Benché il riordino delle Forze armate e in particolare dell’Esercito abbia modificato o sostituito diverse mansioni con altre più avanzate, che cosa è rimasto dell’iter previsto per la manutenzione dei veicoli?
La digitalizzazione non cambia il metodo
Che l’organizzazione militare sia quasi infallibile nella gestione di risorse e personale è risaputo e giustifica diversi indispensabili passaggi burocratici (da non confondere con lo scarica-barile). Alla base delle regole emanate c’è un ragionamento obiettivo, apparentemente troppo scrupoloso, ma senz’altro studiato per garantire l’efficienza dei materiali nel tempo e nell’uso operativo.
Nei reggimenti i modelli cartacei ingialliti e compilati a penna hanno lasciato il posto ad archivi informatici e programmi software che rilasciano stampate per le autorizzazioni o le scadenze manutentive gestite sempre dall’ufficio automezzi. Basta la firma del diretto interessato e del conduttore per portare avanti il concetto d’efficienza che si tramanda dall’esistenza della motorizzazione nelle Forze Armate.
I livelli di manutenzione
A qualche lettore sembrerà di fare un salto nel passato nel sentire nominare terminologie e sigle che oggi sono comunque vive quando si tratta di catalogare le condizioni dei veicoli che non risultino in fermo tecnico o alienati.
Molti di voi ricorderanno i vari stadi manutentivi previsti nei battaglioni o reggimenti ed eseguiti dall’Ufficio automezzi, spesso retto da un maresciallo o un sergente maggiore anziano.
I passaggi tecnici, stando a indiscrezioni e confidenze, sono cinque, alcuni eseguiti nei reggimenti, altri delegati all’esterno.
Va premesso che una certa “autonomia manageriale” nei reggimenti ha permesso di gestire diversamente e più velocemente (almeno così dovrebbe essere) alcune problematiche rispetto al passato, dove i numeri di mezzi e soldati impiegabili erano maggiori.
La MO (manutenzione ordinaria): è strettamente legata al conduttore prima, durante e dopo il servizio. Il che significa che esiste una pianificazione preventiva d’impiego stilata dall’ufficio automezzi e che il conduttore è tenuto a conoscere per potersi organizzare. Mentre ai tempi della leva l’organizzazione personale passava sempre dal benestare di un superiore (anche per l’aggiunta di olio motore), con la professionalizzazione e i numerosi corsi impartiti dallo SME, il conduttore militare ha più conoscenze e più autonomia decisionale.
La MS (manutenzione specializzata): equivale sostanzialmente a dei tagliandi ed è un operazione svolta dal posto di manutenzione del reparto. Si esegue a precise scadenze chilometriche e temporali appena si visualizza l’alert riconducibile alla targa del veicolo.
- Riparazioni di 1° grado: in questa categoria “più specializzata” rientrano tutti gli interventi di officina risolvibili nell’arco di 24 ore e sono eseguiti dal plotone RR (riparazioni e recupero) di reparto o dei reparti di supporto.
- Riparazioni di 2° grado: la competenza passa ai reggimenti logistici per gli interventi che superano le 48 ore, i reparti di Manovra in grado anche di effettuare recuperi con traino dei mezzi rimasti fermi.
Per le riparazioni più importanti: ci si affida a un altro passaggio, ai reparti CERIMANT o sezioni di mantenimento dislocate sul territorio e, qualora si verificassero necessità, alla rete di assistenza civile convenzionata.
Oggi nonostante nelle Armi (in particolare la Fanteria e il Genio) e Specialità dell’Esercito sia percepibile una competenza trasversale su specifici sistemi e mezzi, i reparti all’apice della competenza manutentiva sono comunque gestisti dall’Arma dei trasporti e materiali, gli autieri.
L’interazione con la rete d’assistenza civile per la riparazione dei mezzi militari, assume un riferimento importante anche per il contenimento della spesa e l’ottimizzazione del numero dei soldati impiegati nei servizi. Un passaggio che in molti casi ha senz’altro snellito le immaginabili lungaggini, ma che ha visto al tempo stesso la chiusura di molte realtà manutentive a livello di battaglione, creando forse una vulnerabilità. Non proprio un bene per alcuni versi.
I doveri del conduttore
Nel vademecum del conduttore militare emesso nel 1966 dall’allora ufficio I.M.A.R. i doveri elencati non sono molto diversi da oggi. Infatti i dieci punti contenuti nello storico vademecum prevedono che il conduttore debba controllare i livelli, assicurarsi della pulizia del mezzo, verificare eventuali anomalie e pressione dei pneumatici, mentre per quanto riguarda le norme comportamentali la puntualità è chiaramente sacrosanta come la postura durante la guida. Viene addirittura ribadito già negli anni sessanta il concetto di guida sicura, ovvero che le mani che impugnano il volante devono risultare sempre all’opposizione tra loro, lo schienale quasi verticale e i gomiti non troppo distanti dai fianchi.
