Carissimi lettori ci siamo! Non riuscivo più a tenere a freno il desiderio di dare il giusto e meritato spazio alla indimenticabile Fiat AR 76, la mitica “Campagnola”, che dal 1951 è stato il fuoristrada italiano che ha visto l’avvicendamento nelle nostre caserme di tantissime generazioni di giovani scaglioni militari.
Ma per conoscerla meglio facciamo un salto indietro nella storia.
La Willys 4X4 vi ricorda qualcosa? Sento già le vostre risposte…
Nelle storiche pellicole cinematografiche della seconda guerra mondiale, ma anche in quelle che hanno per protagonisti Totò, Gassmann, Mastroianni o De Sica per esempio, non è difficile vedere una Willys, il fuoristrada americano, magari riportante ancora la stella a 5 punte dell’US Army sul cofano, era utilizzato dai nostri carabinieri, vigili del fuoco e guardie di PS (foto seguente).
Sino al 1951 l’Italia istituzionale impiegava le Willys ereditate dall’Esercito americano al termine del conflitto, in quanto le nostre risorse erano tutte impegnate nella ricostruzione.
Il Ministero della Difesa nel ’50 era a conoscenza delle qualità indiscusse della piccola Willys, ma comprendeva bene che questa soluzione era momentanea e che nel Paese non esisteva un 4X4 autoctono. Venne emanato allora un bando per la creazione di un veicolo simile alla Willys e con le sue caratteristiche operative. La Fiat a Torino e l’Alfa Romeo ad Arese uscirono dopo poco con due progetti vincenti, la Fiat Campagnola e l’Alfa 1900 M, l’Alfa Matta.
La Campagnola ebbe più fortuna nelle valutazioni finali, e si badi che ho scritto "fortuna", infatti l’Alfa Matta aveva caratteristiche più che valide per aggiudicarsi la vincita, ma per una serie di motivi si preferì optare per il progetto torinese dell'ing. Giacosa. L’Alfa matta fu comunque impegnata per le forze di polizia.
Prese quindi vita la Fiat Campagnola AR 51 che in quell’anno era molto simile all’unico riferimento di veicolo 4X4 che gli italiani potevano conoscere, ovvero l’americana Willys.
AR 51, 59 e 76, le serie che si sono susseguite nel secolo scorso.
L’AR 51 era dotata di un motore a benzina da 1900 cc 63 cv con aste e bilancieri e con albero a camme nel basamento (come nella Fiat 127), e successivamente di un motore a gasolio derivato da quello a benzina e con 40 cv e testata modificata tipo Comet per favorire la turbolenza d'aspirazione. A sorreggere questa meccanica, ci pensava un robusto telaio portante a longheroni che però era collegato a terra con sospensioni indipendenti. La sua lunghezza non andava oltre ai 3,7 metri, insomma un compromesso tra maneggevolezza e praticità. Il peso di circa 1300 chili, faceva aggirare i consumi a circa 5 km/l.
La Fiat, anche per reagire al dramma del dopoguerra, volle pubblicizzare la sua nuova nata e organizzò per l’AR 51 l’attraversamento dell’Africa, con alla guida Paolo Butti il quale vinse il record mondiale per aver completato il percorso in soli 11 giorni (v.video).
L'ingresso in caserma
Il debutto nelle caserme fu un successo, ogni reparto, come si può immaginare ne possedeva decine – era un veicolo per una squadra - che si alternavano tra i Breda 51 i Fiat 626 e 508M e forse molti di noi, nei loro cassetti di ricordi, possiedono qualche foto sbiadita che è rimasta però viva e piena di colore nel proprio cuore.
L’equipaggio era composto da 4 militari sulle panche posteriori, il capo macchina e il conduttore.
Il cambio era a 4 marce con ridotte e solo la II, la III e la IV sincronizzate. Il differenziale posteriore era bloccabile con un manicotto di sicurezza che in caso di mancato disinnesto, nelle curve si rompeva appositamente salvaguardando la meccanica. Chissà quanti ne hanno cambiati…
116 Km/h era la velocità massima, ma gli appassionati, come si può intuire, mi confermano che diventava quasi inguidabile considerato il peso, i freni a tamburo e la sua natura “campagnola” piuttosto che stradale.
24 volt di alimentazione elettrica e 12 volt per la serie civile rendevano questa “signora” una grandissima arrampicatrice di prati, colline e mulattiere e anche i terreni fangosi non tradivano la sua specialità.
I guadi, se l'acqua non arrivava a livello delle batterie poste sotto i sedili, erano tranquillamente attraversabili anche se lo sterzo diventava molto pesante.
Ma arriviamo ai ricordi più “recenti”: il restyling del '76
La nuova AR 76 completamente ridisegnata e non più quindi una copia italiana della valida Willys, cominciò a entrare nelle caserme nell’ottanta portando più o meno con sè le stesse caratteristiche tecniche operative che hanno caratterizzato il progetto della AR51, comunque già molto valido.
