La rimozione del potente capo-miliziano e politico misuratino Fathi Bashagha dalla poltrona di ministro dell'Interno del governo tripolino da parte del premier Fayez al-Sarraj ha aperto uno spiraglio insperato per l'Italia in Libia.
L'intervento militare turco nel conflitto libico nei mesi scorsi ha riequilibrato la linea di fronte consentendo ai tripolini prima di spezzare la morsa delle forze di Haftar attorno alla capitale e poi di liberare interamente la Tripolitania portandosi a pochi chilometri dalla roccaforte di Sirte. Politicamente la presenza delle truppe di Ankara in Tripolitania aveva significato il rafforzamento del partito filo-turco nell'esecutivo di Sarraj e quindi del "fratello musulmano" Fathi Bashagha, ex pilota militare ai tempi di Gheddafi, capace di "riciclarsi" prima come referente a Misurata della NATO nel 2011 e poi come leader politico-militare misuratino particolarmente vicino ad Erdogan. Le origini turche della famiglia di Bashagha hanno contribuito a rafforzare un legame politicamente già molto solido.
Così mentre per Sarraj i militari turchi che hanno affiancato truppe e miliziani libici governativi nelle operazioni contro Haftar sono stati più che altro un utile sostegno e, contemporaneamente, una fastidiosa fonte d'ingerenze straniere, per Bashagha essi rappresentavano un punto di riferimento, praticamente il cardine ed il fulcro del proprio potere politico e del proprio "potenziale di ricatto" in seno al governo. Nel corso degli ultimi mesi la linea filo-turca di Bashagha si era esplicata nell'accordo turco-libico sulla nuova ZEE, nella convenzione marittima su Misurata, nel rifiuto tassativo d'ogni proposta negoziale proveniente dalla Cirenaica e nelle pressioni per assestare il colpo finale al traballante meccanismo difensivo haftariano ad al-Jufra e Sirte.
Un inasprimento del conflitto, generato da una eventuale conquista di Sirte da parte dei tripolini, in questa fase non poteva essere auspicato da Sarraj che, per uno dei soliti paradossi della guerra e della politica, rischiava d'essere sbalzato dalla sedia per aver conquistato la vittoria sul campo. Questo è uno dei motivi che venerdì scorso hanno spinto il premier ad estromettere il ministro dell'Interno utilizzando come pretesto la dura repressione attuata dalle forze di sicurezza contro i manifestanti scesi in piazza contro il governo a Tripoli dal 23 agosto.
Eppure era stato lo stesso Sarraj nei giorni scorsi a definire "inaccettabile" il comportamento di quanti stavano protestando, parlando anche della presenza tra i manifestanti di infiltrati non meglio identificati e di uomini armati riconducibili alle milizie Nawasi. Dure critiche all'operato di Sarraj erano arrivate proprio dagli ambienti misuratini, in particolare dai miliziani Al-Samoud di Salah Badi, mentre Bashagha, pur preparando la repressione, aveva tenuto nei fatti una condotta alquanto ambigua. Sarraj che aveva chiesto al governo di prendere seri provvedimenti contro le manifestazioni, ha accusato poi Bashagha di aver utilizzato il pugno di ferro contro la popolazione.
Se un politico come Sarraj – considerato da più parti come isolato, debole e privo di appoggi internazionali importanti – è riuscito a "defenestrare" un capo di milizie forte dell'appoggio dei Fratelli Musulmani, delle componenti più radicali politico-militari di Tripoli e, soprattutto, della Turchia, non può averlo fatto da solo. Tutto lascia pensare che dietro questa operazione vi sia lo zampino degli Stati Uniti d'America – che tramite i contractors della Jones Group International garantiscono la sicurezza personale di al-Sarraj – disturbati dalla politica turca nella regione. Uno degli assunti teorici su cui si regge la dottrina strategica turca della "Patria blu" è evitare il più a lungo possibile frizioni con gli USA per garantire l'area di proiezione di Ankara; tuttavia nessuno degli strateghi turchi ha mai negato il fatto che il momento della reazione di Washington alla "politica estera assertiva" di Erdogan nel Mediterraneo sarebbe arrivato. Tutto stava nel capire quanto tempo rimaneva ai turchi prima del "colpo di frusta" statunitense.
La sosta obbligata delle forze turco-tripoline di fronte a Sirte e le divisioni interne al governo di Tripoli hanno consentito di mettere un freno alle pretese turche. Ammesso che l'essere arrivati fino a Misurata per i turchi rappresenti comunque un successo politico-diplomatico e militare, è anche vero che oggi, per citare Gian Micalessin, all'Italia l'estromissione di Bashagha offre un assist per tornare a giocarsi la partita nella "Quarta Sponda".
La visita a Tripoli del ministro degli Esteri Luigi Di Maio e del sottosegretario Manlio Di Stefano ha aperto forse una fase nuova per l'azione italiana in Libia sia dal punto di vista politico che da quello economico. Certo, non saranno Di Maio e Di Stefano le punte di diamante di Roma per contrastare le mire turche sull'onda del risveglio statunitense, ma la speranza è che gli uomini della "carriera" della Farnesina, quelli dell'AISE e la "diplomazia parallela" dell'ENI facciano il loro mestiere.
Nei circoli della capitale libica gli italiani godono ancora di appoggi importanti, Sarraj ha chiesto chiaramente a Roma un sostegno economico e materiale per la fase di ricostruzione post-bellica (dall'autostrada della pace di berlusconiana memoria ai lavori presso l'aeroporto di Tripoli ce ne sono di possibilità) ed il fattore dal non sottovalutare è che il canale preferenziale con Washington non si sia mai interrotto.
Una strategia basata sul mantenimento dei tradizionali equilibri in Libia – e quindi sul recupero della preminenza italiana, anche politica, nel Paese – è funzionale anche per i disegni statunitensi e quindi è la migliore da seguire senza stravaganti colpi di testa e schizofrenie à la française. La diplomazia economica giocherà un ruolo fondamentale in questa fase e quello per la modernizzazione della Libia, anche con la costruzione di nuove infrastrutture strategiche e la ricostruzione di quelle danneggiate da nove anni di guerra ininterrotta, sarà uno dei dossier da tenere sotto controllo. Allo stesso tempo, però, l'Italia non dovrà farsi tentare solo ed esclusivamente dal profitto ma sarà necessario puntare su una attenta e raffinata ricostruzione della propria area d'influenza politico-militare in Libia.
In altre parole occorre trovare il modo di trasformare il successo tattico raggiunto contro la Turchia – grazie all'intervento altrui – in vittoria strategica.
Foto: Awstishur