I media italiani sono concentrati sul COVID-19 e sul prossimo summit europeo, tuttavia è doveroso prestare attenzione alla guerra (sempre meno) civile libica.
In queste ultime settimane, sia il generale Haftar che il presidente della GNA al-Sarraj, hanno continuato a ricevere rifornimenti (armi e materiali) dai rispettivi sponsor.
Il sostegno militare di Ankara ha permesso alle milizie di al-Sarraj di sferrare una controffensiva (operazione Tempesta di pace) che ha obbligato le forze della Cirenaica a una precipitosa ritirata dalle posizioni lungo il confine tunisino. Le perdite di Haftar sono significative, soprattutto per quanto riguarda gli ufficiali (molte perdite sono state causate dai droni armati turchi Bayraktar TB2).
In questi giorni si sta combattendo anche a sud di Tripoli, dove le milizie siriane di Ankara stanno inferendo duri colpi agli uomini di Haftar: al-Sarraj ha fretta di chiudere la partita prima dell’inizio del Ramadan il 24 aprile.
La credibilità ed il prestigio (per quello che ne rimaneva) delle Nazioni Unite sono certamente da annoverare tra le vittime della guerra in Libia.
Numerosi sono stati i fallimenti registrati sul fronte della ricerca di una soluzione politica condotta dall'ormai ex rappresentante speciale del segretario generale delle Nazioni Unite, Ghassan Salamè (foto) che ha rassegnato le dimissioni ai primi di marzo di quest’anno.
Altro non pervenuto è l’Unione Europea, afflitta in questo momento dall’emergenza infettiva e concentrata sui meccanismi economici per salvare (almeno si spera) le economie degli Stati membri, sembrerebbe che stia del tutto ignorando il teatro libico.
Sul ruolo del nostro Paese tacciamo per carità di patria.
D’altronde, la Conferenza di Berlino sulla Libia, del 19 gennaio scorso, con la sua lunga lista di raccomandazioni e direttive, costituisce la prova finale del fallimento di qualsiasi iniziativa politica che non tenga prioritariamente conto dell’effettiva situazione sul terreno.
Ad oggi, i principali player, nella partita libica, sono ben altri.
Dalla parte di Haftar c’è l’Egitto di al-Sisi che sta reclutando miliziani sub-sahariani da farli combattere contro le forze del GNA; mentre il Sultano Erdoğan continua a rafforzare il dispositivo militare di Tripoli in base agli accordi presi recentemente.
Come è noto, il 27 novembre 2019, Tripoli e Ankara hanno firmato un trattato sulle frontiere marittime, fortemente osteggiato dall’Egitto e da Israele.
Obiettivo del Trattato: definire confini delle ZEE (Zone Economiche Esclusive), ossia i tratti di mare in cui sarà possibile per Tripoli e Ankara sfruttare le risorse energetiche; consentire alla Turchia di fornire assistenza militare in caso di richiesta da parte del governo libico.
Tripoli sostiene le ambizioni energetiche di Ankara nel Mediterraneo; Ankara offre supporto politico e militare a Tripoli.
L’Egitto aveva escluso la Turchia da una serie di incontri indetti nel 2018 che hanno portato all'istituzione nel gennaio 2019 del Forum del gas del Mediterraneo.
Tradotto nella declinazione della politica estera di Ankara: Ostacolare lo sfruttamento commerciale della zona, al fine di obbligare gli altri paesi al riconoscimento geopolitico ed economico della Turchia nel Mediterraneo Orientale; aggirare il fallimento del riconoscimento della zona turca di Cipro; estendere la propria zona di influenza alle acque cipriote, con la ridefinizione dei confini marittimi, delle aree di esplorazione, oppure giungere ad un accordo; sfruttare le fonti energetiche libiche.
Se la situazione di Haftar dovesse peggiorare, non gli rimarrebbe altra scelta che bloccare del tutto le esportazioni di greggio (fonte primaria di sostentamento della popolazione libica), provocando così una gravissima crisi umanitaria che il governo italiano si troverebbe a dover gestire con poche possibilità di limitare le partenze dal territorio libico e la fine di qualsiasi politica di gestione di flussi.
L’aumento del livello di violenza del conflitto determinerebbe un calo della produzione di idrocarburi e la cessazione dell’attività in diversi impianti.
Le forze politiche che si riconoscono nel generale libico avrebbero tutto l’interesse ad assegnare i nuovi contratti di esplorazione ed estrazione alle aziende energetiche dei loro principali sostenitori internazionali (in primis Egitto ed Emirati Arabi Uniti), a discapito di ENI.
Per quanto riguarda i contratti petroliferi esistenti non ci sarebbero invece rischi nell’immediato, in quanto le attività di ENI sono regolate da contratti internazionali che hanno una durata compresa tra il 2038 e il 2043.
Foto: Twitter / presidency of the Republic of Turkey