L'oro dell'ISIS

(di Andrea Gaspardo)
12/08/19

Uno degli argomenti più controversi che hanno a lungo affascinato i commentatori delle vicende mediorientali, sia in loco che in Occidente, riguarda l'origine e l'entità delle finanze dell'ISIS. Oltre ad aver creato la più grande “legione straniera” della storia, il gruppo terroristico di matrice salafita-wahhabita ha accumulato nel corso di anni di attività un ingente capitale tale da renderlo “il gruppo jihadista più ricco al mondo”.

Sicuramente, nel corso degli anni che verranno, assisteremo alla pubblicazione di numerosi libri e ricerche che proveranno a far luce sull'intricata matassa di attività illecite portate avanti dal sedicente Stato Islamico sia nei territori caduti ad un tempo sotto il suo controllo che nell'universo informatico; tuttavia, già ora possiamo fare alcune considerazioni di massima.

Le principali attività che per anni hanno garantito il “sostentamento” dell'ISIS nel corso della sua truce epopea sono state:

  • il controllo e lo sfruttamento di tutte le attività economiche e dei flussi finanziari delle porzioni di territorio siriano ed iracheno finite sotto il controllo del gruppo terroristico ed amministrate con pugno di ferro (controllo della produzione agricola, svaligiamento di banche, contrabbando di prodotti petroliferi, spaccio di sostanze stupefacenti, commercio di “schiavi”, estorsioni, sequestro di beni appartenenti a minoranze perseguitate, commercio di opere d'arte, ecc...);
  • le donazioni provenienti dall'Arabia Saudita e dagli altri paesi del Golfo;
  • l'aiuto materiale e la disciplina fiscale da parte dei “combattenti stranieri”;
  • i rapimenti a scopo estorsivo;
  • la raccolta di fondi attraverso le moderne piattaforme di crowfunding.

Sebbene la maggior parte delle ricchezze dello Stato Islamico (stimate in almeno 2 miliardi di dollari su base annuale) siano state “bruciate” durante le operazioni militari e terroristiche portate a compimento dagli “uomini del Califfo”, pare che almeno una parte del bottino abbia negli ultimi tempi preso una strada diversa. Secondo un rapporto diffuso dalla curda “BasNews Agency” infatti, gli Stati Uniti avrebbero evacuato circa 50 tonnellate d'oro dalle zone della provincia siriana di Deir Ezzor riconquistate negli ultimi mesi dai Curdi Siriani. Sempre secondo questo rapporto, una parte di quest'oro sarebbe stata distribuita alle “Unità di Protezione Popolare” (YPG) facenti parte delle “Forze Democratiche Siriane” (SDF) al fine di finanziarne le attività, mentre il resto sarebbe stato evacuato dalla Siria attraverso il corridoio di Ayn al-Arab/Kobani e da quello di al-Dashisheh, nella provincia di al-Hasakah.

Secondo i maligni, una delle ragioni per cui gli Stati Uniti e la Coalizione internazionale hanno deliberatamente aspettato un longo periodo di tempo prima di ordinare ai Curdi Siriani di lanciare l'attacco finale contro gli ultimi bastioni dell'ISIS situati nella valle dell'Eufrate era per permettere la finalizzazione delle trattative inerenti alla cessione del “bottino” in cambio del quale la leadership del gruppo terroristico si sarebbe guadagnata un salvacondotto per poter lasciare l'area di battaglia abbandonando al proprio destino sia la “plebaglia” che i combattenti fanatici duri e puri.

Se confermati, tali accadimenti getterebbero una pesante ombra sull'operato delle forze della Coalizione Internazionale ed in particolare degli Stati Uniti. Innanzi tutto perché, come accennato sopra, una parte consistente delle ricchezze dell'ISIS deriva dallo sfruttamento dei territori e delle popolazioni di Siria ed Iraq e, prevedibilmente, i governi di questi due paesi vorranno riavere indietro il “maltolto”. Secondariamente, il tesoro sottratto all'ISIS dovrebbe fungere da base di risarcimento per tutte le vittime innocenti dei plateali crimini contro l'umanità che i jihadisti hanno commesso nel corso degli ultimi anni invece di venire utilizzato per altri scopi.

Immagini: EURONEWS