Le violazioni americane al diritto internazionale

(di Nicolò Giordana)
07/04/17

Il recente bombardamento ad opera americana allo Stato siriano pone alla luce una serie di problematiche a livello internazionale che determinano come questo attacco sia illecito. Invero l'uso della forza è stato rigidamente regolato dalla Carta delle Nazioni Unite all'art. 2, paragrafo 4.
Tale norma vieta qualsiasi atto bellico tra Stati che può ledere la sovranità dei singoli Paesi ed impone alla Comunità internazionale il ricorso a mezzi pacifici per la soluzione di controversie. La ratio della norma è stata quella di evitare il sorgere di nuovi conflitti visti gli effetti disastrosi che la seconda guerra mondiale ha portato alla luce. Come ogni norma anche questo principio prevede delle eccezioni quali la difesa legittima e le misure di repressione così come autorizzate dal Consiglio di Sicurezza.

Alcuni hanno posto che la Siria abbia sferrato un attacco chimico, attacco che sarebbe illecito per il diritto internazionale già a partire dalle prime convenzioni del diritto di guerra: esempio ne sono il Trattato di San Pietroburgo del 1868 e le Convenzioni dell'Aja del 1899 e del 1907 con riferimento al divieto di utilizzo di strumenti che comportino danni e conseguenze superflue. In ogni caso possiamo ravvedere una consuetudine sul divieto dell'uso di armi chimiche, uso confermato dal fatto che generalmente gli Stati evitano il ricorso a tali mezzi (eccetto episodi nella guerra del Golfo e nella guerra di Corea). Le stesse Nazioni Unite si sono espresse in rifiuto-divieto di questi mezzi. Lo Stato che quindi viola tale precetto incomberebbe in sanzioni a livello ONU.
Il punto starebbe quindi, nel caso siriano, provare che ci sia stato un vero attacco chimico. Gli elementi che però sono emersi sin dai primi momenti vanno in senso diametralmente opposto ed alcuni hanno parlato di guerra di disinformazione. Certo è che gli esperti hanno evidenziato come un vero attacco batteriologico o chimico avrebbe attivato protocolli di sicurezza che non sono stati seguiti, come si vede dalle fotografie scattate martedì scorso. Protocolli che, se non attivati, avrebbero consentito una diffusione a macchia d'olio dei batteri con un numero assai più rilevante di vittime. 
In assenza quindi di alcuna prova sull'effettività di un attacco chimico ed in assenza di una pronuncia in materia da parte Nazioni Unite, Trump ha deciso per un attacco massiccio ad una base aerea siriana all'interno della quale, secondo fonti informative delle agenzie americane, vi sarebbero stati armamenti chimici.

I punti che quindi emergono nell'interesse del diritto internazionale sono due: la ritorsione e la proporzionalità.

Il presidente americano ha affermato che tale azione militare è stata eseguita in ragione dei bombardamenti ordinati da Assad ad inizio settimana, una chiara ritorsione dunque. Il problema è che il diritto umanitario contempla l'autotutela solo da parte dello Stato e la linea degli Stati Uniti è una chiara ingerenza nella politica interna della Siria: ricordiamo che la dottrina dell'uso della forza preventivo avanti una minaccia di atti di terrorismo o di uso di armi di distruzione di mazza è non condivisa dall'Assemblea Generale dell'ONU.

La contromisura della rappresaglia è quindi una forma di autotutela propria dello Stato che qui appare non correttamente invocata da Trump ed in ogni caso si sarebbe dovuta attenere a tre importanti limiti: la proporzionalità della contromisura, l'impossibilità di non reazione violando il diritto internazionale ed il rispetto dei principi umanitari. Questi tre limiti appaiono tutti violati: in primo luogo l'uso di ben 59 missili tomahawk sembra assai eccessivo ed andare oltre ad una contromisura. Anche gli altri due principi appaiono posti in discussione in quanto certamente si sarebbero potute seguire vie meno lesive, in primo luogo però dopo aver ottenuto certezza sull'effettivo uso delle armi chimiche.

Un attacco che quindi, così come ci appare, si pone in aperto contrasto con le norme del diritto internazionale, un'azione forse troppo avventata, come se Putin decidesse di bombardare l'Iraq.

 (foto: U.S. Navy)