Tramonto dell'egemonia americana? Dopo errori, sfide interne e nuovi equilibri globali...

(di Gino Lanzara)
11/11/24

Delle elezioni americane si discuterà ancora a lungo: troppo rilevante il Paese, troppo divisivo il presidente eletto. È stata la sagra degli errori, a cominciare da quelli più immediati relativi ai sondaggi, che prevedendo un serrato testa a testa1 sono stati poi travolti dalla valanga red, per finire a chi era stato ammaliato dalla narrativa del declino imperiale statunitense, dimenticando il senso del perché Henry Luce, nel marzo 1941, aveva unto il XX secolo con la pentecostalità a stelle e strisce.

Il secolo americano è dunque finito? Secondo Joseph Nye jr. no, ma il primato statunitense del XXI secolo non assomiglierà al precedente, date le evidenti difficoltà nel controllo del potere.

L’Unione ha evidenziato evoluzioni e prese di coscienza politica non prive di un loro fondamento, ovviamente più o meno condivisibile a seconda dei punti di vista, secondo quelle che dovrebbero essere normali dialettica ed alternanza. Probabilmente il problema sta nel dover accettare un risultato sì democraticamente ed elettoralmente raggiunto, ma talmente inaspettato da lasciare, forse più all’estero che in patria, basiti. La saggezza politica d’antan imporrebbe una valutazione delle lesson learned, ovvero un riesame del trascorso più meno recente in un momento, questo, quanto mai poco affine alla riflessione, stante il rifiuto culturale del passato e dell’insegnamento che offre, secondo paradigmi fatti propri da chi ha perduto. Una sconfitta di questa portata, più che dileggio e rabbia, in chiave futuribile, dovrebbe suggerire come evitare di ripetere errori dimostratisi esiziali.

I dem dovranno farsi una ragione della debacle parlamentare, dove i numeri delineano un equilibrio di potere che, salvo sorprese, consentirà al presidente eletto di evitare di incorrere in dimezzamenti riservati a visconti meno fortunati. A voler immaginare improbabili scenari, l’unico rischio potrà giungere unicamente da fronde interne al GOP; attenzione però, alla luce degli avvenimenti intercorsi è lecito attendersi un’Amministrazione più smaliziata ed esperta di quella decaduta nel 2020, un establishment che già conosce le vulnerabilità e ha cognizione su dove e come intervenire più o meno duramente, un’Amministrazione con una memoria politica settoriale ed incisiva, per intendersi. È appena il caso di ricordare come tra i poteri senatoriali ci sia quello di confermare o meno le nomine presidenziali indirizzate alle più alte istituzioni, come quelle delle toghe della Corte Suprema.

I dem lasciano un legato ereditario costituito di ampie faglie politiche interne ed esterne, che rendono di fatto difficile l’arte di governo; divisioni e disfunzionalità, a cominciare dall’interno dell’Unione, dovranno essere ridotte. Indispensabile porre fine ai conflitti in corso, salvaguardando il sistema commerciale globale e adattando l’ordine internazionale, al netto dell’immancabile anarchia, alla diffusione del potere. Ma prima di arrivare a Palestina, Iran2, Ucraina, le priorità americane dovranno essere volte al recupero economico-politico interno con la ricostruzione della middle class, ago della bilancia della polarizzazione ed equilibratrice sociale. Importante riuscire a recuperare il settore privato per permettere agli americani di fruire di lavori adeguatamente retribuiti pur in presenza di evoluzioni tecnologiche come quella rappresentata dall’AI. Ovvio intervenire anche su un debito pubblico pericolosamente alto, talmente elevato da assorbire le risorse necessarie per istruzione, difesa, ricerca; il sistema previdenziale, a questo ritmo, è destinato al default tra non più di dieci anni. Indispensabile colmare il divario tra uscite ed entrate, una spaccatura strutturale che richiede un ordine fiscale che, con la spesa in aumento, non offre vie di fuga e porta all’elevazione dell’età pensionabile. Internamente il problema migratorio dovrà trovare una soluzione priva di demagogia, che regoli gli afflussi di persone prive di documenti in un paese dove, paradossalmente, in molti Stati, si può votare senza alcuna certificazione.

La politica estera richiederà un esercizio diplomatico attento tra Russia, Ucraina e MO, dato che nessun conflitto vedrà un vincitore sul campo e visto che ogni scontro è destinato a lasciare lunghissimi e drammatici strascichi.

Necessario poi salvaguardare il sistema commerciale adottando forme di friendshoring delle supply chains evitando decoupling e frammentazioni. Davvero difficile a farsi; se i dazi politicamente reggono il nazionalismo economico può innescare conflitti commerciali incontrollabili come avvenuto nel 1930 con lo Smoot-Hawley Tariff Act, capace di agevolare il collasso del commercio internazionale. Gli USA dovranno dunque fare attenzione a non farsi intimorire dalle sindromi cinesi, perché il primo rischio per il loro soft power continua ad essere endogeno. Il libero scambio è in difficoltà, le restrizioni ai flussi commerciali e finanziari sono triplicate a fronte del 2019: lo scetticismo verso l’apertura al commercio ha interessato sia repubblicani che democratici. Mentre i dem hanno visto la politica commerciale quale supporto alla manifattura contro le pratiche sleali altrui, Trump ha esaltato il dazio come l’unico sistema atto a prevenire i conflitti ricostruendo la base industriale nazionale e contenendo il disavanzo pubblico3. Non a caso in uno degli ultimi World Economic Outlook, il FMI ha ipotizzato uno scenario che mette in guardia sul rischio di una guerra commerciale provocata da The Donald4, di cui ancora non si comprende una dottrina effettiva e delineata.

