Dieci giorni a Herat, in Afghanistan. Oltre venti interviste a personalità locali, tra cui componenti delle Forze di Sicurezza, rappresentanti della società civile, media, ONG e istituzioni locali. Risultato: “Le donne nelle missioni internazionali. L’esperienza italiana ad Herat”. Una ricerca particolare per il contenuto, ovvero il ruolo delle donne nella pace e nella sicurezza internazionale, e per il metodo: la prima ricerca sul campo svolta da un Istituto indipendente, l’Istituto Affari Internazionali (IAI), in collaborazione con il Ministero della Difesa.
“Una ricerca nata da un’idea spontanea avuta lo scorso 10 marzo 2016 quando il ministro Pinotti, presentando il network internazionale ‘Women in International Security Italia’, sottolineò l’importanza del contributo delle donne alla sicurezza internazionale facendo riferimento a come l’adozione di una prospettiva di genere nell’ambito delle missioni internazionali produca degli effetti positivi. Effetti positivi non solo in termini di efficacia e sicurezza della missione, ma anche per la promozione del gender balance nella società e nelle istituzioni locali in teatri operativi come l’Afghanistan, l’Iraq, il Kosovo e il Libano. Da qui l’idea di realizzare un progetto che prendendo in esame il contributo italiano nel teatro operativo afgano e in particolare a Herat, mirasse a valutare i risultati raggiunti nell’ambito delle attività di cooperazione civile e militare” ha dichiarato Alessandra Scalia, ricercatrice IAI.
In Afghanistan fattori come una radicata cultura tribale, la severa interpretazione della sharia e la debolezza del governo centrale hanno storicamente influenzato la condizione femminile. Eppure vi sono stati periodi nel corso della storia afgana in cui le donne hanno goduto di maggiori libertà.
“I miglioramenti più sostanziali – ha continuato la Scalia - si sono registrati dal 2001 in poi a seguito del rovesciamento del regime talebano. Nel settore della sicurezza, Herat rappresenta oggi la seconda provincia in Afghanistan per numero di unità femminili nelle Forze di Sicurezza, con circa 200 donne. Nel settore dell’istruzione in tutto l’Afghanistan dal 2005 al 2012 il livello di alfabetizzazione femminile è aumentato dal 29 al 48%. A Herat oggi il 40% di oltre 14.000 studenti iscritti all’Università sono donne. Nell’ambito delle autorità civili e delle istituzioni nazionali, nella provincia di Herat sono 4 a oggi le direttrici di dipartimenti governativi e le organizzazioni guidate da donne stanno acquisendo sempre maggiore rilevanza. Infine nel settore occupazionale ed economico la partecipazione femminile a business e ad attività produttive si attesta all’82.5% nella provincia di Herat”.
In un contesto come quello afgano promuovere i diritti e l’emancipazione femminile è importante anche in termini operativi, soprattutto perché in alcuni casi il personale femminile svolge dei compiti per i quali risulta insostituibile.
“Nonostante i passi avanti però la condizione femminile presenta ancora delle criticità in settori come sicurezza, istruzione, istituzioni pubbliche, settore economico e occupazionale. Dalla ricerca e dall’analisi dei dati emergono riflessioni importanti come garantire una continua cooperazione e interazione con la popolazione locale, continuare a impegnarsi nella realizzazione di iniziative CIMIC che il contingente italiano porta avanti nella missione Resolute Support e che siano gender sensitive, massimizzare l’impatto degli investimenti internazionali, utilizzare i media e la radio per dibattere sulla tematica dell’emancipazione femminile e assicurare rapporti di collaborazione continuativi e costanti tra le Forze Armate e gli attori civili presenti sul campo” ha dichiarato Paola Sartori, ricercatrice IAI.
Riflessioni che hanno trovato il plauso del ministro della Difesa Roberta Pinotti: “Proposte realistiche e intelligenti” e che ha esortato l’Istituto a proseguire negli studi e le Forze Armate ad aprirsi, lì dove possibile, a questo tipo di collaborazioni con l’esterno. Il ministro ha poi sottolineato quanto in Italia l’inserimento delle donne nelle Forze Armate sia stato, seppur con anni di ritardo rispetto agli altri Paesi, positivo, contribuendo anche alla trasformazione del modello di Forza Armata: da leva a professionale. “Abbiamo ancora numeri bassi: siamo intorno al 5%, ma stiamo operando per permettere alla donna di poter fare carriera come gli uomini, per tutelare la maternità nel caso di presa di comando e per aprire asili nido nelle caserme. Aspetti che sono importanti e per i quali l’aver avuto un ministro della Difesa donna ha sicuramente influenzato”.
Ad apprezzare la ricerca e a dibattere sul ruolo delle donne nelle missioni internazionali e non solo, anche il generale Claudio Graziano, capo di Stato Maggiore della Difesa: “Una ricerca benvenuta e che permette di ampliare il dibattito sulle Forze Armate. L’ingresso delle donne nelle Forze Armate rappresenta un moltiplicatore di forza, di esperienza e di coraggio. I nostri soldati sono i più etici del mondo, valore che ci viene riconosciuto ovunque, e la presenza femminile ha contribuito anche a questo, perché si tratta di un elemento di normalizzazione e di gestione all’interno di una comunità”.