Nel nostro articolo di settembre in tema di pensioni militari vi abbiamo segnalato le sentenze delle Sezioni Giurisdizionali Regionali della Corte dei Conti che si sono espresse in modo favorevole all’applicazione agli arruolati negli anni 1981, 1982 e 1983 dell’aliquota maggiorata al 44%, di cui all’art. 54 del d.p.r. n. 1092/1973 (v.articolo). E a tale indirizzo ha peraltro aderito nel frattempo anche la Corte dei Conti della Toscana, con la sentenza 25 settembre 2018, n. 228.
Un quadro delle principali novità in materia di pensioni militari che voglia dirsi sufficientemente aggiornato quanto al riscontro degli orientamenti giurisprudenziali più recenti non potrebbe tuttavia fare a meno di considerare, in aggiunta, le recenti decisioni in punto di definizione dell’ambito soggettivo di applicazione del beneficio di cui al comma 7 dell’art. 3 del d.lgs 30 aprile 1997, n. 165.
La fotografia della situazione ad oggi
Per orientamento consolidato fino al 2017, l’INPS ha categoricamente escluso che il cosiddetto “moltiplicatore” di cui all’art. 3, c. 7, del d.lgs n. 165/1997 potesse applicarsi anche ai militari posti in congedo assoluto per inidoneità al servizio (e come tali non transitati in ausiliaria per mancanza dei relativi requisiti psico-fisici), nel caso in cui il congedo fosse intervenuto prima del raggiungimento dei limiti di età stabiliti per la cessazione dal servizio.
Tale interpretazione è stata ribaltata dalla Corte dei Conti, prima nel 2012 (C. Conti, Sez. Giur. Abruzzo, n. 28/2012), e poi ancor più nettamente nel 2017 (C. Conti, Sez. Giur. Sardegna, n. 156/2017; C. Conti, Sez. Giur. Abruzzo, n. 27/2017; C. Conti, Sez. Giur. Molise, n. 53/2017), proprio perché un simile orientamento avrebbe mistificato l’intento del legislatore, per di più discriminando ingiustamente una categoria già di per sé svantaggiata1.
Tutti i militari congedati per riforma, e che dunque come tali non hanno i requisiti per accedere all’ausiliaria, hanno pertanto pieno diritto al beneficio compensativo di cui alla norma citata, e ciò indipendentemente dal raggiungimento del limite d’età previsto per l’accesso alla pensione. Ciò purché siano sottoposti ad un trattamento pensionistico in tutto od in parte assoggettato al sistema contributivo.
Ma procediamo con ordine ed esaminiamo la questione in modo analitico.
La normativa di riferimento
L’art. 3, c. 7, del d.lgs n. 165/1997, ora richiamato espressamente dall’art. 1865 c.o.m. d.gs n. 66/2010, dispone che “Per il personale di cui all'articolo 1 escluso dall'applicazione dell'istituto dell’ausiliaria che cessa dal servizio per raggiungimento dei limiti di età previsto dall'ordinamento di appartenenza e per il personale militare che non sia in possesso dei requisiti psico-fisici per accedere o permanere nella posizione di ausiliaria, il cui trattamento di pensione è liquidato in tutto o in parte con il sistema contributivo di cui alla legge 8 agosto 1995, n. 335, il montante individuale dei contributi è determinato con l’incremento di un importo pari a 5 volte la base imponibile dell'ultimo anno di servizio moltiplicata per l'aliquota di computo della pensione. Per il personale delle Forze di polizia ad ordinamento militare e per i personale delle Forze Armate il predetto incremento opera in alternativa al collocamento in ausiliaria, previa opzione dell'interessato”.
La suddetta norma, in buona sostanza, prevede una misura destinata a controbilanciare in senso appunto compensativo, sul piano del trattamento previdenziale, la posizione di coloro i quali a vario titolo non abbiano potuto accedere (o permanere) nella posizione di ausiliaria e che pertanto non si siano visti riconoscere la relativa indennità.
Come chiarito dalla citata sentenza C. Conti, Sez. Giur. Molise, n. 53/2017, la disposizione è tuttora in vigore, in quanto il codice dell’ordinamento militare d.lgs n. 66/2010, all’art. 2268, c. 1, n. 930, ne ha abrogato soltanto i commi da 1 a 6.
Le considerazioni in oggetto, poi, non risultano intaccate in alcun modo dalle modifiche apportate alla norma in commento dal d.lgs n. 94/2017, recante disposizioni in tema di riordino delle carriere militari. Semplicemente, anche il personale delle Forze Armate, come già quello delle Forze di Polizia ad ordinamento militare, potrà optare tra il collocamento in ausiliaria (con la relativa remunerazione) e la fruizione del beneficio in questione.
