Libia: si riaccendono gli scontri tra milizie. Pacificazione ancora lontana.

(di Filippo Del Monte)
09/09/21

Mentre in Afghanistan si consolida il potere talebano, il Mediterraneo continua ad essere un’area contesa, mare di scontro prima che di incontro. Una delle polveriere del (fu) Mare Nostrum resta la Libia in cui proprio in questi giorni si ha una recrudescenza degli scontri tra opposte fazioni che stanno minando dalle fondamenta il “processo di pacificazione” annunciato dal primo Ministro e ministro della Difesa ad interim Abdul Hamid Mohammed Dbeibeh.

Nel corso dell’ultima settimana si sono registrati violenti scontri a Tripoli tra i miliziani della 444ª brigata e quelli della Forza di Supporto per la Stabilizzazione (ASS) che hanno portato anche all’occupazione da parte dei primi del Ministero della Salute. Membri della ASS sono stati tratti in arresto dalle forze della 444ª brigata e questo ha contribuito ad esacerbare la tensione tra i due gruppi che si stanno scontrando per il controllo del territorio.

La 444ª brigata risponde in linea gerarchica agli ordini provenienti dal comando della Regione Militare di Tripoli e quindi risulta dipendente dal Ministero della Difesa. Questa grande unità è comandata dal capitano Mahmoud Hamza - noto miliziano salafita, ex membro delle Forze Speciali di Deterrenza (RADA) ed integrato nel ricostituito Esercito Libico - il quale nello scorso aprile ha guidato la brigata in operazioni di polizia contro i gruppi armati presenti nella capitale che si erano rifiutati di sottostare agli ordini del Ministero della Difesa.

Tuttavia il comandante del Distretto Militare di Tripoli, il generale Abdel Basset Marwan, ha evidenziato alcuni “punti oscuri” nelle azioni condotte dalla 444ª brigata, accusata di portare avanti una propria politica indipendente dal Governo e di aver partecipato a tal proposito a riunioni non autorizzate con altre milizie ed avrebbe inoltre aperto un conto indipendente dove sarebbero stati versati 10 milioni di dinari (circa 2 milioni di dollari USA) contravvenendo alle regole in quanto essa non potrebbe avere un bilancio separato da quello del Distretto Militare di Tripoli. In particolare l’esistenza di questo fondo non autorizzato lascia pensare che la brigata di Mahmoud Hamza abbia ben altre fonti di sostentamento rispetto a quelle ufficiali.

Nel complesso equilibrio politico-militare libico e tripolino in particolare, la 444ª brigata è considerata parte dei gruppi filo-turchi, rappresentandone un’ala estremista e che non risponde pienamente ai desideri di Ankara, tanto più che oggi per Erdogan è fondamentale assecondare il processo di pacificazione del Paese per sedimentare la propria posizione e non fomentare ulteriori scontri armati.

Il gruppo rivale della 444ª brigata, la Forza di Supporto per la Stabilizzazione, è invece un apparato militare fondato il 18 gennaio 2021 su ordine dell’allora primo ministro del GNA Fayez al-Sarraj decretando l’unificazione delle milizie tripoline che avevano sostenuto la guerra contro le truppe di Haftar nei mesi precedenti. In particolare il direttivo dell’ASS è formato da un presidente, Abdelghani al Kikli (fondatore e comandante della disciolta milizia denominata “Forza di sicurezza centrale di Abu Salim”, unità veterana della guerra contro Gheddafi nel 2011 e poi rimasta attiva a sostegno di Tripoli contro Tobruk e poi di Sarraj contro i suoi rivali interni), e da tre vicepresidenti, rispettivamente Hassan Muhammad Hassan, Abu Zariba e Musa Abu Al-Qassem Musa Masmus, tre dei più importanti capi-milizia della capitale. Spina dorsale dell’ASS è il gruppo denominato “Ghaneiwa”, erede diretto della milizia di Abu Salim ed alle dipendente di al Kikli, il quale è stato protagonista degli scontri a fuoco di questi giorni a Tripoli.

Non riuscire a garantire la sicurezza per le strade della capitale, non avere il potere di disarmare le milizie e di tenere a freno gli appetiti dei loro capi, anche di quelli ormai “istituzionalizzati” ed inseriti a pieno titolo nei gangli della macchina governativa, non è un buon “biglietto da visita” per Dbeibeh né per i funzionari delle Nazioni Unite che ancora sperano di poter convocare le elezioni per il 24 dicembre 2021 come da agenda.

Senza contare che l’esecutivo di transizione in carica ha anche un problema di politica estera da dover risolvere e che è una delle più spinose eredità di Sarraj e dell’ultima fase della guerra aperta contro Haftar: la questione dei confini della ZEE turco-libica. Durante una vista ad Atene del ministro degli Esteri libico Najla Mangoush, il collega ellenico Nikolaos Dendias ha colto l’occasione per fare presente che il governo Mītsotakīs non gradisce l’attuale accordo di giurisdizione marittima siglato tra Turchia e Libia. La ZEE libica, la cui estensione è stata funzionale all’allargamento di quella turca a scapito della Grecia, è uno dei dossier di politica marittima più scottanti in quanto essa ha determinato gravi tensioni tra i Paesi vicini ed è un palese strumento nelle mani di Ankara per sondare i fondali ed estrarre petrolio, rispondendo pienamente ai dettami strategici della Mavi Vatan che poggiano sull’idea di “diplomazia delle navi da guerra e delle trivelle” dell’ex contrammiraglio Cihat Yaycı, attuale presidente del think tank “Türk Denizcilik ve Global Stratejiler Merkez” (Centro Turco di Strategie Marittime e Globali).

Foto: 444ª brigata