Libia: serve un bagno di realismo. Oltre petrolio e migranti

(di Filippo Del Monte)
29/08/24

Il primo ministro libico, Osama Hamad, vicino al maresciallo Khalifa Haftar, ha stabilito il blocco della produzione di petrolio. Così come i servizi essenziali della Banca centrale in Libia sono sospesi a causa dello scontro politico tra Tripoli e Bengasi che riguarda il governatore Siddiq al Kabir.

Kabir, ben visto da molte cancellerie occidentali, ha anche l'incarico di finanziare sia il governo della Tripolitania che quello della Cirenaica, rivali tra loro. Da quando è in carica, Kabir ha sempre sostenuto finanziariamente più la Cirenaica dominata dal maresciallo Khalifa Haftar – e dalla quale proviene Hamad - che non la Tripolitania, governata da Abdulhamid Dabaiba.

Nonostante la compagnia petrolifera statale NOC non abbia ancora confermato il blocco, Haftar ha già fatto sospendere da qualche settimana la produzione nel giacimento di Sharara. La situazione in Libia potrebbe nuovamente degenerare in scontri tra milizie.

L'ENI sta monitorando la situazione, ma il blocco congiunto di petrolio e linee di credito non giova né alla compagnia né all'Italia. Il governo Meloni, infatti, anche in virtù del “Piano Mattei”, si è pesantemente esposto in Libia, aprendo ad Haftar in cerca di stabilità.

Ci sono alcune questioni che intrecciano gli interessi politici con quelli economici italiani in Libia e che si inquadrano, almeno sotto l'aspetto teorico, nel profilo strategico del "Piano Mattei": su tutti la ricostruzione di Derna e quella degli aeroporti del Paese, assieme alla riattivazione delle rotte aeree. Del resto, si sbaglierebbe a ristringere al solo campo energetico-petrolifero (per quanto fondamentale) o al contrasto del traffico di migranti gli interessi di Roma in Libia. La ricostruzione di infrastrutture essenziali e dal valore strategico in Paesi sconvolti da conflitti ed emergenze è sempre stata una delle leve dell'azione italiana nel mondo; si potrebbe dire che questa è stata a suo tempo parte della sua "sfera creativa" della sua politica estera.

Oggi questo tipo particolare di soft power che intreccia economia e relazioni politiche e personali è inscritto nelle logiche di un atlantismo fattosi più forte in considerazione anche della presenza in armi della russa Africa Corps (ex Wagner) in Cirenaica e dei turchi (che nella NATO giocano una partita individuale) in Tripolitania.

Certo, in un Paese in guerra civile - combattuta o latente - non si può pretendere di non sostenere le proprie imprese all'ombra delle armi. La situazione è di gran lunga più complessa per le aziende italiane in Libia rispetto ai tempi di Gheddafi. Ciò non significa comunque che Roma non possa cercare una strada alternativa per favorire investimenti nella sua ex colonia.

Per fare questo è inevitabile cercare di dialogare con tutte le parti in causa. Questo spiegherebbe anche la volontà del governo di aprire un canale politico-diplomatico con Haftar. Persa l'opportunità di essere l'interlocutore privilegiato della Tripolitania nel 2019, quando Roma rifiutò di sostenere militarmente l'esecutivo di Sarraj contro le milizie di Haftar, finendo per farsi anticipare dalla Turchia (errore grossolano, il secondo particolarmente grave dopo la malagestione del conflitto contro Muammar Gheddafi del 2011), rifiutare di parlare con la Cirenaica sarebbe stato un grave errore.

Sotto questo punto di vista - trascinando con sé, comunque, altri problemi - l’impostazione realista del “Piano Mattei” potrebbe mitigare quello che è sempre stato uno dei limiti della politica di Roma in Libia, cioè un ristretto numero di interlocutori. I russi considerano Tobruk come il porto di riferimento per l'arrivo di armi dirette all'Africa Corps, così come sarebbe difficile non notare il sostegno cinese a Bengasi. Ma in politica ogni spazio lasciato vuoto viene occupato dagli avversari e continuare a non voler parlare con Haftar per seguire il dettato onusiano - che sull'onda della crisi di Dabaiba ha perso ogni credibilità - rischierebbe di far naufragare i progetti italiani nella (ex) Quarta Sponda.

Foto: presidenza del consiglio dei ministri