Dagli incontri avuti negli Stati Uniti lo scorso agosto, il neo premier israeliano Naftali Bennett è tornato in Patria con molti dubbi e un’unica certezza: lo Stato di Israele dovrà affrontare da solo la minaccia nucleare iraniana!
Il crollo del governo afghano, “liberamente” eletto e appoggiato dagli USA e dai suoi alleati, ha inferto un colpo assai pesante alla reputazione di Washington, in special modo nella regione mediorientale. Il successo delle milizie islamiche rappresenta un modello esportabile in altri contesti geopolitici, come ad esempio il Libano. Non è certo un segreto che il “Paese dei cedri” ha una economia ormai al collasso e delle istituzioni (sia civili che militari) assolutamente incapaci di garantirne la sicurezza, soprattutto interna.
Di contro gli Hezbollah stanno aumentando, in misura esponenziale, il controllo del territorio, facendo sempre più proseliti tra la popolazione libanese, in quanto già da tempo sono riusciti ad occupare molti spazi nella vita sociale dei cittadini, spazi lasciati colpevolmente vuoti dalle istituzioni di Beirut.
Ovviamente la crescita degli Hezbollah è avvenuta soprattutto grazie al forte appoggio di Teheran (anche se negli ultimi anni i finanziamenti si sono notevolmente ridotti causa le sanzioni internazionali cui il regime di Teheran è sottoposto), il cui obiettivo principale è quello di avere uno sbocco diretto al Mar Mediterraneo e poter diventare il principale esportatore di gas naturale della regione (gli iraniani stanno scavando un istmo di circa 750 km che unirà il Mar Caspio al Golfo Persico). Da non sottovalutare neanche il sostegno della Turchia e del Qatar i quali, con l’Iran, stanno formando un asse in chiave antiebraica.
Più delicata la posizione dell’Iran in Siria, dove deve comunque confrontarsi con la Russia. La presenza delle milizie islamiste di Teheran, nel sud del Paese, ha permesso il lancio di razzi guidati contro il territorio israeliano.
L’Amministrazione Biden è sempre meno presente in Medio Oriente, un’area cruciale per l’Occidente. Nella geopolitica non esistono spazi vuoti, se una Potenza si ritira ce n’è subito pronta un’altra a sostituirla.
Questa fase di stanca della Superpotenza è sentita in modo particolare dagli israeliani, anche dal punto di vista delle forniture militari. Ecco perché i vertici delle IDF spingono per un incremento dell’autonomia produttiva dell’industria militare nazionale (autonomia che comporterebbe forti incrementi nei costi). Nel 2009 la vendita degli elicotteri d’attacco AH-64D alla IAF venne bloccata dall’ allora Amministrazione Obama (Biden era il vicepresidente) per il timore che potessero essere utilizzati contro la popolazione civile di Gaza (in un simile contesto vorremmo capire come distinguere un miliziano da un non combattente).
È ormai indubbio che il presidente Biden voglia imporre allo Stato d’Israele due diktat: un accordo con l'Iran, sul piede di guerra con tutto il resto dell'Islam jihadista contro l'Occidente e un accordo coi Palestinesi, che non riconoscono lo Stato Ebraico mentre Hamas ha dichiarato che l'Afghanistan è la dimostrazione tangibile che gli ebrei saranno spazzati via (a tal proposito è significativo l’incontro tra il presidente turco Erdoğan e Isma’ il Haniyeh, “primo ministro” di Hamas, il 22 agosto 2020 a Istambul).
Teheran sta perseguendo due obiettivi strategici fondamentali: diventare il maggiore esportatore di gas naturale dell’area mediorientale (e quindi verso l’Europa) e possedere l’arma nucleare.
Gerusalemme (e l’Occidente) non può permettersi che tali obiettivi si realizzino.
Foto: IDF / U.S. DoD