In Siria le ultime notizie dal fronte concentrano l'attenzione sulla direttrice di Deir Ezzor. Le truppe siriane stringono sulle roccaforti ISIS a ridosso dell’Eufrate, mentre le forze arabo curde delle SDF, supportate dagli USA, cercano di chiudere su Raqqa e avanzare verso sud.
Dai comandi della Asaysh (le forze di sicurezza curde, allineate alle Syrian Democratic Forces) emerge forte una preoccupazione: se Assad riprenderà il controllo della Siria sudorientale (Governatorato di Deir Ezzor e confine siro-iracheno) sarà l'Iran il vero vincitore strategico della guerra, come già paventato da Israele. La sconfitta dell'ISIS in sostanza sarà la fine di quella piattaforma politico-militare sunnita creata per arginare l'asse sciita tra il Mediterraneo e il Golfo Persico; il vuoto creato, sarebbe inevitabilmente riempito proprio da Teheran.
Nei fatti, l'attuale peso sciita nelle istituzioni e negli apparati militari iracheni potrebbe permettere una continuità territoriale fra Libano (dove Hezbollah gode di un radicamento crescente sul territorio anche in virtù dei meriti conseguiti contro la jihad sunnita) e l'Iran, passando per una Siria ancora dominata dagli sciiti alawiti di Assad. Sul terreno, questa realtà, anche se non consolidata, già esiste. In considerazione del fatto che il maggiore alleato di Damasco (dopo la Russia) è Teheran, sponsor anche degli sciiti iracheni, s'intuisce il grande risultato strategico per l’Iran che riuscirebbe ad allargare in modo sensibile l'area d’influenza in una regione strategica, soprattutto con riguardo alle riserve energetiche: la provincia di Deir Ezzor è la più ricca di petrolio della Siria e non sono poche le voci in Occidente (e di riflesso nel mondo curdo) che auspicano una resistenza ad oltranza dell’ISIS, pur di evitare maggiori ingerenze iraniane nell’area.
La valutazione assume maggior valore in considerazione del conflitto politico in corso nel Golfo, dove il Qatar, storicamente sunnita e membro del Consiglio di Cooperazione, sembra ammiccare a Teheran, dividendo il fronte petro-monarchico arabo e creando non poche preoccupazioni all'Arabia Saudita, deus ex machina della rivolta anti Assad e anti sciita in Siria. Le fibrillazioni di Israele in questo senso sono già note, con un picco toccato nel 2015 al tempo degli accordi sul nucleare, allorché la linea occidentale contro l’Iran risultò in concreto ammorbidita rispetto al trend tradizionale. Tel Aviv a questo proposito si muove in autonomia, sganciandosi anche dai piani degli Stati Uniti, apparsi perennemente in ritardo negli ultimi anni sulle valutazioni strategiche in Medio Oriente e non ancorati ad una strategia di lungo periodo costante.
Israele sa benissimo che la Siria di Assad con un Iraq influenzato dall'Iran ha un peso specifico maggiore di una Siria confinante con un Iraq governato dai sunniti, come era al tempo di Saddam. È il motivo per cui lo Stato Ebraico fino alla Seconda Guerra del Golfo, non ha mai mostrato intenzioni reali di defenestrare Bashar Al Assad, meno minaccioso del padre e obiettivamente molto lontano dai cliché del tipico dittatore arabo. Quando cadde Saddam, colui cioè che osò lanciare gli Scud su Israele, per assurdo fu proprio Tel Aviv a non saltare di gioia. Due nemici in contrasto fra loro (la Siria baathista sciita e l’Iraq baathista sunnita) erano sempre preferibili ad una molteplicità di governi e organizzazioni direttamente collegate ad un solo grade demiurgo: l'Iran.
Quando la guerra in Siria sarà finita, tra i protagonisti assoluti, molti attualmente risultano sul libro paga di Teheran. Su tutti: Hezbollah, che vanta un enorme credito a Damasco e un accresciuto know how militare; il cartello delle milizie sciite irachene (PMU) che si sono distinte contro il Califfato e tengono ora in pugno il governo di Baghdad. A questi si aggiunge proprio Assad, ad oggi unico vero vincitore militare della guerra contro il terrorismo islamista in Siria.
Il Medio Oriente del futuro prossimo vedrà allora come protagonista l'Iran? Se le crepe nel mondo arabo sunnita sussisteranno, è indiscutibile che il ruolo di Teheran sia destinato a crescere. In questo senso le scelte dell’Egitto saranno decisive: l’ex nemico storico dell’Iran potrebbe continuare una politica di avvicinamento (nonostante il nodo Qatar) a Teheran, aumentando il disorientamento delle cancellerie occidentali.
La grande incognita sarà dunque la reazione di Israele, in attesa di politiche USA coerenti e di un cenno dalla Russia, unica potenza in grado di poter garantire il contenimento dell’Iran entro i limiti accettabili per Tel Aviv.
(immagini: fotogramma Al Jazeera / IRNA)