Come noto, è di questi giorni l’emergenza legata alla diffusione del Covid-19, meglio conosciuto, nell’opinione pubblica, come Coronavirus.
Partito dalla Cina, per ragioni ancora da chiarire, che non riguardano il tema del presente articolo, si è diffuso via via in diverse parti del mondo (in data 30 gennaio 2020, l'Organizzazione Mondiale della Sanità dichiarava, al riguardo, lo stato di emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale, ed in data 11 marzo 2020 quello di pandemia), Italia compresa.
Che, per il tramite del governo Conte, sta cercando di fronteggiare la situazione attraverso alcune misure, succedutesi velocemente una dietro l’altra, da una parte, forse, per una iniziale sottovalutazione del problema, dall’altra, certamente, per il continuo evolversi della situazione epidemiologica, e del carattere particolarmente diffusivo del virus, con il conseguente incremento dei casi anche sul territorio nazionale.
A fronte delle suddette (misure), l’aspetto che certamente ha avuto maggior impatto sulla popolazione è quello riguardante il divieto o la limitazione degli spostamenti, in macchina, a piedi, o con qualsiasi altro mezzo, oltre che la sospensione sempre più stringente di diverse attività.
Tanta la confusione ed il senso di smarrimento della popolazione, dettata da una serie di fattori: in primis, la comunicazione ufficiale, le cui pecche sono state evidenti già da quanto accaduto dalla sera del 7 marzo, ad esempio, allorquando, alla vigilia dell’emanazione del primo vero provvedimento “restrittivo”, diversi treni sono stati presi d’assalto da una moltitudine di gente intenta ad abbandonare le zone che, di lì a poco, sarebbero diventate “rosse” (purtroppo ignorando il fatto che, così facendo, si metteva a rischio la salute di altra parte della popolazione).
In secundis, da diversi articoli di stampa piuttosto approssimativi nel riportare le misure previste e, soprattutto, nell’analizzare i rischi derivanti da una loro eventuale violazione.
Allora, anche alla luce dei primi dati forniti dal Viminale1 sui “servizi di controllo effettuati dalle Forze di polizia sull'intero territorio nazionale per la verifica del rispetto delle misure adottate ai fini del contenimento della diffusione del virus COVID-19”, in base ai quali, nella sola giornata dell’11 marzo scorso, sarebbero state 2.162 le persone e 113 i titolari di esercizi commerciali denunciati, cerchiamo di fare il punto sulla situazione: in particolare, sui rischi penali che, evidentemente, potrebbero conseguire da una erronea interpretazione delle numerose norme emanate nel giro di così breve tempo.
Il quadro normativo
Sebbene sia un’opera che per molti potrebbe risultare noiosa, occorre, innanzitutto, riassumere i decreti che, nel giro di pochissime settimane, hanno deciso, in maniera certamente drastica ma necessaria (almeno a parere dello scrivente), la riorganizzazione forzata della vita di tutti.
A livello nazionale, dunque, i provvedimenti emanati sono i seguenti:
1) la delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, con la quale è stato dichiarato, per sei mesi, lo stato di emergenza sul territorio nazionale relativo al rischio sanitario connesso all'insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili;
2) il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 febbraio 2020, recante "Disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di
contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19", pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 45 del 23 febbraio 2020;
3) il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 25 febbraio 2020, recante "Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in
materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19", pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 47 del 25 febbraio 2020;
4) il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° marzo 2020, recante "Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di
contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19", pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 52 del 1° marzo 2020;
5) il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 4 marzo 2020, recante "Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di
contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull'intero territorio nazionale", pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 55 del 4 marzo 2020;
6) il decreto presidenza del consiglio dei ministri dell’8 marzo 2020, e pubblicato in Gazzetta Ufficiale, in pari data, recante "Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19";
7) il decreto presidenza del consiglio dei ministri, emanato il 9 marzo 2020, e pubblicato in Gazzetta Ufficiale, anch’esso, in pari data, recante "Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull'intero territorio nazionale", pubblicato anch’esso in pari data sulla Gazzetta Ufficiale, al quale sono state stese le restrizioni previste dal decreto 8 marzo 2020, come specificato all’articolo 1 dello stesso: “Allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus COVID-19 le misure di cui all'art. 1 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 marzo 2020 sono estese all'intero territorio Nazionale”;
8) da ultimo, il decreto presidenza del consiglio dei ministri, emanato lo scorso 11 marzo 2020, e pubblicato in Gazzetta Ufficiale in pari data, recante, "Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull’intero territorio nazionale".
