Sulla carrozza, la delegazione di SN Piemonte e Valle d’Aosta, presieduta da Mario Dagasso e dallo scrivente, ha dato un contributo scientifico importante, ma non solo. Sono diversi i collezionisti privati – soci di SN – che hanno prestato volentieri alcuni pezzi delle loro raccolte per raccontare la storia di Napoleone in Piemonte. Sempre SN sta avendo un ruolo importante per la rinascita del Marengo Museum, uno dei musei “napoleonici” piemontesi più importanti che, proprio in occasione di questo bicentenario, ha deciso di “rifarsi il trucco” proponendo al pubblico nuove iniziative culturali.
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