Quando si parla di guerre, a quanto è lecito dedurre dalle cronache di queste settimane, si finisce con il reputarne importanti alcune, dimenticandosi di altre.
E, all’interno delle prime, si assiste, a volte, ad una distorsione mediatica per la quale vengano posti in luce, giustamente, i possibili crimini compiuti da una delle parti in conflitto, non considerando, o facendo finta di dimenticarsi, di quelli forse compiuti anche dall’altra: con il risultato non solo di alterare la percezione di dove possa essere il punto di equilibrio tra le rispettive ragioni delle suddette, ma anche di continuare ad ignorare, o, peggio, a giustificare, eventuali azioni criminali della parte che, per quanto sopra, finisce con l’essere considerata quella da appoggiare a prescindere.
Il riferimento, chiaramente, è a quello che sta accadendo in Ucraina, con il comprensibile clamore mediatico che sta accompagnando il conflitto lì esistente dopo l’invasione russa: dispiace, però, che, seppur con i dovuti distinguo, la medesima enfasi non sia stata posta per altri conflitti o situazioni di crisi che, purtroppo, hanno afflitto, o affliggono tuttora, il mondo.
E stupisce, ma forse non più di tanto, che, sempre per quanto detto sopra, vengano denunciati, giustamente, gli eventuali crimini commessi dai russi (al netto, poi, della veridicità o meno dei fatti di guerra cui essi - crimini - sarebbero attribuiti), ma si sorvoli su quelli posti in essere, probabilmente, anche dagli ucraini (già si è detto1, ad esempio, dei civili che prendono parte alle ostilità i quali, a meno che non siano organizzati in movimenti di resistenza, con tutto ciò che ne consegue - ossia: struttura gerarchica sotto un comando responsabile, segno distintivo, armi portate in maniera visibile e rispetto del diritto internazionale umanitario - violano, perciò stesso, le regole della guerra).
Una affermazione, questa, che deve essere ritenuta scevra da qualsiasi giudizio politico, essendo essa prettamente giuridica: altrimenti detto, nel sottolineare che, dei possibili crimini, possano sussistere anche da parte ucraina, non vuole assolutamente significare uno sminuire o un mettere in dubbio la pur legittima resistenza di quel Popolo che ha visto il suo territorio aggredito ed invaso da una Potenza nemica, ma porre l’attenzione sul fatto che, piaccia o no, se esistono delle leggi di guerra esse debbano essere rispettate da tutti, sebbene umanamente ciò possa risultare stridente con la realtà dei fatti e con i sentimenti di simpatia e vicinanza che, in genere, spesso si provano per la parte ritenuta “vittima”.
Per meglio dire: anche l’anziana signora che, in stato di indigenza, si trovi a rubare al supermercato, se umanamente possa certamente attirare la pietas umana, dal punto di vista giuridico starebbe sempre e comunque commettendo un reato, salvo le diverse sfumature che si potrebbero verificare caso per caso.
Nel contesto anzidetto, a maggior ragione, trattandosi di una guerra, le conseguenze dei relativi crimini possono raggiungere un livello di gravità ben superiore e, appunto per questo, questi non possono essere legittimati né da una parte, né dall’altra, sebbene per una di esse vi possa essere la “giustificazione” del doversi difendere dal nemico invasore.
Ebbene, al netto degli sviluppi degli ultimi giorni, come noto, in Ucraina, era già in corso un altro conflitto, sempre con le medesime parti in causa di quello “attuale” (il riferimento è alla guerra del Donbass), all’interno del quale sono stati compiuti dei crimini di guerra, ma di essi non vi è stata una uguale denuncia, come più sopra si è accennato: e che essi abbiano riguardato entrambe gli attori in conflitto (russi e ucraini, per l’appunto), è stata una recentissima ordinanza della Corte di Cassazione italiana (la n. 7047 del 2022, del 3 marzo scorso) con la quale, nel riconoscere il diritto di protezione internazionale ad un cittadino ucraino giunto in Italia per evitare la chiamata alle armi nel suo Paese, è stato riconosciuto come suscettibile di accoglimento, tra i diversi motivi di ricorso, anche quello riguardante l’asserito pericolo, per il suddetto, di “essere costretto a servire nell'esercito Ucraino, in quanto soggetto in età utile per la leva, con conseguente pericolo di essere coinvolto, suo malgrado, in azioni di guerra e di essere costretto a commettere crimini di guerra o contro l'umanità”.
Gli Ermellini hanno, più nello specifico, statuito che “In materia di protezione internazionale, deve essere riconosciuto lo status di rifugiato politico all'obiettore di coscienza che rifiuti di prestare il servizio militare nello Stato di origine, ove l'arruolamento comporti il rischio di un coinvolgimento, anche solo indiretto, in un conflitto caratterizzato dalla commissione, o dall'alta probabilità di essa, di crimini di guerra e contro l'umanità”, puntualizzando che, per quel che qui più interessa:
1) tutte le fonti internazionali concordano sull'esistenza, in Ucraina, di un conflitto armato2, nel cui ambito le parti non hanno rispettato gli accordi del 2015-2016 sul cessate il fuoco ed hanno continuato a combattere nonostante la tregua;
2) le stesse fonti evidenziano la presenza di gravi violazioni e di crimini di guerra, commessi da ambo le parti in conflitto;
3) l'istituto dell'obiezione di coscienza - definita, in base alle Linee Guida UNHCR in materia di protezione internazionale, come "obiezione al servizio militare derivante da principi e motivi di coscienza, tra cui convinzioni profonde derivanti da motivi religiosi, morali, etici, umanitari o simili" - rileva sia come obiezione assoluta (cd. obiettori pacifisti) che sotto forma di obiezione parziale, ed in quest'ultimo caso tanto con riguardo al rifiuto dell'uso illegale della forza (ius ad bellum) che sotto l'aspetto del rifiuto dell'uso di mezzi e metodi di guerra non consentiti o non conformi al diritto internazionale o al diritto internazionale umanitario (ius in bello).
A fronte di quanto detto, ed a conforto di quanto già riportato in altra precedente occasione - prima citata -3, è dunque ipotizzabile che, seppur forse in misura tra loro differente (saranno la Storia ed i Tribunali a stabilirlo), anche in queste settimane di guerra vi possano essere delle violazioni riguardanti entrambe le parti in conflitto: una probabilità di cui dover tenere conto, se si vuole rimanere equilibrati nel giudizio, quantomeno sotto il profilo giuridico. Anche se, a volte, quello politico (profilo) segue, o non può non considerare, il primo.
E ciò a valere tanto nell’immediato presente, quanto in futuro, affinchè nulla, se del caso, rimanga impunito. Né da una parte, né dall’altra.
1 Vedasi, al riguardo, quanto scritto sempre su questa testata, al link https://www.difesaonline.it/evidenza/diritto-militare/conflitto-russo-uc...
2 Tale circostanza è avallata dal fatto che "... in data 7 settembre 2019 si è concluso tra le parti uno scambio di prigionieri, che costituisce notoriamente e chiaramente atto tipico degli scenari di conflitto armato”, come riportato sempre nella stessa ordinanza.
3 Ibidem.
Foto: MoD Ucraina