Spesso abbiamo visto sventolare bandiere russe e manifesti pro Russia nelle manifestazioni nei paesi del Sahel. Poco dopo il colpo di stato in Burkina Faso (gennaio 22), il capo del Wagner Group, ha descritto la presa del potere da parte di Paul-Henri Damiba come “l’inizio di una nuova ondata di decolonizzazione”.
Gioco facile ha la Russia nella zona. Il malcontento popolare verso i governi, la profonda crisi umanitaria, il basso livello di sicurezza e le critiche mosse all’assistenza europea hanno facilitato l’imporsi della Russia nel Sahel.
Il leader del colpo di stato del Burkina Faso, diventato presidente, a New York ha difeso la sua presa di potere militare “necessaria ed indispensabile” riconoscendo che è stata “una questione di sopravvivenza per la nostra nazione, anche se era forse riprovevole in termini di principi cari alle Nazioni Unite e alla comunità internazionale nel suo insieme".
Il militare ha avvertito che l'insurrezione islamica che sta coinvolgendo il suo Paese presenta rischi per la sicurezza anche per il resto del mondo, sottolineando che “nessuna precauzione o misura di prevenzione impedirà al terrorismo di attraversare l'Atlantico se il Sahel viene abbandonato". Ha inoltre affermato che “niente potrà impedire ai giovani dei paesi del Sahel e dei suoi dintorni di cedere alla tentazione di una pericolosa immigrazione in Europa attraverso il Sahara e il Mediterraneo se questi giovani non hanno più speranza di restare a casa”.
I rappresentanti di Russia e Burkina Faso, a margine della 77a assemblea generale delle Nazioni Unite si sono incontrati per rafforzare la propria cooperazione soprattutto in materia di sicurezza.
Il presidente del Burkina Faso, il tenente colonnello Paul-Henri Damiba, lo scorso gennaio ha guidato un ammutinamento che ha estromesso il presidente Roch Kaboré accusandolo proprio di non essere riuscito a contenere la violenza dei terroristi islamici.
La volontà dei nuovi governanti è quella di diversificare le proprie alleanze al fine acquisire competenze in intelligence, equipaggiamenti e formazione per far fronte alla minaccia jihadista. "Attualmente, c'è il desiderio di rafforzare ulteriormente questa cooperazione e portarla a un livello che sarebbe reciprocamente vantaggioso per entrambi i paesi", ha affermato Olivia Rouamba, ministro degli affari esteri del Burkina Faso1.
Il Burkina Faso, come tutto il Sahel, è dilaniato da ormai troppi anni da continui attentati terroristici di stampo islamico. Come già più volte narrato, l'area dei tre confini (Mali-Niger-Burkina Faso) è stata oggetto negli ultimi 10 anni di molteplici attacchi dopo i colpi di stato militari in Mali e Burkina Faso (maggio 2021 e gennaio 2022). Governi fragili, instabilità, corruzione e i diversi golpe hanno lasciato spazio alla crescita di gruppi con legami ufficiali con al-Qaeda o con il gruppo armato dell'ISIL ed altri come risposta a situazioni specifiche.
Il 6 settembre un IED (ordigno esplosivo improvvisato) ha colpito un convoglio nel nord del Paese, tra le città di Djibo e Bourzanga, uccidendo 35 civili.
All'inizio di agosto, almeno 15 soldati sono stati uccisi nella zona da una doppia esplosione di IED su una strada rurale nella provincia di Bam, nella regione centro-settentrionale del Paese.
L'11 giugno 2022, un sospetto attacco terroristico ha ucciso almeno 100 civili nel distretto rurale di Seytenga, nel nord del Burkina Faso, vicino al confine con il Niger. Nessun gruppo ha subito rivendicato la responsabilità, anche se nella zona sono attivi militanti legati ad al-Qaeda e all'Isis.
Secondo l'Armed Conflict Location & Event Data Project, nel paese si sono verificati più di 530 eventi violenti tra febbraio e maggio, più del doppio rispetto allo stesso periodo del 2021.
Grande preoccupazione sono le ultime notizie che arrivano dal Benin. Nel nord del Paese si continuano a registrare attacchi terroristici che confermano la radicata presenza di cellule jihadiste nel Paese.
Seguiremo eventuali sviluppi.