Non sono, naturalmente, esclusi, nuovi interventi, ma quello che si andrà ad analizzare di qui a poco rimarrà probabilmente valido a prescindere.
Limitazione degli spostamenti.
È il DPCM dell’8 marzo 2020 ad aver introdotto le prime norme, estese poi a tutto il territorio nazionale, dal DPCM del giorno successivo, valido fino al 3 aprile 2020, ed ulteriormente modificate da quello dell’11 marzo 2020 (pur’esso valido fino al 3 aprile 2020), tese a vietare ogni spostamento delle persone fisiche in entrata e in uscita su tutti i territori della Penisola (isole comprese), nonché al loro interno: divieto che, assoluto per coloro costretti alla quarantena o contagiati dal virus, prevedono delle eccezioni per coloro che avessero l’esigenza di spostarsi a causa di comprovate esigenze lavorative, situazioni di necessità o motivi di salute.
Oltre che la sostanziale sospensione o limitazione (attraverso apposite misure) di tutte le attività che possano portare ad un assembramento di persone, tale da favorire il diffondersi del virus in questione.
Orbene, a fronte di tali interventi decisamente invasivi, quello che ha destato molto stupore e diverse critiche, è il ricorso allo strumento dell’autocertificazione, per dimostrare, da parte di chi dovesse essere fermato fuori casa, di poterlo fare in quanto “scriminato” da uno dei casi più sopra previsti.
Perché tutto ciò? Di base, c’è il fatto che una auto-dichiarazione, intanto, presupporrebbe l’esatta conoscenza del dato normativo all’interno del quale ci si muove e per la quale essa è richiesta.
Sebbene nel nostro ordinamento, come in altri, viga il principio secondo cui l’ignoranza della legge non sia una giustificazione, sarebbe utopistico pensare che tutti possano essere bene informati sulle norme e, soprattutto, sulla loro corretta interpretazione.
In secondo luogo, sgombrando il campo da ogni finto moralismo ed ipocrisia, una auto-dichiarazione presupporrebbe l’onestà da parte di chi la esegua, ma la realtà ci ha abituato, spesso, al contrario.
Figuriamoci, poi, se, ad entrare in gioco, subentrino poi componenti come la sensazione di essere obbligati a stare a casa, di non vedere magari un amico, un parente, un fidanzato, o di non poter fare quello che, fino a qualche ora fa, si faceva abitualmente. Ciò a rischio non solo della persona che esce di casa senza un valido motivo, ma anche di chi viene in contatto con essa, aumentando reciprocamente il rischio di contagio, dal momento che, magari, si può anche essere infetti senza saperlo.
Con la conseguente voglia di cercare un escamotage interpretativo, o, più semplicemente, di “rischiarsela”, piuttosto di soddisfare quello che una propria pulsione, in quel momento, spinge irrefrenabilmente a compiere.
I moduli predisposti dal Ministero dell’Interno, scaricabili dalla rete, ma anche diversi altri, attraverso cui auto-dichiarare, appunto, un proprio spostamento e la relativa giustificazione “scriminante”, riportano un esplicito richiamo alle violazioni previste dalla legge, in caso di in caso di “dichiarazioni mendaci a pubblico ufficiale” (art. 76 D.P.R. 445/2000 ed art. 495 c.p.), cui, in questo caso, potrebbero aggiungersi due ulteriori reati, ossia quello dell’ “Inosservanza dei provvedimenti dell'Autorità” (art. 650) e quello riguardante i “delitti colposi contro la salute pubblica” (art. 452 c.p.), che persegue tutte le condotte idonee a produrre un pericolo per la collettività.
Ebbene, andiamo ad esaminare, nello specifico, cosa si rischia.
Dichiarazioni mendaci a pubblico ufficiale
Riguardano, nel caso concreto, quelle dichiarazioni che, effettuate oralmente o riportate nel modello cartaceo che si dovesse consegnare all’operatore di Polizia ad un eventuale posto di blocco, siano, appunto, mendaci, ossia non veritiere.