Si ritiene infatti di aderire alla tesi – fatta propria dalle Sezioni Giurisdizionali della Corte dei Conti della Calabria e del Piemonte – secondo cui il moltiplicatore continuerebbe a trovare applicazione anche per coloro i quali si siano congedati dopo il 7 luglio 2017, data di entrata in vigore della riforma. Anche se va dato atto, tuttavia, che risulta rappresentato anche l’indirizzo opposto (fatto proprio dalla Corte dei Conti della Sardegna).
Per i congedati per riforma prima di tale termine la questione neppure si pone e va da sé che questi abbiano diritto al moltiplicatore.
I due orientamenti contrapposti
Quanto alla definizione dell’ambito di applicazione della suddetta disposizione – e nello specifico, quanto alla individuazione delle categorie di soggetti che debbano ritenersi destinatari della relativa misura di favore – si dividono il campo due orientamenti contrapposti.
1. L’orientamento restrittivo
Una prima interpretazione, sostenuta dall’INPS, intende la norma in senso restrittivo. Ricorrendo ad un criterio esegetico di tipo sistematico, tale impostazione legge l’art. 3, c. 7, del d.lgs n. 165/1997 in rapporto con altre disposizioni di legge, che prevedono e disciplinano istituti finitimi, come la pensione privilegiata (soprattutto) e la pensione di anzianità, e proprio per evitare possibili sovrapposizioni con i suddetti esclude l’applicabilità del moltiplicatore ai militari che non avessero i requisiti per accedere (o per permanere) in ausiliaria, se al momento del congedo per infermità non avessero ancora maturato l’età pensionabile.
2. L’orientamento favorevole maggioritario
Un secondo indirizzo interpretativo (di certo preferibile e, allo stato, maggioritario in giurisprudenza), all’opposto, sostiene che il beneficio in questione debba applicarsi estensivamente, a prescindere dalla ricorrenza del suddetto requisito anagrafico, alle sole condizioni che il militare sia stato congedato per riforma e sia soggetto al sistema contributivo od al sistema misto.
Tale impostazione si fonda sul mero dato letterale della dizione testuale della norma in oggetto, che non lascerebbe spazio alcuno alla soluzione di contro fatta propria dall’INPS, la quale difetterebbe inoltre per l’indebito richiamo ad istituti (quelli sopra citati) del tutto distinti dal moltiplicatore e destinati a soddisfare esigenze e a svolgere funzioni ben diverse, tanto che non vi è norma alcuna nell’ordinamento che escluda la possibilità di cumulare gli uni con l’altro.
Soprattutto, il pensionamento anticipato per infermità già di per sé pregiudica economicamente l’interessato, che, oltre a perdere titolo all’indennità di ausiliaria, vedrà calcolata comunque la sua pensione (anche o esclusivamente) secondo il metodo contributivo, e dunque secondo quanto maturato fino al momento del congedo. Ciò posto, escludere chi si trova in questa posizione dal suddetto beneficio, come si accennava, finirebbe col discriminare chi già si trova in una situazione di sfavore., in modo del tutto contrario rispetto alla stessa ratio legis.
Chi può fare ricorso: i requisiti
Quanto ai requisiti di cui gli interessati devono disporre per potersi ritenere nella condizione di richiedere legittimamente l’applicazione del suddetto montante, questi sono essenzialmente due, come si diceva:
a) essere stati congedati per riforma;
b) essere sottoposti a trattamento pensionistico secondo il sistema misto (retributivo e contributivo) o contributivo puro.
Due precisazioni si rendono necessarie in proposito.
Si ritiene che debba considerarsi irrilevante, anzitutto, che la riforma sia avvenuta per infermità dipendente da causa di servizio o meno, e che dunque i militari (o gli addetti alle forze di polizia ad ordinamento militare) che intendono proporre istanza in tal senso siano beneficiari di una pensione privilegiata piuttosto che di una pensione ordinaria di inabilità. Come si è anticipato, infatti, si tratta di istituti del tutto distinti e che operano su piani nettamente diversi.
In secondo luogo, già si è detto che, all’esito della riforma apportata dal d.lgs n. 94/2017 al combinato disposto dell’art. 3, c. 7, del d.lgs n. 165/1997 e dell’art. 1865 c.o.m., che ora a questo espressamente rinvia, parte della dottrina e della giurisprudenza ritiene che la possibilità di vedersi applicato il moltiplicatore a prescindere dal raggiungimento dell’età pensionabile spetti soltanto ai congedati prima del 7 luglio 2017. Ma si è precisato anche che tale soluzione interpretativa è del tutto opinabile, tanto che già sono state pronunciate sentenze di segno opposto. Di certo, chi si trova nella condizione di essere stato riformato successivamente a tale scadenza dovrà comunque essere consapevole del fatto che il riconoscimento del beneficio presenta, nel suo caso, un ulteriore profilo di difficoltà.
