Già all’indomani del riconoscimento ministeriale del primo sindacato militare italiano, e dunque ormai mesi orsono, avevamo manifestato tutte le nostre perplessità in relazione al nuovo (?) strumento messo a disposizione (?) del personale militare a seguito della nota sentenza della Corte Costituzionale (la n. 120/2018) e delle successive circolari. Si rimanda a tale proposito al nostro articolo dello scorso 14 gennaio 2019. Spunti critici peraltro erano giunti su queste stesse pagine dall’autorevole voce del gen. Nicolò Manca. (leggi "I comandanti a cinque stelle" - "Signorsì/Signornò e la virtù della disobbedienza")
I punti interrogativi con i quali abbiamo intercalato il discorso sono significativi di quelle perplessità.
Ci si chiedeva infatti – e tuttora a maggior ragione, come si vedrà, ci si chiede – se davvero il sindacato sia lo strumento utile allo scopo – legittimo e sacrosanto, questo sì – di dare voce agli appartenenti alle Forze Armate.
Ed inoltre, in che modo associazioni interne, liberamente e spontaneamente costituite da militari alla stregua di veri e propri corpi intermedi, potranno interfacciarsi con l’ordinamento gerarchico e con la disciplina, che contraddistinguono specificamente il nostro peculiare ordinamento, col rischio di creare, se proprio non fenomeni di insubordinazione, di certo disunione, inefficienza e mancanza di immediatezza nelle risposte che ci si attendono legittimamente da un esercito?
Ed ancora, quella del sindacato, nel XXI secolo, è la strada giusta, tanto più considerando che quell’art. 39 della Costituzione, di cui si è invocata l’applicazione anche ai militari risulta come ben noto rimasto lettera morta (dal secondo comma in poi) per il resto delle categorie lavorative?
E soprattutto, considerati i limiti imposti (o meglio riportati, in base alle norme vigenti, art. 1475 c.o.m., comma 1 in primis) dalla Corte Costituzionale rispetto alla futura disciplina normativa del sindacato militare, siamo davvero sicuri che ci si trovi di fronte ad uno strumento così rivoluzionario ed innovativo, come ci è stato dipinto (anche dalla politica)?
Si tratta allora davvero di un nuovo strumento? Si tratta davvero di uno strumento messo a disposizione del personale militare e che potrà veicolarne efficacemente le istanze di tutela?
I mesi trascorsi sembrano offrire una risposta negativa ai nostri interrogativi. Vediamo perché...
1. l’art. 39 Cost.e la regolamentazione per circolari
Il primo profilo a destare perplessità è quello della necessaria autorizzazione ministeriale. Sì, perché se davvero si vuole dar vita a qualcosa di nuovo e di diverso – in termini di maggior rappresentatività e quindi di maggior tutela dei militari – rispetto al sistema attuale imperniato sui CO.CE.R., se davvero insomma, come pare doveroso attendersi in ragione dei proclami che hanno salutato il nuovo istituto, i “nuovi” sindacati devono intendersi come veri paladini dei diritti e delle libertà del personale, allora il meccanismo attualmente vigente (quello che prevede l’autorizzazione del Ministero alla costituzione del sindacato, in base al suddetto art. 1475, c. 1, c.o.m.) dovrebbe essere superato, perché in contrasto con la libertà di organizzazione sindacale, costituzionalmente sancita dall’art. 39. Ci può essere davvero libertà sindacale se la stessa genesi del sindacato è sottoposta ad un provvedimento autorizzatorio della controparte datoriale?
Certo, ciò si giustifica in base a quegli stessi limiti che sono imposti dalla peculiare natura della struttura amministrativa complessiva in cui i nuovi sindacati vengono ad inserirsi. Ma allora, perché tanto trambusto, e dov’è la novità, in termini di maggiore libertà e di maggior peso specifico, se poi comunque anche i nuovi sindacati, come i CO.CE.R. necessitano di un provvedimento abilitativo, in difetto del quale neppure possono venire ad esistenza?
Prevedere poi che il procedimento destinato a sfociare (o meno) nella suddetta autorizzazione sia disciplinato per circolari – e dunque con atti amministrativi generali di indirizzo, privi di rango normativo, e tanto meno di fonte legislativa – apre di per sé la strada al rischio di contrasti con quella stessa disposizione della Costituzione e di abusi di quella stessa libertà sindacale che si pretenderebbe di disciplinare, posto che singolarmente in questo caso – l’unico nel nostro panorama ordinamentale – la libertà sindacale viene ad essere regolamentata (almeno, ad oggi, in attesa dell’intervento quanto mai auspicato del legislatore) dal Ministero e dunque, a ben vedere, dalla controparte datoriale.
2. La compresenza di CO.CE.R. e sindacati autorizzati
In questo periodo transitorio che precede la regolamentazione legislativa della materia – non è dato sapere quanto prolungato, anche in considerazione della instabilità politica delle ultime settimane –, si realizza la compresenza tra i “vecchi” CO.CE.R. e i “nuovi” sindacati autorizzati.
In assenza ed in attesa della legge sui sindacati militari, questo rapporto è declinato né più e né meno in questi termini: tutte le competenze spettano ai CO.CE.R., mentre i sindacati autorizzati in buona sostanza non possono alcunché, se non farsi riconoscere (col procedimento suddetto, peraltro di dubbia compatibilità con l’art. 39 Cost.).
