Giochi di potere al Cremlino

(di Renato Scarfi)
17/05/23

Mentre prosegue la guerra in Ucraina, la leadership di Vladimir Putin e l’avvenire del suo regime sembrano sempre più indissolubilmente legate all’esito dello scontro. Dietro a un apparente largo consenso interno, infatti, emergono sempre più forti i segnali di un fortissimo malessere popolare e di un riposizionamento di alcuni attori statali e non che, durante gli anni passati, avevano sostenuto l’ascesa al potere dello zar.

Ma come è stato possibile che un oscuro, quasi sconosciuto e apparentemente insipido tenente colonnello del Komitet Gosudarstvennoj Bezopasnosti (KGB – Comitato per la Sicurezza dello Stato), senza alcuna esperienza politica, abbia avuto la possibilità di paracadutarsi alla testa della Russia in meno di dieci anni?

La scalata di Putin

Il primo passo della futura carriera politica di Putin, classe 1952, è stato il “cerchio magico” dei collaboratori più stretti che si è fatto quando, dopo la caduta del Muro di Berlino, da Dresda è rientrato a Leningrado (che diventerà San Pietroburgo il 6 settembre 1991).

Nell’agosto 1991, pochi mesi prima che l’Unione Sovietica cessi di esistere, si dimette dalla carriera militare e inizia la carriera politica come vicesindaco, accanto ad Anatolji Sobchak, neo-eletto sindaco di San Pietroburgo e suo vecchio professore universitario alla facoltà di giurisprudenza.

Durante la sua permanenza a San Pietroburgo egli costruisce una rete di complicità sia con i vecchi collaboratori all’interno del servizio segreto che con le nuove conoscenze dell’amministrazione pubblica. I “Peterski”, come sono stati soprannominati, hanno quindi costituito il primo nucleo di coloro che hanno intessuto con il futuro capo del Cremlino delle speciali relazioni di confidenza, costituendo un significativo gruppo di pressione, nonostante il numero relativamente esiguo.

Nella veste di vicesindaco ha l’occasione di entrare in contatto con numerosi politici, come l’allora presidente Boris El’cin, che nel 1996 lo chiama a far parte del suo entourage facendolo diventare, due anni dopo, direttore del Servizio Federale per la Sicurezza della Federazione russa (Federál'naja Služba Bezopásnosti Rossijskoj Federácii – FSB), l’agenzia che ha sostituito il KGB.

Nel frattempo Putin costruisce attorno a sé un secondo cerchio magico, costituito da quei dirigenti russi come Dmitrij Anatol'evič Medvedev, per esempio, che ha in seguito addirittura avuto la possibilità di assumere le cariche di presidente (2008-2012) e primo ministro, e che dal 2020 è vice-presidente del Consiglio di Sicurezza della Federazione Russa. Questo, pur non essendo un gruppo politicamente omogeneo, si è finora dimostrato molto devoto a Putin.

Nell’agosto 1999 Putin diventa primo ministro e nel 2000, dopo le dimissioni di El’cin, viene nominato presidente della Federazione russa. Inizia subito a costruire un terzo livello di “fedeltà”, per così dire, rappresentato da quei tecnocrati, spesso abbastanza giovani, favoriti dalla sua nuova politica dei quadri (kadrovja politika)i.

Durante la sua presidenza ha avuto anche cura di assicurarsi la fedeltà degli oligarchi cresciuti durante il periodo precedente e allora particolarmente attivi politicamente. Ciò è avvenuto con le buone ma, spesso, anche con le cattive, come dimostra l’emblematico caso di Michail Borisovič Chodorkovskij, l’imprenditore petrolifero russo che non si è piegato ai diktat di Putin ed è diventato grande sostenitore dell’opposizione politica allo zar.

Dal 2000 l’influenza degli oligarchi nella vita politica russa è andata progressivamente diminuendo e, parallelamente, è andata crescendo l’importanza della struttura di potere (silovye strukrury) collegata agli apparati per il mantenimento dell’ordine pubblico, tant’è che molti osservatori hanno ribattezzato il regime russo come una “militocrazia”.

