Elezioni in Moldova: una battaglia vinta, ma la guerra (per l'indipendenza) continua

(di Gino Lanzara)
05/11/24

Mentre gli USA si accingono ad una delle più sofferte tornate elettorali degli ultimi anni, la piccolissima Moldova ha concluso il suo ballottaggio presidenziale. L’improponibilità dei confronti è ovvia, tuttavia, in un contesto eminentemente europeo, l’esito del voto moldavo esercita una rilevanza da non trascurare.

Come ha ricordato la rieletta presidentessa Sandu, Chișinău deve prepararsi ad un’altra complessa tornata elettorale estiva, destinata a stabilire la composizione del Parlamento; elezioni dove nulla può essere dato per scontato, visti i possibili e non inediti cartelli che potrebbero condizionare le consultazioni. Non a caso, durante le due settimane antecedenti al ballottaggio, lo staff presidenziale ha intensificato la campagna sui social media e nei centri rurali per cercare di avversare la compravendita di voti che sembra aver comunque corrotto, ma non inficiato irreparabilmente l’esito delle votazioni.

Nonostante le operazioni di disinformazione certificate dalla polizia, che ha peraltro aperto indagini sulla presunta organizzazione di trasporti organizzati per indurre i moldavi residenti in Russia1 a votare in Bielorussia, Azerbaigian, e Turchia, secondo dinamiche affini a quelle georgiane, l’affluenza del 54,2% è stata maggiore rispetto al primo turno, vista anche l’estrema esiguità della maggioranza pro UE e l’inaspettata performance dell’antagonista Stoianoglo, campione del partito socialista filo russo.

Se c’è una lezione da ricordare per il futuro, è di dover considerare cum grano salis le percentuali scaturenti dai sondaggi, visto che la sperequazione tra questi ultimi ed i risultati ha costretto a considerare influenze e divisioni nella stessa società moldava, fenomeni che appaiono sconvolgenti ma sono peculiari di un paese in cui il voto ha sempre manifestato forti contraddizioni, sia andando ora ad attingere di fatto l’UE per richiamare il governo locale, sia a far rammentare che il cosiddetto sentiment filo russo è un fenomeno da interpretare alla luce delle aspre condizioni sociali e della disillusione nutrita verso una classe politica spesso percepita non all’altezza.

In Moldova, considerare la propensione europeista come fatto assodato è troppo semplicistico2. Se la Sandu, ri-assurgendo con il 55,4% alla carica presidenziale, ha adottato una postura politica e riformista affine a quella progressista, evitando massimalismi e divisioni geopolitiche troppo complesse da spiegare, Stoianoglo, con il 44,6% è stato ben attento a non farsi fagocitare da retoriche pericolosamente troppo vicine al Cremlino, sostenendo (incredibilmente?) l'integrazione nell'UE.

Il voto ha evidenziato che politicamente la Moldavia non è unidimensionale, e che le consultazioni sono utilissime per comprendere quale sia il livello dell’influenza esercitata da Mosca, specialmente dopo il sostegno offerto da Chișinău a Kiev. Attualmente, quasi tutte le forze politiche moldave evitano di presentarsi come smaccatamente filo-russe, partito socialista compreso, che pure aveva promesso di portare la Moldova nel circolo dell'Unione Economica Eurasiatica guidata da Mosca sulla base di mutue e pragmatiche convenienze.

Di fatto, il Cremlino non è mai riuscito ad esercitare con pieno successo il suo soft power in Moldova, limitandosi a minacciare velatamente (e non solo) sanzioni economiche mentre l’Occidente ha insistito nell’appoggiare le ONG ed i progetti infrastrutturali. In ogni caso, il sostegno interno moldavo alla Russia rimane significativo, benché non sia scontato per quanto tempo Mosca potrà ancora goderne. Interessante tuttavia notare come il distacco maturato dalla Sandu su Stoianoglo sia stato favorito con decisione dai voti esteri della diaspora; non a caso i socialisti hanno contestato l’esito elettorale accusando pressioni esogene favorite dall’apertura di seggi presso paesi occidentali per ridurli in altre sedi. Non c’è dubbio che la gestione degli eventi abbia posto in rilievo forme di pragmatico e pacato realismo, capace di bilanciare, al netto della demagogia, le politiche poste in essere da Mosca. In prospettiva, la conferma della presidentessa per il suo secondo mandato dovrebbe consentire di conservare la spinta europeista, a patto di mantenere saldamente la barra in previsione delle elezioni politiche del 2025.