Una storia a lieto fine
Vincenzo, per gli amici Pino, è un luogotenente degli autieri in congedo da diversi anni. Mi racconta un simpatico episodio sull’arte di sapersi arrangiare del nostro Esercito. Erano i primi anni ‘80 quando Vincenzo era un giovane sergente maggiore 27 enne a capo della contabilità del plotone RR presso un battaglione trasmissioni.
La preparazione: “Un autunno degli anni 80, il nostro battaglione ha partecipato a una esercitazione del 3° corpo d'armata in un'area operativa del Veneto. il giorno prima della partenza, da Milano per la base logistica di Arlesega, piccola frazione di Mestrino in provincia di Padova, tutto era pronto. L'autocolonna, formata da circa 40 automezzi per il trasporto di materiali utili (rimorchi, shelter, ecc.) per effettuare i collegamenti radio e pontiradio, era schierata nel cortile della caserma, pronta alla partenza. Ultimi controlli sui mezzi interessati, poi le insegne come da codice, IC FC sul primo in testa (inizio colonna - fine colonna) e FC IC sull’ultimo”.
Pronti a muovere: “Esterni all’autocolonna alla distanza di un chilometro, c’era una AG70 (autogru soccorso), un'AR59 da me guidata, con a bordo anche due militari meccanici di automezzi, e un ACM52 con il carico di cassette a scomparti per autoricambi dei quali io ne ero il responsabile. Noi dovevamo essere pronti a intervenire per eventuali veicoli in avaria. Alle ore 07,00 partivamo e imboccavamo l'autostrada per Venezia”.
Il guasto: “Nei pressi di Brescia per un guasto meccanico si ferma un ACP70 che veniva soccorso dalla la nostra AG70 che lo traina in direzione Arlesega, la base logistica del btg. Poi, all'altezza di Verona, notiamo un mezzo militare accostato sulla corsia di emergenza. Era un nostro ACM52. Io con l’AR59 e l’ACM52 ricambi ci fermiamo dietro e constatiamo la rottura dei bulloni autobloccanti dell'albero di trasmissione posteriore”.
Operatività e ingenio: “breve consulto con i militari meccanici...
1) staccare l'albero posteriore e far marciare il mezzo con la sola trazione anteriore fino alla successiva uscita autostradale? ipotesi scartata;
2) aspettare il ritorno dell'AG70? ma si parlava di rimanere lì almeno altre 4/5 ore. Ipotesi scartata;
3) Riparare sul posto il guasto? Accettata se si trovano i bulloni.
Bisognava individuare fra tutte le casse contenenti più di mille ricambi, i bulloni autobloccanti necessari alla riparazione.
Montai sul cassone dell'ACM52 ricambi e quasi al buio e aiutato da una torcia in dotazione, aprivo le cassette e poco dopo individuai lo scomparto dei bulloni.
Forse fortuna, forse esperienza anche perché fra migliaia di ricambi che avevamo sapevo già di avere in carico 30 bulloni autobloccanti per albero trasmissione.
Io e i militari meccanici in meno di mezz'ora abbiamo effettuato la riparazione. Avevamo le mani e la faccia completamente sporche di grasso”.
Si riprende e arriva la soddisfazione del comandante: “Lasciando la piazzola di sosta, abbiamo ripreso il viaggio in tutta tranquillità, siamo arrivati alla base di arlesega con solo 2 ore di ritardo.
Piccolo particolare: appena entrati alla base i colleghi e il comandante ci hanno fatto un caloroso e fraterno applauso”.
Vincenzo aggiunge una sua considerazione: “Alla guida degli ACM52 e gli stessi meccanici, c'erano militari di leva che avevano 19/20 anni, direi che sono stati veramente bravi.
Per me è stata un’esperienza che ricordo sempre con orgoglio in quanto non ero meccanico, ma semplicemente contabile del plotone RR.
Ma tutto questo lo potrei fare adesso? Credo di no, anche perché allora il traffico di mezzi pesanti era sicuramente minore rispetto al traffico e alle velocità attuali sulle nostre autostrade.
Nonostante avessimo messo in atto tutte le norme di sicurezza del periodo, forse da parte nostra c'è stata un po' di incoscienza?
Spero che chi legge capisca lo stato emotivo e di responsabilità in cui si sono trovati dei ragazzi di età tra i 19 e i 20 anni. Io ne avevo 27 anni. Tutto è bene quello che finisce bene”.
Grazie Pino, dal tuo racconto credo che anche i lettori percepiranno quello spirito di corpo e quel clima di genuina solidarietà che avete trasmesso per generazioni durante il servizio di leva!
Foto: web / Esercito Italiano