Si dia inizio alle danze: dei due missili iraniani diretti verso Erbil, capoluogo del Curdistan iracheno, uno ha “mancato” la base di quasi cinque chilometri e non è esploso, mentre l’altro ha colpito la campagna di Bardarsh senza fare vittime. Una ventina di razzi, nel frattempo, hanno colpito le basi di Camp Cooke e la base di al-Assad nelle regioni sunnite dell’Iraq.
Per ora, a parte il Tweet di The Donald in nottata, si è fatto sentire solo il Foreign Office, con una nota di condanna dell’attacco e di invito a ritornare al negoziato. Probabilmente, il ministro Di Maio metterebbe un like a una nota così “pacifica”.
Meno amichevoli gli scambi di “cortesie” fra Washington e Teheran anche in ambito diplomatico: mentre la prima nega al ministro Zafir il visto per partecipare all’assemblea dell’ONU, la seconda annuncia la sospensione degli scambi di prigionieri (e di spie, diciamo noi).
Tralasciamo i commenti in attesa di maggiori informazioni e ci limitiamo a informarvi sui fatti in corso: nelle ultime 24 ore un raid aereo turco ha ucciso due militanti del PKK (partito comunista curdo, il nemico numero uno di Ankara fra i Curdi) a Gara, nell’estremo Nord dell’Iraq, ma non è apparso nelle cronache nemmeno come un trafiletto. Tra l’altro, la regione - ufficialmente parte della regione curda irachena e territorialmente controllata da Bagdad - è letteralmente imbottita di punti di osservazione e basi delle Forze armate turche, uno dei quali - a poche ore di strada da Mosul - è vicinissimo a uno dei target “ciccati” dagli iraniani.
Last but not least, nella piana di Ninive lo Stato islamico controlla ancora un territorio vasto quanto il Friuli-Venezia Giulia o poco più.
Foto: Türk Silahlı Kuvvetleri