I passi da compiere in concreto per ottenere l’applicazione del moltiplicatore. Cosa si può ottenere in caso di accoglimento
Costituisce passaggio giuridicamente imprescindibile ai fini del buon esito dell’eventuale successivo ricorso consentire alla pubblica amministrazione competente di pronunciarsi, prima dell’introduzione del giudizio, su una specifica istanza preordinata all’applicazione del montante. In difetto, infatti, il ricorso verrebbe automaticamente respinto in rito dal giudice, senza neppure una pronuncia nel merito. Sarà necessario dunque proporre inizialmente un’istanza stragiudiziale di riesame mediante diffida all’ufficio INPS del luogo di residenza dell’interessato.
A questo punto, potranno darsi tre casi:
a) accoglimento dell’istanza da parte dell’INPS: in questa ipotesi (invero ad oggi irrealistica) evidentemente il procedimento si arresterà già a questo punto e non sarà necessario fare altro;
b) rigetto espresso della domanda;
c) mancata risposta.
Sia nel secondo che nel terzo caso (con riferimento a quest’ultimo, dopo che siano inutilmente decorsi 120 giorni dalla data di ricevimento della domanda), si tratterà di proporre ricorso alla Corte dei Conti territorialmente competente. Si precisa che il ricorso dovrà introdursi a pena di decadenza entro 3 anni dal giorno in cui l’INPS avrà ricevuto la suddetta istanza stragiudiziale.
In caso di accoglimento del ricorso, il militare otterrà la riliquidazione della sua pensione in base al montante in esame, con un aumento in busta di regola compreso tra 100,00 e 250,00 euro su base mensile.
L’INPS dovrà inoltre provvedere – a fronte di una specifica domanda giudiziale in tal senso – anche al riconoscimento dei relativi arretrati, con un’applicazione retroattiva di 5 anni a far data a ritroso dal giorno in cui la diffida sia stata presentata. A tale riguardo, la suddetta istanza stragiudiziale varrà – qualora abbia i requisiti di legge per integrare anche un atto di costituzione in mora – anche ad interrompere ex art. 2943 c.c. il relativo termine di prescrizione.
Come per quanto riguarda la domanda tesa al ricalcolo della pensione in base all’aliquota maggiorata al 44% (peraltro cumulabile con l’istanza in oggetto), non ha alcun rilievo che il militare sia già andato in congedo da tempo, magari da anni. Non si verificano infatti per i dipendenti pubblici le decadenze previste dal d.p.r. n. 639/1970 per i lavoratori del settore privato, e così non potrà sostenersi validamente da parte dell’INPS che, trascorsi 3 anni dal pensionamento, l’interessato perda ogni diritto in proposito2.
Certo, dovrà comunque tenersi conto del fatto che il diritto agli arretrati si prescrive in 5 anni. Ma questo indica soltanto che non potranno pretendersi i ratei arretrati relativi al periodo eventualmente ancora precedente, e non anche che sia preclusa la possibilità di farsi riconoscere il beneficio del moltiplicatore decorso tale periodo di tempo dal pensionamento. In altri termini, chi dovesse essere stato congedato da più di 5 anni potrà comunque fare domanda per l’applicazione del moltiplicatore, solo che gli saranno dovuti gli arretrati relativi esclusivamente all’ultimo quinquennio, e non anche quelli concernenti l’intervallo temporale eventualmente ancora antecedente.
Avv. Francesco Fameli
esperto di diritto amministrativo militare
1Nello specifico si rileva che tra la fine del 2017 ed il mese di settembre del 2018 hanno emesso decisioni favorevoli all’applicazione del moltiplicatore anche ai militari congedati per riforma che non avevano, al momento del congedo, ancora raggiunto i limiti di età per la pensione le Sezioni Giurisdizionali delle Corti dei Conti Regionali dell’Abruzzo, del Molise, della Sardegna, del Lazio, della Toscana, e del Piemonte. Si sono registrate decisioni contrastanti, vale a dire al contempo sentenze di accoglimento e sentenze di rigetto, all’interno delle Sezioni Giurisdizionali Regionali della Calabria, della Lombardia e dell’Emilia Romagna.
2Tale indirizzo interpretativo è stato anche di recente ribadito dai Tribunali del Lavoro di Firenze e di Milano, nonché dalle Sezioni Giurisdizionali della Corte dei Conti del Lazio e del Trentino Alto Adige (in riferimento a quest’ultima, ad esempio, può citarsi la sentenza 31 ottobre 2017, n. 44).