Tale reato è previsto sia dall’art. 76 del DPR n. 445/2000, che richiama i reati di falso, anche commessi ai danni di pubblici ufficiali, e la loro punibilità ai sensi del codice penale e delle leggi speciali, sia dall’art. 495 c.p. (cui, peraltro, si fa espresso riferimento sia nel modello scaricabile dal sito del Ministero dell’Interno, sia nella maggior parte di quelli rinvenibili in rete), secondo cui: “Chiunque dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, l’identità o lo stato o altre qualità della propria o dell’altrui persona è punito con la reclusione fino a tre anni.
Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto in una dichiarazione destinata ad essere riprodotta in un atto pubblico. La reclusione non è inferiore ad un anno: 1) se si tratta di dichiarazioni in atti dello stato civile; 2) se la falsa dichiarazione sulla propria identità, sul proprio stato o sulle proprie qualità personali è resa da un imputato all’Autorità giudiziaria, ovvero se per effetto della falsa dichiarazione, nel casellario giudiziale una decisione penale viene iscritta sotto falso nome.
La pena è diminuita se chi ha dichiarato il falso intendeva ottenere, per sè o per altri, il rilascio di certificati o di autorizzazioni amministrative sotto falso nome, o con altre indicazioni mendaci”.
Ora, dei limiti del ricorso all’istituto dell’autodichiarazione già si è detto. A livello tecnico, la pena massima, a ben leggere la norma, è certamente tale da fungere da deterrente, sebbene con un rito alternativo e, magari, l’applicazione di una circostanza attenuante, essa potrebbe tranquillamente essere ricondotta nel limite previsto per la sospensione condizionale della pena.
Discorso che, a maggior ragione, vale per la pena minima, che potrebbe risultare davvero esigua.
Tra gli aspetti deterrenti vi è la possibilità di trarre in arresto il falso dichiarante, ove colto in flagranza (anche se il DPCM prevede la possibilità di effettuare i controlli anche successivamente alle dichiarazioni rese), e/o di applicare le misure cautelari personali. Certamente, all’atto pratico, è lecito domandarsi, qualora fosse fermato uno straniero, o, soprattutto nelle stazioni e negli aeroporti, gli fosse richiesto di compilare il modulo di autodichiarazione, come si possa ovviare nell’immediato a tale ostacolo, posto che, se l’ignoranza della legge non scusa, certamente costituisce un serio problema la non comprensibilità degli atti da parte di persone di lingua non italiana.
Così come se, effettivamente, verrà disposto l’arresto di quelli eventualmente colti in flagranza di reato. Una misura forse necessaria, nel caso specifico, stante la gravità della situazione.
Una ulteriore ipotesi delittuosa, concorrente o alternativa a quella poc’anzi citata, potrebbe ravvisarsi in quella contenuta nell’art. 483 c.p., secondo cui: Chiunque attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità, è punito con la reclusione fino a due anni. Se si tratta di false attestazioni in atti dello stato civile, la reclusione non può essere inferiore a tre mesi. Un reato lieve, per il quale non sono previsti né l’arresto, né il fermo, né le misure cautelari personali.
Anche per esso, pene molto lievi, evidentemente, soprattutto se comminate a seguito di riti alternativi e/o di applicazioni di circostanze attenuanti.
Inosservanza dei provvedimenti dell'Autorità
L’articolo 4 del DPCM 8 marzo recita, al comma II che:
“Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il mancato rispetto degli obblighi di cui al presente decreto è punito ai sensi dell’articolo 650 del codice penale, come previsto dall’art. 3, comma 4, del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6”.
Ebbene, nel caso dell’emergenza Coronavirus, tale reato si potrebbe configurare nel momento in cui si dovessero violare una o più disposizioni dell’impianto normativo cui si è fatto riferimento in premessa. Ad esempio, se di dovesse essere sorpresi fuori casa senza un valido motivo, tra quelli previsti nelle cause di esclusione del divieto di spostamento.
Tale illecito, contemplato dall’art. 650 del codice penale, prevede che:
“Chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall’Autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica, o d’ordine pubblico o d’igiene, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a duecentosei euro”.
È un reato contravvenzionale. La pena è davvero esigua e certamente potrebbe essere valutata, in un ipotetico bilanciamento di rischi da quelli più avveduti.