Ho davvero molti ricordi legati alla AR76 essendo della classe ’70. Vediamo insieme alcuni dettagli tecnici prima di passare agli impieghi di reparto.
Il propulsore è stato portato a 1995 cc, un motore destinato a far scuola nei modelli Fiat; erogava solo 80 cavalli e le prime serie avevano 4 marce poi passate a 5, con sempre la possibilità di utilizzare la leva per il passaggio alle ridotte.
Due leve a T in alluminio (le ricordate?) erano una per il blocco del differenziale posteriore, mentre l’altra per il passaggio alla trazione integrale anteriore che poteva avvenire anche con il veicolo in movimento.
Un successo e un riferimento italiano che nei paesi dell’Est veniva prodotto con il nome Zastava. Ha partecipato alla Parigi Dakar nell’ 82 con un motore Lancia Stratos V6 da 200 cv.
Il boom degli anni ottanta portava anche il nome della “Campagnola”, infatti i suoi allestimenti oltreché per le Forze Armate e le istituzioni furono apprezzate dai comuni per la versione carro attrezzi e spazzaneve ma anche dall’Enel e dall’Agip per trivellare i pozzi artesiani.
La versione a passo lungo hard top era allestita a volte come ambulanza, mentre le versioni 2.500 turbodiesel erano destinate spesso ai vigili del fuoco e alla polizia, quest'ultima ne possedeva qualcuna addirittura in versione blindata.
Anche Sua Santità ne aveva una, rigorosamente bianca, ma la cosa curiosa è che fu scelta perché grazie alle marce ridotte, la Campagnola poteva mantenere al minimo e senza sussulti una velocità a passo d’uomo durante le cerimonie.
Oltre ai pregi c’era anche qualche difetto…
Infatti la sua limitatezza nell fuori strada era imputabile soprattutto all’escursione limitata delle sospensioni a ruote indipendenti, mentre la storica Willys aveva il ponte rigido chiaramente molto più adattabile ai terreni estremi.
Altri problemi degni di nota dell’AR76 erano le crociere dei giunti di trasmissioni, che in virtù della loro inclinazione, si tranciavano facilmente ma anche i freni a tamburo che, se bagnati, allungavano di parecchio gli spazi d’arresto considerata la sua massa di 1700 chili.
Gli occupanti sulla versione 76, erano passati a 7 grazie al sedile anteriore sdoppiato per il capomacchina, il quale doveva sedersi sempre vicino al finestrino anche per il saluto al basco.
Su strada percorreva chilometri senza problemi anche se l’avviamento a freddo la faceva saltellare per il primo quarto d’ora: la ventola di raffreddamento infatti era fissata alla rotazione del motore.
Aveva la tendenza al sovrasterzo soprattutto sui fondi a bassa aderenza, ma si controllava abbastanza bene con la dovuta attenzione a non rilasciare il gas. Diversamente si chiudeva sull’anteriore mettendosi di traverso.
Alla struttura con telone verde e arrotolato potevano essere fissate una mitragliatrice Browning o Mg ma anche strutture radio come ad esempio stazioni Pr5 e RW4 eccetera.
Una gloriosa veterana
Appositamente verniciata di bianco, la Campagnola fu il primo veicolo insieme agli ACM e ACL che dopo il secondo conflitto mondiale, furono utilizzate in missione a Beirut con ITALCON, sotto l’attento e professionale comando del generale Angioni.
Permettetemi a questo proposito di rivolgere un affettuoso pensiero alla brigata paracadutisti Folgore a cui sono particolarmente legato, ai bersaglieri che in quel periodo si sono enormemente distinti ricevendo il meritato plauso di altre forze Nato e del nostro ex presidente Sandro Pertini.
La Massif ha portato il cambio in ritardo ed è stata punita
La nostra simpatica AR 76 però, nel 1990 ha dovuto attendere per la sua meritata pensione, transitando in un periodo di ausiliaria - tanto per rimanere in tema – e svolgendo ancora servizi ma secondari e declassati rispetto al VM 90 che era stato designato come sostituto provvisorio. Benché l'Iveco si fosse fusa con l’Astra di Piacenza già nel 1986, il progetto di una nuova Fiat Campagnola dovette attendere il 2007, anno in cui l’Iveco lanciò con non molto successo la jeep italiana Massif. Un ottimo progetto, uno stupendo motore italiano e un gran fuoristrada, ma del tutto simile e su licenza Land Rover, Un marchio per altro ormai già conosciuto dalle nostre Forze Armate. La Massif quindi è destinata a vivere nell’ombra dell’attuale gemella Land Rover Defender.
Il nostro “autodrappello” di veicoli militari, si sta pian piano ampliando, ma manca ancora qualcuno che non tarderà a raggiungervi, alla prossima!
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(foto: web)