Il generale Vannacci rischia davvero la perdita del grado per rimozione?

(di Avv. Francesco Fameli)
16/09/24

Rimbalza in questi giorni la notizia di un preteso nuovo addebito disciplinare a carico del gen. Vannacci, di recente eletto parlamentare europeo, tale da comportarne – si dice – addirittura la perdita del grado per rimozione.

Come vi ricorderete, abbiamo già preso in esame la vicenda dell’alto ufficiale divenuto celebre per la pubblicazione del libro “Il mondo al contrario”, ormai più di un vero e proprio best seller, per esaminare il regime giuridico che disciplina la libertà di manifestazione del pensiero nell’ambito dell’ordinamento militare (leggi articolo).

Oggi, secondo molte fonti di stampa, anche specialistiche, il tema torna d’attualità. Cerchiamo allora di fare chiarezza, soprattutto dal punto di vista che ci compete, quello strettamente tecnico-giuridico. Con una necessaria premessa: il gen. Vannacci, pur essendo ormai un personaggio pubblico, ha pieno diritto alla riservatezza dei procedimenti disciplinari e giudiziali che lo riguardano, e questo articolo non si propone affatto di offrire risposte certe su rumors non confermati, quanto piuttosto di prendere in esame gli istituti giuridici in tesi rilevanti e di aiutare il lettore a comprendere quali potrebbero essere, se del caso, gli sviluppi della vicenda, nell’ipotesi in cui effettivamente avesse assunto i contorni che certi organi di informazione riportano. Ciò posto, esaminiamo i profili giuridicamente rilevanti.

1) I termini della (nuova) questione disciplinare: i fatti e le norme applicabili

Già in un articolo pubblicato da La Repubblica lo scorso 2 settembre si legge che “Vannacci rischia di perdere i gradi” e si argomenta al riguardo che il generale avrebbe riportato nel suo secondo libro, “Il coraggio vince”, di taglio autobiografico, episodi che riguardano missioni, rapporti con altri contingenti e relazioni con diplomatici, senza – si dice – avere mai chiesto la dovuta autorizzazione, condizione imprescindibile per poter diffondere questo tipo di informazioni. Ne è conseguito, pertanto, un nuovo procedimento disciplinare – dopo quello che ha portato alla sospensione per 11 mesi dal servizio –, all’esito del quale il militare potrebbe subire la suddetta sanzione espulsiva. La notizia dell’apertura del suddetto procedimento è stata del resto confermata dallo stesso interessato e dal suo legale.

Ciò detto quanto ai fatti, le norme e gli istituti giuridici che vengono in rilievo (per limitarsi ai dati essenziali) sono i seguenti: – gli artt. 1472 c.o.m. d.lgs n. 66/2010 e 722 t.u.o.m. d.p.r. n. 90/2010, in tema di libertà di manifestazione del pensiero nell’ordinamento militare; – l’art. 865 c.o.m., che prevede la sanzione della perdita del grado per rimozione; – il principio di proporzionalità e ragionevolezza in materia sanzionatoria, di cui all’art. 1355 c.o.m.; – in particolare, la recidiva. Esaminiamoli con ordine.

2) Le norme che regolamentano la libertà di manifestazione del pensiero in ambito militare (rinvio)

Con riferimento alle norme che disciplinano la libertà di manifestazione del pensiero nell’ordinamento militare, nonché alla giurisprudenza maturata in materia, si rimanda al nostro già citato articolo, pubblicato su questa Rivista.

Semmai, sarà bene ricordare in sintesi che l’art. 1472 c.o.m. stabilisce a chiare lettere che “I militari possono liberamente pubblicare loro scritti, tenere pubbliche conferenze e comunque manifestare pubblicamente il proprio pensiero, salvo che si tratti di argomenti a carattere riservato di interesse militare o di servizio per i quali deve essere ottenuta l'autorizzazione”. Tale disposizione è poi precisata nell’art. 722 t.u.o.m., che specifica che “Il militare, oltre a osservare scrupolosamente le norme in materia di tutela del segreto, deve: a) acquisire e mantenere l'abitudine al riserbo su argomenti o notizie la cui divulgazione può recare pregiudizio alla sicurezza dello Stato, escludendo dalle conversazioni private, anche se hanno luogo con familiari, qualsiasi riferimento ai suddetti argomenti o notizie; b) evitare la divulgazione di notizie attinenti al servizio che, anche se insignificanti, possono costituire materiale informativo”.