Mentre il potere si sposta da Ovest a Est e da Nord a Sud si ridesta la necessità di un nuovo ordine internazionale bisognoso di un consenso che sia il più ampio possibile perché possa assumersi oneri altrimenti insostenibili. Il nuovo ordine, se mai esisterà, dovrà essere pluralista; la politica internazionale si trova in un momento di crisi come quello disegnato negli anni 30 da Gramsci, che avvertiva la difficoltà per il nuovo mondo di affacciarsi al proscenio data l’enorme varietà di sintomi morbosi. È un interregno in cui il vecchio ordine scompare e la morbilità dilaga.

Che il mondo stia cambiando è evidente, che non ci sia nessuno all’altezza di Gramsci a fronte di uno star system tanto pervasivamente ammaliante quanto politicamente inconsistente e capace solo di infastidire un elettorato in difficoltà economico-sociali, è altrettanto palmare. Gli endorsement gratuiti non solo hanno illanguidito i candidati, ma hanno anche contrariato gli elettori. Se c’è una cosa che l’Elegia Americana di Vance ha dimostrato è che l’elettorato ha bisogno di risposte e non di mere speculazioni, perché questo è ciò che la vita quotidiana richiede a tutti.

Il problema è che la politica, alla faccia di Weber è diventata altro da etica, dedizione, preparazione e passione, ed il versante dem non ha fatto eccezione. Non che il GOP sia di gran lunga migliore, ma non così peggiore, il che la dice lunga sulla situazione.

Kamala Harris, scelta improvvisa ed obbligata per i dem, non è l’unica perdente: ci sono i media a farle buona compagnia; gli americani hanno deciso da soli e solo il tempo potrà dire come. Quel che è certo è che, vista la portata del successo repubblicano, gran parte degli americani non segue un main stream in anossia. Un fatto da considerare. Se i dem hanno puntato alla propensione di Trump alla menzogna, l’elettorato ha constatato che anche i democratici non sono stati da meno, per esempio sullo stato di salute di Biden. Il problema dem è stato che Harris non è in possesso dell’innata capacità di Trump di padroneggiare l’immagine, riuscendo a creare iconografie tali da trasformare potenziali disastri in successi mediatici, a cominciare dalle foto segnaletiche di Atlanta, uno spot potente e gratuito abilmente utilizzato dallo staff, per passare al trionfo mediatico del volto insanguinato dell’attentato di Butler, per finire prima alla foto in grembiule di McDonald's in un drive-through, che ha esaltato la sua (presunta) miliardaria fedeltà alla classe operaia, e poi sporto da un camion per la raccolta dei rifiuti grazie all’insperato assist prestatogli dal gaffeur Biden che ha definito i sostenitori di Trump spazzatura. Nel suo essere padrone dell’immaginario politico, Trump ha rammentato ai suoi sostenitori l’odio dem con la Harris incapace di dimostrare competenze di base.

Il rapporto con la Cina è la più importante relazione bilaterale globale e da Washington ci si attende una politica diversificata e flessibile, tanto più difficile quanto più è forte il massimalismo di Trump, acuito dall’autocrazia di Xi; con Biden le liaison sono passate da una fase negoziale ad uno stato ideologico e multilaterale tanto da giungere con Blinken sia alla definizione di Asse del male5, sia all’istituzione di una rete di alleanze volte al contenimento di Pechino nell’Indo Pacifico. Dal realistico de-risking dem al pericoloso decoupling rep il passo è breve, come in tema taiwanese l’ambiguità strategica di Biden6 è diventata ambiguità trumpiana di fatto7.

L’Europa appare molto più divisa e debole rispetto al passato, e l’ipotesi di una sorta di autonomia strategica è più presente di prima, in considerazione della paventata minaccia americana di un disimpegno politico militare generalizzato. In MO, ci si attende una ripresa delle relazioni con l’Arabia Saudita, sulla scorta delle decisioni prese durante il precedente mandato con la mediazione degli Accordi di Abramo, lo spostamento dell'ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme e il riconoscimento della sovranità marocchina sul Sahara occidentale, benché ci si debba attendere da parte americana la pretesa di un risultato di ritorno per l’impegno profuso. Gli USA dovranno riconquistare la fiducia degli attori politici regionali, a cominciare dalla Giordania, mantenendo tra Marocco e Golfo una cooperazione strategica sugli interessi condivisi, a cominciare da Doha e dalla recente posizione assunta in merito alla permanenza dell’ufficio politico di Hamas in Qatar. In conclusione, il MO deve rimanere centrale nella strategia diplomatica statunitense, dove l’approccio di pace attraverso la forza rimane intatto.

