Israele, che per una volta lascia sullo sfondo, ma non troppo distante, sarebbe del resto impossibile, Tsahal (le forze armate, ndr) e Gaza, trova motivo di scontro in una controversa riforma della giustizia promossa dal premier Netanyhau. In quello che potrebbe apparire come un apparente paradosso, quanto sta avvenendo avvicina Tel Aviv all'Europa più di quanto non appaia.
La reiterazione di elezioni e di esecutivi di diverso colore, al di là delle ovvie considerazioni circa le conseguenze dovute alla perdurante mancanza di un'indispensabile stabilità, si contrappone alla consueta immagine di un Medio Oriente caratterizzato da repressioni violente di qualsiasi dissenso o difformità dai più comuni e pervasivi precetti morali o religiosi che, non a caso, per mesi, hanno insanguinato in farsi le strade di Teheran e delle principali città sante d'Iran.
Che piaccia o meno, con tutti gli innegabili difetti di cui soffre Israele, la dialettica politica segue paradigmi occidentali: il Paese sciopera, manifesta, esprime il proprio malcontento per una riforma che, di fatto, porta con sé troppe incognite. Il dissenso si è peraltro esteso anche in seno all'esecutivo, inducendo il premier a dimissionare il ministro della difesa, forse non a torto preoccupato per un dibattito pubblico che, proprio per la fisiologia politica israeliana, non può non coinvolgere anche chi indossa una delle uniformi più impegnative al mondo. Ma dimissionato il ministro, è rimasto il neo capo di stato maggiore, Halevi, che, da pari suo, da militare fedele a Paese e Bandiera, ha richiamato tutti al più stretto senso di responsabilità.
Inutile e puerile nascondersi dietro un dito: più di un paese sta guardando a Gerusalemme sperando in una devastante crisi sociale capace, potenzialmente, di riuscire dall'interno laddove armi ed eserciti meglio armati e numericamente soverchianti, al di là delle frontiere, hanno sistematicamente fallito. Ma Israele, per sua natura, si regge su alchimie e compensazioni delicatissime che, se sbilanciate, porterebbero ad una crisi profonda i poteri dello stato.
È innegabile che la sofferenza istituzionale si stia riverberando su ogni aspetto istituzionale, sull'economia che potrebbe perdere i suoi preziosissimi unicorni, sulla coesione interna.
Di grande e nobile rilevanza la figura del presidente Herzog, disposto a giocarsi credibilità e peso politico per un Paese difficile, complesso, ma mai così necessario alla tenuta politica del bacino mediterraneo.
Siamo onesti, figli di un occidente aduso al compromesso ed all'impossibile convergenza di rette parallele, quanto sta accadendo non così lontano, ci spiazza. È per questo che, nonostante il momento così drammatico, scommettiamo ancora sullo spirito di un popolo che, nel suo DNA, ha il gene della caparbietà e del saper reagire ad ogni avversità. Lo hanno dimostrato in passato, lo stanno dimostrando ora non con una vuota retorica ma con una dialettica viva e coinvolgente.