Dalla lettura testuale delle suddette disposizioni normative si evince dunque che il militare, quale cittadino italiano (ed europeo), e prima ancora in quanto persona in sé e per sé considerata, ha il pieno e sacrosanto diritto di manifestare il proprio pensiero.

La specificità del suo status di soggetto inserito in un ordinamento peculiare, come quello della Difesa, impone, altresì, alcune limitazioni all’esercizio della suddetta libertà, in buona sostanza legate all’attinenza ad argomenti da considerarsi di carattere riservato, in quanto di interesse militare o di servizio. E peraltro, anche con riguardo a questi ultimi profili, a ben vedere, neppure si esclude del tutto la possibilità per il militare di manifestare il proprio pensiero, ma la si subordina semmai ad una previa autorizzazione.

3) La sanzione della perdita del grado per rimozione

La perdita del grado per rimozione, richiamata dagli organi di certa stampa con riferimento al caso in questione, è la massima sanzione disciplinare di stato prevista nel nostro ordinamento militare, all’art. 865 c.o.m.

È una delle ipotesi di perdita del grado previste dall’art. 861, comma 1, c.o.m., e deve essere tenuta distinta dalla perdita del grado conseguente a una condanna penale, disciplinata dall’art. 866 c.o.m. e non rilevante in questo caso.

Assunta con decreto ministeriale all’esito di un’inchiesta formale e del deferimento alla Commissione di Disciplina, detta misura decorre dalla data di adozione della determinazione di cessazione dal servizio (su cui si veda infra), ovvero, ai soli fini giuridici, dalla data di applicazione della sospensione precauzionale, se in tale data risulta pendente un procedimento penale o disciplinare che si conclude successivamente con la perdita del grado, salvi i casi di riammissione in servizio di cui agli artt. 918, comma 2, e 919, comma 1, c.o.m. (cfr. la Guida Tecnica “Procedure Disciplinari”, ottava edizione, anno 2023, del Ministero della Difesa – Direzione Generale per il Personale Militare).

Quanto ai presupposti per la sua adozione, le norme vigenti non individuano un elenco tassativo delle fattispecie in presenza delle quali la sanzione possa o debba essere adottata. Del resto, la materia disciplinare è caratterizzata da un’ampia discrezionalità degli organi procedenti, salvi i limiti (interni ed esterni) dettati, oltre che dalla delimitazione a contrario del campo operativo della misura, in ragione della (maggiore) definizione dell’ambito applicativo delle sanzioni (di corpo e di stato) di gravità inferiore, dalla necessaria osservanza del principio di proporzionalità tra infrazione contestata e sanzione, su cui si dirà di seguito.

La giurisprudenza amministrativa sul punto ha da tempo chiarito che la gravità della mancanza (...) va piuttosto desunta dal significato che le relative azioni assumono nel contesto “amministrativo” della vicenda, ovvero in funzione dell’esigenza dell’Amministrazione di poter disporre di personale che non ponga in pericolo il perseguimento delle sue finalità istituzionali, (…) oggettivamente messo a rischio da chi mostri di non essere più in grado di garantire la correttezza e lealtà del proprio agire, anche per essersi reso responsabile di una evidente lesione dell’immagine e del decoro dell’ente di appartenenza (T.A.R. Emilia-Romagna, Sez. I, n. 1025/2015).

La perdita del grado per rimozione ha come effetto principale quello di far discendere il militare punito, indipendentemente dal suo grado, nella posizione di militare di truppa senza alcun grado (cfr. art. 861, comma 3, c.o.m.), conservando però lo status di militare.