Tale illecito, infatti, prevede l’arresto fino a tre mesi (quindi, nel minimo, potrebbero essere addirittura solo 5 giorni) o l’ammenda fino a 206 euro: il procedimento penale che ne scaturirebbe potrebbe facilmente sfociare in un decreto penale di condanna (“ridotto” ad una semplice pena pecuniaria) o, su richiesta dell’imputato, (anche a seguito della sua opposizione al provvedimento di cui detto poco fa, ossia il decreto penale di condanna) con una richiesta di oblazione (che consiste nel pagamento di una somma di denaro pari, in questo caso, alla metà del massimo previsto) e conseguente estinzione del reato.
Per esso, tra l’altro, valgono le stesse considerazioni svolte per il reato di cui al paragrafo precedente: nella peggiore delle ipotesi, cioè, tramite un rito alternativo, si potrebbe benissimo contenere la pena a quantità davvero irrisorie.
Desta perplessità il fatto che il controllo possa essere svolto anche successivamente: stante le ataviche problematiche che affliggono le amministrazioni pubbliche, è lecito dubitare che tali accertamenti verranno effettivamente svolti, in un futuro peraltro tutto da definire.
Con l’ovvio corollario che, più in là questi controlli dovessero avvenire, più, nel frattempo, sarebbe iniziato a decorrere il tempo necessario a prescrivere l’eventuale reato commesso.
Tale disposizione è naturalmente applicabile anche ai gestori di attività per le quali siano state disposte particolari misure, di fatto poi non rispettate,
Tra i più gravi reati ipotizzabili, cui la norma in esame richiama, emergono quello della “Resistenza a un pubblico ufficiale”, previsto dall’art. 337 c.p. (ove, ad esempio, il soggetto di turno, per fuggire ad un controllo, resista alle Forze dell’Ordine), o, appunto, quello di cui all’art. 452 c.p. di cui si tratterà più oltre.
Per il primo di essi, il cui articolo recita
Chiunque usa violenza o minaccia per opporsi a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio, mentre compie un atto di ufficio o di servizio, o a coloro che, richiesti, gli prestano assistenza, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni
la pena prevista è, nel massimo, piuttosto alta e, nel caso (probabile) di flagranza, è consentito l’arresto, oltre che, a prescindere, l’applicazione delle misure cautelari personali.
Delitti colposi contro la salute pubblica
Ove, per rimanere al caso concreto del Coronavirus, il soggetto sorpreso fuori casa, sia trovato infetto, o magari su di lui vi fosse l’obbligo della permanenza domiciliare per lo svolgimento della c.d. quarantena, il reato che pure gli potrebbe essere contestato è quello di cui all’art. 452 c.p., che punisce una serie di condotte, commesse con colpa (ossia con imperizia, imprudenza o negligenza), in grado di attentare alla salute pubblica, per le quali è prevista la possibilità di procedere all’arresto in flagranza, al fermo di indiziato di delitto ed all’applicazione di misure cautelari personali, Tra di esse, l’esplicito richiamo al cagionamento di una epidemia, stante l’esplicito richiamo all’art. 438 dello stesso codice penale:
“Chiunque commette, per colpa, alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 438 e 439 è punito:
1) con la reclusione da tre a dodici anni, nei casi per i quali le dette disposizioni stabiliscono la pena di morte;
2) con la reclusione da uno a cinque anni, nei casi per i quali esse stabiliscono l'ergastolo;
3) con la reclusione da sei mesi a tre anni, nel caso in cui l'articolo 439 stabilisce la pena della reclusione.
Quando sia commesso per colpa alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 440, 441, 442, 443, 444 e 445 si applicano le pene ivi rispettivamente stabilite ridotte da un terzo a un sesto”.
Ora, mentre in questo articolo, come detto, l’azione del reo è prevista a titolo di colpa, come già specificato, la cui punibilità, peraltro, non esige la creazione di un pericolo concreto per la salute pubblica, essendo sufficiente che il nocumento a quest’ultima possa conseguire a condotte che abbiano in sé la “semplice” attitudine a produrlo, la statuizione di cui all’art. 438 c.p., invece, riguarda il caso in cui qualcuno, volontariamente, provochi una epidemia. Ipotesi che ci si augura essere residuale, ma che pure merita un cenno, anche per essere portata all’attenzione di qualcuno malintenzionato. La norma richiamata afferma che
“Chiunque cagiona un'epidemia mediante la diffusione di germi patogeni è punito con l'ergastolo”.
