La Giordania tra influenze esterne e dissenso popolare: elezioni, diplomazia ed instabilità politico-militare

(di Gino Lanzara)
25/09/24

Le elezioni, come gli animali della Fattoria di Orwell, non sono tutte uguali, prova ne sia la prudente sordina messa a campagna ed esiti elettorali giordani. Sul Regno Hashemita, malgrado si trovi incastonato in una posizione geopolitica di estrema rilevanza esaltata dalla caratteristica di rentier state e dal persistente riverberarsi delle conseguenze della guerra a Gaza, l’attenzione mediatica non ha trovato modo di soffermarsi.

In questo momento Amman si trova sotto un duplice fuoco, ovvero quello della necessità di mantenere proficui e costanti rapporti con Washington, nume tutelare israeliano, sia quello di farsi promotrice di un’azione diplomatica che persuada Tel Aviv ad una condotta di de-escalation in grado di permettere un controllo dei fermenti di piazza che spingono per azioni politiche di rottura in grado di determinare un ulteriore isolamento dello Stato ebraico ed un maggior scollamento tra base sociale e casa regnante. Indispensabile per re Abdallah restringere lo spazio del dissenso popolare pur nella consapevolezza di rischiare di alimentare il diffuso favore nutrito per la Fratellanza musulmana; tuttavia, intelligenza politica e capacità di conformarsi come acqua nel bacile monarchico hanno fatto sì che, malgrado le divergenze, la Fratellanza abbia sempre integrato le proprie opinioni con quelle del regime ogniqualvolta questo si sia trovato in difficoltà1.

Nel 1992, l’obbligo della transizione dei movimenti in partiti politici porta alla costituzione del Fronte d’Azione Islamica, fino a giungere alla Primavera araba che diventa insostituibile opportunità per tentare di portare avanti istanze riformiste, tra cui l’impossibile limitazione del potere regio. La mancanza di minacce condivise fa sì che Monarchia e Fratellanza cessino di aver bisogno l’una dell’altra, senza contare la frammentazione del movimento tra falchi (al-Suqur), conservatori e cigni (al-Hama’im), moderati2.

I successi post Primavere della Fratellanza in Egitto e Tunisia persuadono Amman della necessità di inasprire il contenimento di un’organizzazione tuttavia sempre più parcellizzata da divisioni interne che conducono a ZamZam, piattaforma riformista creata del 2012, e ad una Fratellanza musulmana alternativa del 2015, erede dell’organizzazione originaria e più favorevole al regime costituito. L’immediato accoglimento monarchico della novità conduce al disconoscimento della Fratellanza Ikhwān originaria fino allo scioglimento nel 2020.

Sullo sfondo una situazione economica difficile, dove la ripresa è minacciata dalle tensioni politiche; mentre la Banca centrale giordana riduce i tassi di interesse, il FMI apre vitali linee di credito3 ed inaugura un programma di riforme indirizzate al consolidamento economico di un Paese afflitto da una disoccupazione endemica4. Il problema, tuttavia, ha una dimensione ambivalente riverberandosi dall’esterno sulla politica interna, data l’originaria forte consistenza palestinese della popolazione giordana.

A partire dalla prima decade del nuovo secolo, i rapporti giordano-israeliani si logorano progressivamente per effetto delle politiche adottate dal premier Netanyahu, tanto da costringere re Abdallah a dichiarare nel 2019 di essere giunti a pericolosi minimi storici, una considerazione prima lenita dall’ascesa al potere del duo Bennet-Lapid, poi nuovamente inasprita dal ritorno al potere della destra. Tale è la criticità della situazione che la risoluzione avente ad oggetto un cessate il fuoco avanzata dalla Giordania alla fine di ottobre 2023, è stata seguita a novembre prima dal ritiro da Israele del proprio ambasciatore, poi dall’accordo acqua per elettricità.

Delicata anche la situazione determinatasi sia in Cisgiordania, dove le condizioni generali stanno conducendo a conseguenze di particolare gravità che investirebbero inevitabilmente Amman, sia per ciò che concerne la questione dei finanziamenti UNRWA, agenzia ONU che provvedendo ai rifugiati palestinesi opera anche in ambito giordano sostenendo non meno di due milioni di soggetti.