La sanzione comporta per i militari in servizio permanente la cessazione del rapporto di impiego (art. 923, lett. i, c.o.m.) e il conseguente collocamento in congedo. Il militare ha diritto al trattamento di quiescenza solo se ha maturato i requisiti (e i periodi di servizio) previsti dalla normativa previdenziale.

4) Il principio di proporzionalità e la recidiva

Come si accennava, non può non rilevare nel caso in questione, e più in generale in materia disciplinare, il principio di proporzionalità. Lo stabilisce l’art. 1355 c.o.m., a mente del quale, al comma 1, “Le sanzioni disciplinari sono commisurate al tipo di mancanza commessa e alla gravità della stessa” (per un riferimento giurisprudenziale, cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, n. 1086 del 2017).

La stessa disposizione, per quanto ipoteticamente di interesse per la fattispecie considerata, precisa:

– al comma 2, che “Nel determinare la specie ed eventualmente la durata della sanzione sono inoltre considerati i precedenti di servizio disciplinari”;

– al comma 3, che “Vanno punite con maggior rigore le infrazioni: (…) d) ricorrenti con carattere di recidività”.

Conclusioni

Tanto esposto, di necessità in estrema sintesi, sembra possibile trarre le seguenti considerazioni conclusive con riferimento alla vicenda in esame.

Fermo restando che non possiamo – e non vogliamo – in alcun modo, come detto, permetterci alcun giudizio sul caso Vannacci, per il rispetto dovuto all’ufficiale (ed europarlamentare) e a chi lo rappresenta, nonché per la ovvia ristrettezza delle informazioni a nostra disposizione, è possibile comunque isolare alcuni dati che paiono certi:

– il militare ha già subito un procedimento disciplinare e si trova attualmente cautelativamente sospeso in ragione del provvedimento già irrogatogli, della sospensione cautelativa per mesi 11;

– è in corso un ulteriore procedimento disciplinare per fatti asseritamente diversi e ulteriori a quelli già contestati;

– la sospensione già comminata è stata impugnata e potrebbe dunque essere annullata dal Giudice amministrativo competente;

– l’Amministrazione militare, all’esito del nuovo procedimento disciplinare, potrebbe, tra le ipotesi astrattamente prefigurabili, disporre la massima sanzione della perdita del grado per rimozione, contestando tra l’altro, oltre alla pretesa gravità dei fatti denunziati, anche la recidiva, per quanto sopra esposto;

– di certo, la predetta misura espulsiva dovrebbe essere retta da una motivazione esaustiva e adeguata alla gravità della sanzione stessa, tale da giustificare perché mai l’interessato avrebbe dovuto tra l’altro richiedere autorizzazioni a divulgare fatti e notizie, oltre che risalenti nel tempo, in tesi privi di rilevanza militare, né tanto meno soggetti a segreto alcuno, e tale ulteriore sanzione ben potrebbe a sua volta essere impugnata dal generale innanzi al T.A.R.;

– qualora il procedimento disciplinare in corso dovesse se del caso concludersi con l’adozione della perdita del grado per rimozione prima della conclusione del processo amministrativo oggi pendente per l’altra e precedente sanzione, è chiaro che, qualora il suddetto giudizio già instaurato dovesse esitare nell’accoglimento del ricorso e nell’annullamento della sanzione antecedente, ciò non potrebbe mancare di riverberarsi sulla misura espulsiva nel frattempo irrogata, anche sul presupposto – come detto – di un’ipotetica recidiva.

Come si vede, dunque, lo scenario – per quanto detto non pronosticabile – è sicuramente più complesso e variegato di quanto certa stampa abbia dato a intendere, sfruttando la popolarità dell’ufficiale e ricorrendo a titoli definitivi e altisonanti.

La stessa Amministrazione Militare, infatti, dovrà ben tenere presenti tutti i risvolti, prima di tutto processuali, della vicenda, pena il rischio di adottare decisioni solo provvisoriamente risolutive e all’opposto dall’efficacia, inevitabilmente, più che precaria.

Staremo, rispettosamente, a vedere.

Foto: European Union