Come si legge nella circolare n. 001785 del 31 gennaio 2019 del Gabinetto del Ministro dell’Economa e delle Finanze, non smentita dalla circolare del Gabinetto del Ministro della Difesa del 30 aprile 2019, “l’unica forma di interlocuzione al momento riconosciuta è a livello di Stato Maggiore di Forza Armata /Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri/Segretariato Generale della Difesa”.
Intendiamoci: in mancanza di una legge, il Ministero non può dotare il nuovo strumento di competenze, sottraendole magari agli attuali interlocutori istituzionali. Anzi, la stessa prerogativa sopra riconosciuta ai sindacati militari appare di dubbia legittimità, proprio in quanto prevista a livello di circolari ed in assenza (ed anzi, in contrasto) con le norme di legge di riferimento.
3. La mancanza di competenze attribuite ai sindacati militari: a che servono oggi i sindacati autorizzati?
Ma allora – come diceva qualcuno un po’ di tempo fa – la domanda sorge spontanea. A che servono oggi, a 5 mesi di distanza dalla loro solenne proclamazione, i sindacati militari autorizzati?
A nulla, verrebbe da dire.
In attesa dell’intervento del legislatore, sembra trattarsi di vere e proprie “scatole vuote” dal contenuto futuro tutt’altro che certo.
Sono i CO.CE.R., infatti – la pluridecennale forma di rappresentanza collettiva militare già esistente nel nostro ordinamento – a detenere, nell’attuale quadro normativo, tutti i poteri di concertazione individuati dal d.lgs. n. 195 del 1995. I sindacati militari autorizzati non possono ad oggi partecipare ad alcun tavolo di contrattazione. L’unica possibilità di interlocuzione loro riconosciuta si pone esclusivamente a livello apicale-generale, privando con ciò i nuovi soggetti della facoltà di svolgere attività sul campo, a livello locale, nelle singole unità operative, dove le esigenze assistenziali che ogni organizzazione sindacale si prefigge prioritariamente di soddisfare trovano, di contro, la loro stessa origine.
Concludendo
Tanto considerato, in questo nostro sintetico bilancio dei primi mesi di esistenza dei nuovi sindacati militari, sembrano necessarie due considerazioni.
Con la prima, si vuole ribadire quanto già avevamo precisato in queste stesse pagine mesi fa. Nessuno pensa qui che il sistema della rappresentanza istituzionalizzata (di cui agli artt. 1476 e ss. del d.lgs n. 66/2010) non avesse bisogno di un rinnovamento, così da rappresentare finalmente uno strumento efficace di amplificazione delle sacrosante istanze del personale delle Forze Armate. Chi scrive è pienamente consapevole di quelle istanze, tant’è che da tempo le sostiene nelle aule di tribunale di mezza Italia (per gli avanzamenti, per i trasferimenti, le pensioni, per il riconoscimento delle cause di servizio).
Ciò posto, si ribadisce altresì che, a giudizio di chi scrive, la tutela dei militari, nell’epoca della comunicazione globale, oggi non manca tanto di enti esponenziali, di strumenti attraverso i quali levare la propria voce contro le ingiustizie del sistema, di forme o di strutture. Manca piuttosto di contenuti: manca forse la volontà vera di risolvere questioni che sono già sul tavolo e che rischiano di passare ora in secondo piano, dietro il totem del sindacato.
Mi riferisco a questioni ben note e mai affrontate con chiarezza e decisione, come il diritto degli interessati alle aliquote di legge, con riguardo ai trattamenti pensionistici; al giusto risarcimento del danno per le malattie contratte a causa dell’uranio impoverito (o comunque in dipendenza da causa di servizio); o ancora alla necessità di riformare le Commissioni Mediche Ospedaliere, visto il quotidiano defilarsi di quelle di prima istanza e l’intasamento del sistema in quel della capitale.
In secondo luogo ed infine, dato quanto si è detto, non può che constatarsi che i tanto decantati sindacati militari ad oggi non sono in grado di rispondere in modo alcun alle esigenze di tutela – come quelle appena citate – di cui il personale militare giustamente reclama soddisfazione, in quanto snaturati sin dal momento della loro genesi rispetto ai un sindacati non-militari (stante la persistenza del momento autorizzatorio ministeriale), ed altresì in quanto privi di qualsivoglia funzione o competenza (stante la titolarità esclusiva delle stesse in capo ai CO.CE.R.).
Le nostre perplessità, insomma, a cinque mesi dal riconoscimento del primo sindacato militare, non possono che risultare confermate. Tanto che ci verrebbe provocatoriamente da suggerire ai nuovi sindacati di “restituire” l’autorizzazione ministeriale ottenuta (che li ha di fatto ingabbiati nell’assoluta irrilevanza istituzionale) e di attendere l’intervento del legislatore.
In questo scenario, non possiamo che continuare a chiederci perché non si sia scelta la strada – ben più agevole e rapida, ma forse meno appariscente – della riforma e del potenziamento delle organizzazioni rappresentative già esistenti. Una domanda, forse, alla quale molti di voi sapranno già offrire una risposta.
Avv. Francesco Fameli
esperto di diritto amministrativo militare
Foto: U.S. DoD / ministero della difesa