Nel pomeriggio di ieri - 11 aprile - si è verificato uno scontro a fuoco tra l'esercito armeno e quello azero in una località di confine, con morti e feriti per ambo le parti. Si tratta, dopo settimane di violazioni, di un ulteriore passo verso la rottura della tregua che dal 2020 ha congelato il conflitto tra le due nazioni.
Gli scontri si sono verificati in prossimità del villaggio di Tegh, nella regione armena di Syunik, alle 16:00 ora locale, quando alcuni soldati armeni intenti in operazioni ingegneristiche sono entrati in contatto con una pattuglia azera. Ne è seguito uno scontro a fuoco durato alcune ore in cui hanno perso la vita, secondo fonti governative, 4 soldati armeni e 3 azeri. Tra i numerosi feriti vi sarebbe il comandante delle forze speciali armene Golayen.
Ad esacerbare la tensione avrebbe contribuito l'avvistamento di droni di sorveglianza iraniani sull'area degli scontri (il ministero della difesa armeno ha tuttavia dichiarato ufficialmente di non possedere droni iraniani, ndr). Sebbene in seguito all'episodio entrambi i paesi abbiano posto in stato massima allerta i contingenti schierati ai rispettivi confini, le ostilità sono rimaste limitate al villaggio di Tegh e sono completamente cessate in serata.
La responsabilità dell'incidente
Le autorità di entrambi i paesi si accusano reciprocamente di aver provocato l'incidente. Il Ministero della Difesa armeno, in una nota diffusa nel pomeriggio, afferma che si sia trattato di un attacco condotto da parte azera con mitragliatrici e colpi di mortaio contro una posizione in cui erano in corso opere del genio militare delle forze armate armene. Alcuni video pubblicati dai media in Armenia e rilanciati dallo stesso Ministero della Difesa poche ore dopo sembrano confermare tale versione.
Da parte sua il governo azero nega ogni responsabilità, bollando l'intero episodio come una ennesima provocazione armena alla quale le proprie forze armate hanno reagito adeguatamente. È rilevante a questo proposito osservare come, sebbene a pochi chilometri dal corridoio di Lachin, il teatro degli scontri si trovi in territorio armeno e non nella regione contesa.
Settimane di tensione
L'episodio è avvenuto dopo settimane di crescente tensione nel Nagorno-Karabakh. Yerevan ha denunciato numerose violazioni della tregua da parte azera negli ultimi mesi, molte delle quali confermate dalla Federazione Russa, che con un contingente schierato in Artsakh svolge il ruolo di garante della tregua secondo gli accordi trilaterali del 2020. Contestualmente le autorità dell'autoproclamata repubblica di Artsakh lamentano il perdurare del blocco del corridoio di Lachin, posto pretestuosamente dalle forze azere dal 12 dicembre dell'anno scorso.
Parallelamente dal mese di marzo si sono inaspriti i toni tra le autorità azere e quelle iraniane, con accuse da parte di Baku di attività terroristiche condotte dall'Iran e l'espulsione di personale diplomatico iraniano dal territorio azero. Per tutta risposta l'Iran ha schierato poche settimane fa un contingente al confine meridionale dell'Azerbaigian, che staziona in stato di allerta e conduce ricognizioni aeree sulla regione.
Considerata la somiglianza agli avvenimenti che riaccesero la miccia del conflitto nel 2020, in un clima di simile tensione è lecito temere che episodi come quello di ieri possano portare ad una rottura definitiva della tregua e ad un terzo capitolo della guerra tra Armenia e Azerbaigian. Tuttavia i rapporti di forza nella regione sono cambiati, e la disponibilità armena ad ingaggiare un conflitto armato è fortemente ridimensionata.
L'Armenia isolata
Se già dalla guerra del 2020, grazie al sostegno turco, i rapporti di forza nel Nagorno-Karabakh si erano rovesciati in favore di Baku, l'Azerbaigian sembra ad oggi intenzionato ad approfittare della condizione di isolamento in cui si trova l'Armenia in seguito al recente mutamento degli equilibri nel caucaso meridionale.
La Federazione Russa, storico sostenitore di Yerevan, in seguito alla guerra in Ucraina ha infatti riallacciato i rapporti con l'Azerbaigian, attraverso i cui gasdotti ha trovato una via per finanziarsi aggirando le sanzioni occidentali. Ancor più dell'interesse economico, nel disimpegno dal teatro caucasico per la Federazione Russa pesa il timore che un irrigidimento in difesa dell'Armenia possa innescare un coinvolgimento diretto russo in un conflitto ai propri confini meridionali, aprendo così un secondo fronte di guerra che difficilmente la Federazione può permettersi nelle circostanze attuali.
La scarsa disponibilità russa ad impegnarsi in sua difesa ha spinto nell'ultimo anno l'Armenia a disertare le esercitazioni con l'Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva e intraprendere un dialogo con la Nato. Recentemente era stata annunciata l'adesione armena alla grande esercitazione Nato Defender 23, prevista per fine aprile. Tuttavia, senza che sia stata fornita una spiegazione da parte della Nato o delle autorità armene, poche ore prima degli scontri di ieri l'Armenia risultava depennata dalla lista di paesi partecipanti all'esercitazione.
Anche ammesso che i rapporti con la Nato proseguano e che l'intoppo sia stato momentaneo, ci vorrebbero comunque anni perché le forze armate armene siano di fatto integrabili nel trattato atlantico, considerata la completa dipendenza dalla Russia in termini di standard ed equipaggiamento che hanno avuto in questi anni, in continuità col periodo sovietico.
In una dichiarazione odierna la portavoce del Ministero degli Esteri Russo, Maria Zakharova, ha manifestato il disappunto della Federazione riguardo l'eventuale partecipazione armena ad esercitazioni nell'ambito Nato.
Nel limbo in cui sembra trovarsi l'Armenia, l'unica certezza pare la determinazione iraniana ad intervenire contro l'Azerbaijan in caso di escalation. Per la repubblica islamica, all'interesse di contenere la presenza turco-azera ai propri confini, si aggiunge la necessità mantenere aperta una via di comunicazione terrestre verso la Russia per aggirare l'accerchiamento occidentale.
A margine di tale contesto, vale la pena osservare come in Italia la storica sensibilità alla causa armena si sia affievolita di pari passo col crescere dell'importanza del gas azero nella strategia energetica nazionale. Il ministro Crosetto, in visita a Baku il 12 gennaio, ha annunciato collaborazioni militari con l'Azerbaijan, mentre proseguono le trattative con per un raddoppio della portata del gasdotto Tap entro il 2027.
Evidentemente gli sviluppi nel Caucaso meridionale rischiano di avere un impatto significativo ben al di là della dimensione regionale.