Trent'anni anni fa sarebbe stato impensabile, ma nel Vicino Oriente tutto è possibile. Mentre scriviamo, l'esercito regolare libanese agisce in parallelo a Hezbollah al confine con la Siria nelle guerra contro l'ISIS e contro i ribelli dell'HTS (Movimento per la liberazione del Levante), cartello che riunisce una ventina di gruppi integralisti sunniti tra cui predominano gli ex Al Qaeda.
Alla luce del comune nemico jihadista il dato può non sortire particolari clamori, ma nel contesto degli equilibri interni al Paese dei cedri, il passaggio è epocale.
Andiamo per gradi, cominciando dai dati sul campo.
Il 18 agosto inizia la campagna dell’esercito libanese Dawn of the jurds rivolta a liberare dalla presenza terrorista il nord della Valle della Bekaa e i rilievi tra Libano e Siria. All’operazione partecipano mezzi pesanti, reparti speciali e forze aeree.
Nel mese di luglio la stessa campagna a cavallo tra Siria e Libano nord orientale era stata intrapresa da Hezbollah e dall’esercito siriano, parte della grande offensiva di riconquista della Siria avviata da Assad e alleati (Iran e Russia) contro l’insorgenza integralista sunnita.
L’equazione è elementare. L'obiettivo della milizia sciita libanese alleata di Damasco è sostanzialmente identico a quello del governo di Beirut: sradicare le sacche legate all’ISIS e ad Al Qaeda da tutta la regione.
I media internazionali passano la notizia con cautela, rimarcando le dichiarazioni ufficiali di Beirut secondo cui non c’è coordinamento fra l’esercito libanese e i siriani, ma soprattutto non c’è coordinamento con Hezbollah. I fatti però parlano chiaro: Libano e Siria conducono la stessa guerra.
Possibile?
La Valle della Bekaa, cucitura tra il verde del Libano costiero e l'arido delle regioni interne che portano a Damasco, è la culla di Hezbollah. Nell'antichissima città di Baalbeck, intreccio di archeologia, cinema e AK 47, gli inciuci di Beirut arrivano poco. Qui Hezbollah è l'unica voce presente e riconosciuta.
Le operazioni più eclatanti dell’esercito libanese sono avvenute a Raas Baalbeck, un’altura distante 5 km dalla città. Proprio qui i soldati di Beirut hanno debellato i terroristi e alzato la bandiera spagnola insieme a quella libanese come tributo ai caduti della Rambla a Barcellona. Come dire all’Occidente imbelle: “Noi siamo quelli che combattono il terrorismo…”.
Pensare che questo sia avvenuto senza il tacito consenso (se non l’appoggio diretto) di Hezbollah, è ridicolo.
La guerra di Hezbollah contro i "takfiri" dell'ISIS e dell'HTS da queste parti è cosa naturale, sorta di necessità di sopravvivenza per una regione che vede la Siria da sempre come una grande mamma. Non a caso a Baalbeck ci sono più ritratti di Assad che cartelli stradali.
La Valle della Bekaa è stata per decenni la più antiisraeliana e antiamericana di tutte le anime del Libano, nemica storica delle componenti falangiste cristiano maronite che ai tempi della guerra civile flirtavano con Israele.
Ma è proprio su questo punto che si ribalta il tavolo.
L'attuale presidente libanese generale Michel Aoun è stato il simbolo di quel Libano che fino alla fine della guerra civile non ha voluto piegarsi alle ingerenze siriane. Fino alla Rivoluzione dei cedri del 2005, una fetta consistente di cristiani libanesi tra cui le fazioni legate al clan dei Gemayel (di cui Aoun era in qualche modo figlioccio), ha sempre lottato contro la pretesa siriana di fare del Libano un protettorato di Damasco. Dal 2008 le cose sono però cambiate.
Una parte importante della società cristiana libanese ha cominciato a guardare con sospetto i musulmani sunniti e a non avere più l'ossessione di Hezbollah, partito sponsorizzato dagli sciiti al potere in Siria e in Iran.
Aoun, tornato dall'esilio costretto a suo tempo proprio dai siriani, visita Damasco dove incontra Bashar Al Assad. Il c'eravamo tanto odiati diventa amicizia politica. Il nuovo Movimento Patriottico libanese di Aoun stringe con Hezbollah e ne condivide l'obiettivo strategico: ridurre le ingerenze saudite (e quindi israeliane) nel Paese.
La guerra in Siria mette in luce questo nuovo equilibrio che ovviamente non a tutti piace, anzi.
Il primo a storcere il naso è il primo ministro libanese Saad Hariri, sunnita ed espressione dei clan legati all’Arabia Saudita storicamente antisiriani e nemici di Hezbollah. Il nuovo corso inaugurato dal Presidente Aoun sembra però costringerlo ad ingoiare il rospo: se i falangisti nella guerra civile combattevano contro i soldati di Damasco che fino agli anni ’80 includeva l’intero Libano nelle mappe della Siria, oggi un intero settore della società libanese guarda altrove e i nemici di ieri diventano potenziali alleati. A questo proposito e per far intendere quanto sia complessa la politica libanese, val la pena ricalcare la presa di distanza di Samir Geagea (leader dei maroniti delle Forze Libanesi) che invece continua la sua politica anti-siriana in una sorta di continuità storica senza se e senza ma.
Come accennato, sulle nuove dinamiche ufficialmente tutto tace. I legami con Hezbollah, inserito dal 2016 nella lista dei terroristi dalla Lega Araba, non possono venire a galla. Il Libano è una repubblica semipresidenziale dove il presidente condivide il potere esecutivo col capo del governo. Le cariche istituzionali si confrontano sulla linea di un fragilissimo equilibrio, su cui incombono potenze vicine e lontane. Allo stato attuale la prevalenza degli sciiti che stanno vincendo la guerra in Siria, appare evidente.
Quel che avverrà però e se questo processo sarà solido lo capiremo meglio nei prossimi mesi, quando Assad avrà espulso l’ISIS dalla Siria e l’Occidente dovrà fare i conti con un Iran molto più potente di dieci anni fa.
Aoun è vecchio ed è impossibile prevedere quale eredità politica gli sopravviverà. Il dado però è tratto. Il Libano di oggi non è più quello della guerra civile degli anni '80 e l’asse sciita tra Mediterraneo e Oceano Indiano, tanto osteggiato da America, Europa e Israele è quasi un dato di fatto.
(Foto: القوات المسلحة اللبنانية)
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