È la fattispecie delittuosa più grave, per la quale è prevista l’obbligo di arresto in flagranza e l’applicazione di misure cautelari personali, con la previsione dell’ergastolo quale unica pena.
Qualche suggerimento “salvavita”
Escluse, naturalmente, le ipotesi in cui si abbia l’obbligo della quarantena o si sia risultati contagiati, per le quali vi è l’obbligo della permanenza domiciliare, per tutti gli altri casi, il consiglio è, per prima cosa, di non uscire di casa: nel caso in cui si dovesse farlo, “rientrare” in uno dei motivi sopra elencati, portando con sè tutta la possibile documentazione attestante la causa giustificativa.
Nel caso si dovesse essere fermati (anche a piedi), mentre ci si stia recando a lavoro, sarebbe buona norma avere con sé copia del contratto di lavoro, o di qualsiasi altro documento che possa dimostrare la veridicità della dichiarazione.
Ove ci si stesse recando a svolgere attività sportiva all’aperto (che non è vietata), portarsi con sé copia del decreto 8 marzo 2020, dove tale possibilità viene espressamente prevista, a patto che si seguano determinate precauzioni (se da soli, nulla quaestio; se in compagnia, ad esempio, mantenere la distanza di almeno un metro l’uno dall’altro). Questo perché non è detto che, chi dovesse procedere al controllo, abbia a sua volta letto, riga per riga, la corposa produzione normativa in materia, succedutasi in così breve lasso di tempo.
Con l’accortezza, chiaramente, di essere e risultare credibili: sostenere di dover andare a fare una arrampicata su un monte a decine di chilometri di distanza dalla propria abitazione, non avrebbe certamente senso e sarebbe sicuramente inopportuno.
Idem se ci si dovesse recare in farmacia o a portare sussistenza ad un parente malato.
Occorre, in questo periodo, contemperare gli interessi, armandosi di tanto buon senso.
Quindi, non sono ammessi sotterfugi o escamotage di qualsiasi natura, pensati per aggirare le norme che, forse tardive, e probabilmente da integrare ulteriormente, sono state comunque emanate per cercare di uscire da una emergenza davvero grande.
Un’ultima annotazione: a scanso di equivoci, stante la confusione pure su questo punto, è bene portare con sé una o più copie del modulo auto-dichiarativo, nel caso, ad esempio, si dovesse essere sottoposti anche più volte, nel corso della stessa giornata (si immagini l’esempio di colui che esca per andare a lavoro la mattina, e venga fermato per un controllo, e, tornando a casa la sera, subisca nuovamente la medesima sorte.
Ricordandosi che, quel che poi conta, è quanto venga in esso dichiarato.
Soggetti incaricati al monitoraggio
Proprio con riguardo ai soggetti incaricati del controllo, il DPCM 8 marzo 2020 li individua nei Prefetti territorialmente competenti, cui assegna lo specifico compito di garantire il rispetto dei limiti e delle regole ivi previste, che potranno avvalersi di forze di polizia, vigili del fuoco e forze armate (mentre, per quanto concerne il monitoraggio sull’andamento degli isolamenti domiciliari, come pure sulla mappatura e sulla diffusione del virus, il decreto individua gli operatori sanitari). Ebbene, anche qui è lecito supporre che, data la difficoltà in cui, già in una situazione ordinaria questi soggetti sono chiamati ad operare, difficilmente il controllo potrà essere capillare o, almeno, di congrua efficacia. Soprattutto poi, quando, ad aggiungersi, sia la rivolta diffusa di molti carceri italiane, che certamente distoglieranno parecchie energie a queste forze dello Stato, già ampiamente stressate.
Insomma, si paga lo scotto, a tutti i livelli, di una politica che, ormai da diverso tempo, ha maltrattato il più bel Paese del mondo: non può che toccare, ancora una volta, al popolo italiano, che nelle difficoltà si è sempre ricompattato, mostrando o riscoprendo grandi doti, resistere e risollevare le sorti della propria nazione.