Nel caldo allucinante del deserto siriano, nella parte sud-est del Paese, è iniziato il conto alla rovescia. Le milizie islamiste dell’ISIS, incalzate su tutti i fronti, si ammassano intorno all’Eufrate, lungo le postazioni che circondano Deir Ezzor, eroica città siriana assediata da 50 mesi. L’esercito siriano, aiutato dalle forze aeree russe e dai suoi alleati sul terreno, spinge ora verso est da due assi distinti:
- da nord, dove le truppe di Assad assediano l’ISIS a Maadan, ultima vera roccaforte tra Raqqa e Deir Ezzor, distante poche decine di km;
- da ovest, dove le truppe siriane hanno da poco liberato e messo in sicurezza Al Sukhna, ultima città sull’autostrada 20 prima dell’Eufrate.
Intere colonne di miliziani ISIS sono in queste ore in fase di trasferimento dal fronte di Hama, dove sono impegnate dalla grande offensiva siriana tesa a liberare il centro del Paese da quel che resta del Califfato, per essere trasferite a Deir Ezzor, dove si prevede in arrivo la madre di tutte le battaglie. La guarnigione siriana presente in città, comandata dal generale dei paracadutisti Issam Zahreddine (foto) e rifornita solo per via aerea, continua a respingere gli assalti degli jihadisti che circondano la città (solo la sponda occidentale dell’Eufrate è in mano siriana) e aspetta il tanto anelato arrivo delle truppe per rompere l’assedio.
Vale la pena sottolineare che il generale druso Zahreddine, nonostante la fama leggendaria nella sua battaglia pluriennale contro il terrorismo islamista, è stato da pochi giorni inserito nella lista nera dell’Unione Europea per presunti crimini contro l’umanità commessi nel 2012, agli inizi della guerra.
Nonostante la diplomazia continui a tessere le maglie del futuro prossimo della Siria, la parola rimane per ora alle armi. Fonti militari sostengono che le milizie dell’ISIS siano ancora in grado di resistere ed infliggere pesanti danni alle forze armate di Damasco, ma siano ormai condannate alla sconfitta definitiva nei prossimi mesi. Vanno messi in evidenza a questo proposito la grande capacità d’intelligence, l’abilità operativa e l’alto livello di gestione strategica della guerra da parte dei comandi militari dello Stato Islamico, il che ci pone ancora una volta davanti all’imbarazzante interrogativo su chi e come abbia aiutato e continui ad aiutare i terroristi.
Mentre scriviamo, fonti non confermate parlano di primi tentativi di evacuazione delle milizie ISIS dalla città di Maadan per convergere verso Deir Ezzor, dove sembra che i terroristi del Califfato abbiano iniziato a incendiare i terminali petroliferi non più sotto sicuro controllo.
Sullo stesso fronte la spinta di Euphrates Wrath, l’operazione delle Syrian Democratic Forces lanciata nel 2016 e tesa a combattere l’ISIS da nord a sud, sembra arrivata ad un punto critico. Sostanzialmente liberata Raqqa, ex autoproclamata capitale dello Stato Islamico, le forze appoggiate dagli americani non sembrano più in grado di proseguire verso sud.
Nonostante i progressi territoriali, il problema sembra più politico che militare. Ora che i miliziani curdo-arabi e le forze speciali USA hanno contribuito in modo strutturale a combattere il Califfato, il nodo strategico di Washington sembra arrivato al pettine: Assad sta vincendo la guerra riconquistando migliaia di kilometri quadrati; cosa fare dunque dell’integrità territoriale siriana?
Su queste pagine abbiamo approfondito il tema molte volte negli ultimi mesi, ponendo la questione del vero obiettivo strategico occidentale (americano), a cavallo tra la dottrina Clinton-Obama e un nuovo modello ancora non del tutto chiaro e sperimentato. A rispondere per ora sono ancora le armi.
A ridosso del confine tra Siria e Giordania le forze fedeli ad Assad continuano ad avanzare riprendendo il controllo di decine di km di frontiera. Centinaia di miliziani del Free Syrian Army, armati e addestrati fino a ieri dagli USA, sarebbero stati costretti a riparare in territorio giordano. Sarebbero segnalati inoltre (fonti AMN) alcuni tiri di artiglieria e raid aerei USA contro i Martiri di Sayyd, parte delle milizie sciite irachene PMU (Unità di Mobilitazione Popolare) impegnate contro l’ISIS nell’area di confine siro-irachena di Al Tanf. Se mai ce ne fosse bisogno, questo episodio (negato dal Pentagono) sarebbe emblematico del grande rischio che corre chi in Occidente ha fomentato la rivolta anti Assad a partire dal 2011: il collasso dello Stato Islamico, potrebbe tramutarsi in una catastrofica sconfitta strategica per i sunniti. La misura in cui ne prenderà parte Israele, dipenderà tutto dall’argine che Tel Aviv riuscirà a porre all’Iran e ai suoi alleati sciiti prossimi vincitori della guerra.
(foto: SANA / web)