In questo contesto inedito, privo di reali aperture politiche, il 10 settembre i giordani si sono recati alle urne per eleggere il nuovo Parlamento, con i riformisti pronti ad un cambiamento politico, ed il Fronte d’Azione islamico, da tempo in relazione organizzativa ed ideologica con Hamas, votato ad amplificare il sentimento anti-israeliano; da notare come 41 dei 130 seggi della camera bassa siano stati riservati ai partiti politici per alleggerire l’influenza tribale5, al netto della politica estera, costituzionale appannaggio del Re. Alcune formazioni, come Eradah, sembrano comunque poter continuare a fornire un adeguato supporto data la presenza sul territorio e grazie a leader che conservano un legame con l’establishment che indica un orientamento che propende per dinamiche controllate e senza strappi6.

Mentre i missili Houthi affliggono anche i commerci giordani, che ad Aqaba hanno subito un calo delle esportazioni del 4,1% nei primi 5 mesi dell’anno, unitamente allo stato di incertezza determinato dal contrasto irano-israeliano, imperversano la carenza di liquidità e la svendita di attività commerciali. Nonostante l’economia sia al centro del focus, candidati indipendenti e stakeholder non sono in grado di presentare proposte fattive.

Con la guerra in corso il partito islamista ha cavalcato l’onda della causa palestinese fin dall’inizio fiducioso di riuscire a controllare la collera di un popolo mai così avverso alla normalizzazione dei rapporti con Israele ed in attrito con il suo stesso Stato, visto come negatore della volontà collettiva; ecco dunque, con la focalizzazione della guerra gazawi e con i tumulti in Cisgiordania, la rappresentazione concreta di minacce a stabilità e prestigio nazionali, messi a rischio da possibili esodi dalla zona a ovest del Giordano, e dalla paventata diminutio in merito alla custodia di Al Aqsa. La guerra di fatto ha consentito al partito islamico un’ibridazione, ovvero sia di catalizzare i giordani di origine palestinese sia di ergersi a scudo nazionalista, minimizzando la base ideologica che vuole un disgregante allontanamento da Israele, dunque dagli USA. La mossa islamista strategicamente più avveduta è stata quella di aver incluso nelle liste membri di tribù di spicco al fine di espandere la base elettorale, posto che la Casa Hashemita veglia sempre sul timore di un troppo elevato rischio di perdita di controllo.

Se è vero che la sunnita Amman si oppone alle influenze iraniane fin dal 2004, è altrettanto vero che deve mantenere una posizione, ancorché formale, di costante monito alla politica di Tel Aviv da parte di una monarchia sì costituzionale e di alto lignaggio, ma dove le facoltà esecutive e legislative del monarca rimangono estremamente ampie. Mai come in Giordania il potere rimane in un equilibrio così precario, dove la presa di posizione dell’ex principe Hamza, scomparso dalle cronache, non ha potuto che essere duramente censurata da parte del re con tutte le conseguenze del caso; una situazione di rara instabilità aggravata dalle politiche dei Paesi confinanti, dalla vicinanza di gruppi filo iraniani e dal rapporto con Hamas, visto che nel 1999, una volta salito al trono, ha provveduto ad espellerne gli uffici politici dal territorio.

La politica giordana non può dunque che essere realista, con la vicinanza agli USA, ombrello economico e militare, ed a Riyadh, con il matrimonio tra il principe ereditario Hussein e Rajwa Alseif, appartenente ad una delle più ricche ed influenti famiglie saudite. È opportuno ricordare come l’avvicinamento saudita ad Israele, ora ovviamente rallentato dalla guerra, abbia costituito un discreto ma fattivo effetto postumo degli Accordi di Abramo; per questo non è da sottovalutare il successo, sia pur parziale, conseguito dall’opposizione islamica7, capace di conquistare 31 seggi su 138, in una tornata elettorale che ha visto l’elezione di 27 donne e l’abbassamento dell’età minima dei candidati da 30 a 25 anni, pur con una affluenza pari al 32%.