Trump è il primo presidente Usa volto a ricoprire due mandati non consecutivi dopo il dem Stephen Grover Cleveland a fine '800; è il primo con una condanna penale, senza contare la non verde età e sicuramente il più capace nel cavalcare la tigre rabbiosa di una società delusa che, grazie a lui, potrebbe scoprirsi meno polarizzata. Le conquiste repubblicane in roccaforti dem raccontano di come già nel 2016 a Hillary Clinton sia mancata la periferia e la sua anima labour, ovvero il contatto con quella stessa realtà che ha premiato i dem nel 2020 per punirli nel 2024 privandoli finanche di vittorie simboliche.

Dato il suo stile di governo, su Trump si possono azzardare previsioni, magari smentite dallo stile erratico e dal suo transazionalismo; da notare che Trump ha già omesso qualsiasi collaborazione con la General Services Administration, che fornisce i dati necessari ad un governo subentrante per essere immediatamente pronto ad assolvere al suo mandato, benché vada ricordato che la maggior parte del lavoro sia stato esternalizzato alla Heritage Foundation ed al suo Progetto 2025 e al meno noto progetto di transizione dell'America First Policy Institute.

Il 5 novembre gli americani hanno eletto un presidente da tempo di guerra, dizione politically incorrect ma realistica e per la quale manca una strategia generazionale, un trend che ha indotto l'editorialista del Washington Post, George F. Will a comparare queste elezioni a quelle del 1940, quando gli USA non avevano ancora dichiarato guerra all’Asse ma avevano in Roosevelt un Presidente ben centrato sul tema8. Anche Philip Zelikow, sulla Texas National Security Review, ha stimato che il 47° presidente abbia una probabilità del 20-30% di essere coinvolto in una guerra mondiale. Will non va snobbato; in caso di dubbi, è opportuno rileggersi il terzo discorso inaugurale di Roosevelt del gennaio 19419.

Quanto rimane del Destino manifesto è tutto da vedere, come è da vedere quanto poco sia rimasto in piedi della politica obamiana e dell’ideologia neocon, se ci sia ancora qualcosa di coniugabile ad una vision proiettata verso un sogno kennedyano. Quel che è certo è che la sconfitta della strategia dem post 2016, è stata caratterizzata da quella delle elite costiere, troppo lontane da elegie poco accattivanti. Secondo Jon Ellis Meacham, la situazione attuale rimanda a quella del 1800, quando lo spirito rivoluzionario del 1776 sembrava svanito, a meno che, poeticamente, non si tratti solo della copia di mille riassunti, dove rimane solo la cera, dove dopo non rimane più nulla.

1 Vd. 1880, elezione di Garfield contro Hancock (cfr. immigrazione attuale); 1828 elezione di Jackson contro Adams (tariffe); 1808 elezione di Madison contro Pinckney (isolazionismo); 1900 elezione McKinley contro Bryan (strategia USA nel Pacifico)

2 Una delle prime decisioni nei confronti dell'Iran riguarda la scadenza del meccanismo di snapback della risoluzione 2231 del Consiglio di sicurezza delle NU per l'ottobre 2025, che riconsente l’imposizione delle sanzioni per inadempienza iraniana nell'ambito dell'accordo nucleare (JCPOA).

3 Nonostante le iniziative tariffarie il disavanzo commerciale americano non è diminuito. Trump propone dazi universali del 60% da imporre su tutti i beni cinesi per attuare il decoupling, e del 10% o 20% su tutte le merci da dovunque provengano. Ammesso che Trump riesca a portare avanti la sua politica, le sue iniziative potrebbero aumentare le entrate per il governo federale contenendo però solo in parte il deficit creato dal programma economico.

4 Rispetto al 2017-2020, gli USA coprono per circa 1/5 le importazioni UE di gas naturale. Trump ha rivalutato poi le criptovalute attraverso il lancio della sua società, World Liberty Financial e ha indicato la sua propensione ad una riserva strategica di Bitcoin.

5 Russia, Iran, Corea del Nord e Cina

6 Difesa militare di Taiwan senza dichiarazione esplicita

7 Trump in passato ha preso posizione pro Taiwan, ma recentemente ne ha criticato la posizione di vantaggio competitivo nel settore dei semiconduttori sostenendo la necessità che l’isola paghi di più per la sua difesa. Esiste la convinzione che Trump possa fare aperture alla Cina sullo status dell’isola in sede di accordi negoziali.

8 Vd. discorso della quarantena del 1937 a Chicago

9Per noi è giunto il momento, in mezzo a rapidi avvenimenti, di fermarci un momento e fare il punto della situazione, di ricordare qual è stato il nostro posto nella storia e di riscoprire ciò che siamo e ciò che potremmo essere. Se non lo facciamo, rischiamo il vero pericolo dell'isolamento, il vero pericolo dell'inazione. La vita delle nazioni non è determinata dal conteggio degli anni, ma dalla vita dello spirito umano.

Foto: donaldjtrump.com