Tuttavia i problemi rimangono ben evidenziati, a cominciare dalla Transnistria, la cui reintegrazione sarà senz’altro, se pur se ne mostrerà l’occasione, estremamente difficile, soprattutto alla luce della consolidata presenza militare russa cui, tuttavia, non si sono congiunte le truppe che, attese, avrebbero dovuto congiungersi dall’Ucraina a seguito di un’offensiva che, al momento incompiuta, ha determinato una forte contrazione commerciale tra Kiev e Tiraspol3, ora vincolata alla Moldova per accedere ai mercati esterni. La strategia moldava consiste nell’imprimere dinamismo al processo inducendo la Transnistria a più miti pretese sia penalizzando via codice il separatismo, sia privando dei loro privilegi le aziende della Transnistria4. Rimane tuttavia pendente il problema connesso all’utilizzo del gas russo che, gratuito per Tiraspol, è stato funzionale alla produzione elettrica poi rivenduta alla Moldova, una contingenza che ha indotto Chișinău a rivolgersi al mercato europeo, intaccando il monopolio russo Gazprom. Rimane da vedere se e come verrà rinnovato l’accordo energetico con Mosca, in assenza del quale la soluzione relativamente più agevole rimarrà l’acquisto sul mercato occidentale facendosi carico anche per la Transnistria.

Ipotizzando dunque un ricongiungimento con Tiraspol, la situazione non sarebbe certo facile, visto che potrebbe prodursi un’ondata di disoccupati difficilmente gestibile. Insomma, uno scenario estremamente complesso, viste anche le presenze militari russe che ingenerano più di un patema, unitamente agli appelli lanciati dai separatisti a Mosca, non così dissimili da quelli che hanno attivato le annessioni di Crimea, Luhansk e Donetsk in Ucraina5. Non è un caso che la nuova Strategia di Sicurezza Nazionale, in forma inedita, riconosca la Russia come una minaccia esistenziale che comunque, tramite la portavoce del Ministero degli esteri Maria Zakharova, ha definito la campagna elettorale moldava come la più antidemocratica di tutti gli anni di indipendenza a causa della repressione senza precedenti da parte delle autorità contro l'opposizione e i media indipendenti, soprattutto quelli di lingua russa, con la palese ingerenza dei Paesi occidentali nel processo elettorale.

La sensazione, tra le tante, è che la Moldova abbia vinto una battaglia, peraltro importante, ma non ancora la guerra, viste le indecisioni della base sociale e le forti e persistenti influenze russe, pur a fronte dell’incremento dei volumi degli scambi commerciali con l'UE, che hanno superato quelli con Mosca; va anche rammentato che i lavoratori moldavi in Russia sono numericamente diminuiti, e che la guerra ucraina ha offerto la possibilità di sottoscrivere un partenariato di sicurezza e difesa con l'Europa, nonostante la neutralità costituzionale.

Il problema, come già accennato, rimane proprio e non tanto imprevedibilmente Bruxelles, verso cui la popolazione nutre un latente scetticismo data la scarsa propensione continentale alle proiezioni di potenza regionali comuni, per perseguire invece politiche securitarie multi-vettoriali.

In Moldova si percepisce dunque un’indistinta sensazione di vulnerabilità accentuata dalle azioni destabilizzatrici dell’egemone russo. Anche se gli intenti moscoviti non hanno determinato l’auspicata vittoria elettorale, sarebbe esiziale vantarsi del successo referendario, anche perché la Moldova è cosciente di una mancanza assoluta di profondità strategica. Insomma, il sostegno al governo moldavo, da parte occidentale, dovrebbe essere più incisivo specie alla luce della rilevanza del voto portato dall’estero, mentre l’interno doveva (e presumibilmente dovrà ancora) misurarsi con le azioni asimmetriche russe. Sotto quest’ottica, sarebbe opportuno non dimenticare le affermazioni del ministro russo Lavrov, secondo cui la Moldova potrebbe diventare la prossima Ucraina.

Il percorso europeo di Chișinău non è scontato, anche perché è la stessa base sociale moldava che deve essere fattivamente persuasa della bontà della narrazione occidentale. Non c’è dubbio che anche l’allargamento europeo occidentale sia percepito da Mosca come una minaccia: sarà indispensabile elevare il grado di reattività e resistenza della Moldova, paese forse troppo piccolo per mire troppo più grandi.

1 Votanti dall’estero: 2 seggi a Mosca, 60 in Italia, 16 negli USA, 7 in Canada

2 In precedenza Mosca ha ricoperto un ruolo di peso in ambiti interni della Moldova, tanto che nel 2019, in sinergia con USA e UE ha contribuito al regime change dell'oligarca Plahotniuc grazie all’alleanza tra il Partito socialista filo-russo con le formazioni filo-occidentali (Partito di Azione e Solidarietà di Sandu).

3 Anche il contrabbando

4 Le società con sede in Transnistria dovranno pagare dazi sia alla Transnistria sia alla Moldavia. La Transnistria ha dunque imposto aumenti fiscali alle 2.000 imprese moldave che operano sul suo territorio.

5 Da notare che Yuriy Gudilin, ex ufficiale del Servizio di sicurezza federale russo è stato assistente elettorale del sindaco di Chișinău

Foto: U.S. Marine Corps