Tiriamo qualche somma. Che il Regno, realisticamente, debba conformarsi alla realtà internazionale è evidente, come è evidente che l’unica stabilità di rilievo provenga dal contesto occidentale, in grado di valorizzare lo status di rentier; è altrettanto chiaro, tuttavia, che la base sociale giordana risenta della presenza di un forte nucleo palestinese non dimentico del Settembre Nero. Non a caso il 70% circa dei giordani ha approvato l’attacco del 7 ottobre, così come l’uccisione di 3 israeliani sul ponte di Allenby ha giustificato la rituale distribuzione di dolci per le vie giordane. È evidente che indossare la corona hashemita non assicuri ruoli comodi visto che, dal versante opposto, l’attuale politica israeliana non agevola alcun compito.

Non c’è dubbio che, pur avendo fornito ad Israele, tra gli altri, copertura aerea dall’attacco iraniano, l’eliminazione di Haniyeh abbia contribuito a rendere più complesse le posizioni inducendo Amman ad inviare il suo ministro degli esteri a Teheran, per flemmatizzare un’escalation che lascerebbe la Giordania al centro di tutti i fuochi possibili.

Sebbene politicamente distante, il successo elettorale islamico non può che essere valorizzato dall’Iran alla luce del fatto che, pur non giungendo a condizionare la politica nazionale, dato il diretto controllo regio della Camera alta, si può tuttavia puntare ad influenzare opinione pubblica e scena politica generale, come auspicato dallo stesso responsabile della Fratellanza, Murad Adailah.

Ad oggi, lo sforzo politico di re Abdallah è significativo, laddove è riuscito ad incanalare ed a sfruttare la rabbia popolare senza minare il sostegno agli USA e continuando a mettere sull’avviso la collettività sul pericolo sciita.

Il compito si fa ora, se possibile, più difficile, con la costituzione di una maggioranza parlamentare problematica che non può comunque prescindere dall’influenza tribale. Se le previsioni intendono fornire una rassicurante immagine statica e poco mutabile, vanno comunque considerate le variabili costituite dall’asse di resistenza iraniano refrattario alle altrui sovranità, dall’evolversi del conflitto gazawi e, soprattutto, dagli sviluppi libanesi.

Quel che ora sembra di scorgere è una situazione estesa che vede confini minacciati da più punti, un’instabilità politico-militare marcata, un contesto economico che, pur nel suo precipitare, non riesce a persuadere alcun soggetto politico ad una più saggia e realista revisione.

1 Nel 1957 la Fratellanza sostenne la monarchia durante un presunto colpo di stato da parte dei nazionalisti arabi accettando la decisione di uccidere ed espellere migliaia di combattenti palestinesi durante il Settembre Nero del 1970

2 I falchi sono scettici circa la partecipazione politica e sono più radicali circa la querelle palestinese; i cigni propendono per un compromesso, ritenendo la questione palestinese importante, ma subordinata all’interesse nazionale. Ai due gruppi dal 1998 si sono aggiunti i centristi, e dal 2000 gli Hamasisti.

3 Gennaio 2024 1,2 miliardi di USD

4 La guerra a Gaza e le tensioni d’area hanno colpito anche il settore del turismo che costituisce circa il 14% del PIL. Il tasso di disoccupazione giordano è del 21,4% e la disoccupazione giovanile è del 40,8%. Uno studio del Consiglio Economico e Sociale indica che solo sette dei trentuno partiti hanno presentato piani o programmi economici specifici.

5 I seggi riservati alle quote rosa sono passati da 15 a 18, quelli riservati ai cristiani da nove a sette e quelli riservati alle minoranze cecena e circassa da tre a due. La Camera alta rimane di nomina regia. Sebbene le nuove leggi sembrino favorire la scelta dei partiti politici rispetto alle affiliazioni tribali, la realtà indica il contrario. Un sondaggio dell'Università della Giordania ha evidenziato che il 65% dei giordani si fida della propria tribù più dei partiti politici.

6 I partiti devono considerare la mancanza di fiducia della base, che solo per il 15% ha dichiarato di fidarsi (vd. Center for Strategic Studies - Università della Giordania). Il nuovo sistema peraltro non affronta il problema dell’astensionismo, in particolare nelle aree urbane. Nel 2020, c'è stata solo un'affluenza del 12% ad Amman.

7 Jabhat al ‘Amal al Islami, Iaf Il partito di orientamento nazionale Al-Mithaq Al-Watani si è aggiudicato 21 seggi; la compagine di sinistra Taqaddum 8 seggi.

Fotogramma: Nazioni Unite