Con l’addomesticamento dei ricchi uomini d’affari e il silenziamento della stampa indipendente, Putin è riuscito a rimanere al vertice della Federazione, con la breve parentesi della presidenza del delfino Medvedev, durante la quale ha assolto l’incarico di primo ministro.

L’attuale quadro politico russo

La Russia è un paese straordinario, con una storia straordinaria, a cavallo tra Occidente e Oriente, sempre in bilico tra l’attrazione verso Est e quella verso Ovest (simbolizzata nell’aquila bicefala, con sguardi divergenti). Un grandissimo popolo con un’anima vasta come le illimitate pianure russe e come evocata dalla sua altissima letteratura. Tuttavia, la popolazione contadina, prima totalmente asservita direttamente alla nobiltà e più o meno indirettamente allo Zar, oggi è in posizione di profondissima e assoluta subordinazione al potere centrale.

Anche se, dopo i quasi inavvertiti episodi dell’Ossezia e dell’Abkhazia, Putin si è lasciato prendere la mano e con la vicenda ucraina é andato oltre al semplice containment dell’Europa occidentale e della NATO, il consenso di questa massa di persone scarsamente scolarizzate non è sostanzialmente cambiato, complice anche la pervasiva propaganda di regime. Per tali motivi, appare poco probabile la prospettiva di una sollevazione di popolo o, più semplicemente, di una massiccia mobilitazione sociale che costringa il potere a un cambiamento di rotta. Prova ne sia la mobilitazione effettuata a partire dal 21 settembre 2022 che, sulla carta, poteva innescare potenti proteste ma che non ha provocato significativi sconvolgimenti, se non qualche ribellione in una quarantina di città, subito sedate dall’apparato repressivo, e pochi tentativi di sabotaggio dalle limitate implicazioni, come gli incendi appiccati ad alcuni commissariati militari. La propaganda ha replicato a questi tentativi di far grippare la macchina del potere con delle interviste di mamme e mogli che non chiedevano di cessare le ostilità e far tornare a casa i figli e mariti, ma che fosse loro fornito il materiale per fare la guerra nel migliore dei modi. Un capolavoro di regime autoritario consolidato senza ambiguità.

In tale ambito, il regime sta anche cercando di mantenere la lealtà dei quadri intermedi e delle élites di secondo livello, in modo da mantenere il funzionamento dell’amministrazione dello Stato nonostante le numerose e oggettive difficoltà. Un programma che sta ottenendo riscontri positivi nella maggior parte dei casi, giacché la grande maggioranza dei quadri sembra accettare la situazione, ben consci dei rischi correlati alla disobbedienza alle direttive del potere centrale. Ciò nonostante, esiste qualche voce dissonante dal coro, subito oscurata dal regime o dai suoi volenterosi portatori d’acqua. Esse rappresentano, tuttavia, i segnali che la repressione non riesce a silenziare completamente la crescente insoddisfazione presente nel paese.

Ma la frustrazione alimenta anche le frange più estremiste del panorama politico interno. Queste cavalcano il malcontento della società russa per farsi più visibili e rumorose, talvolta facendo sembrare “moderata” la linea di Putin. La narrazione di questi gruppi ultranazionalisti, influenzata prevalentemente dal filosofo e politologo Aleksandr Gel'evič Dugin, è quella che giustifica l’aggressione militare all’Ucraina con la retorica imperialista, che immagina un mondo russo (Ucraina compresa) minacciato e umiliato dall’Occidente. Una narrazione che ha suggestionato molte parti della società russa e che si sta sempre più polarizzando su toni apocalittici a favore di una guerra senza quartiere. Proprio in questo quadro, da notare la recente nascita di un nuovo gruppo politico chiamato “Patrioti arrabbiati”, un movimento sembra fondato dal blogger militare Igor’ Girkin, un colonnello ormai in pensione del Glavnoe Razvedyvatel'noe Upravlenie (GRU - direttorato generale per le informazioni militari), ardente nazionalista conosciuto come Strelkov (tiratore). A quanto riportano alcuni media internazionale, starebbe anche pianificando una grossa conferenza stampa a Mosca per il prossimo mese di giugno, allo scopo di accrescere la visibilità del gruppo e accentuare la pressione sul Cremlino.

Anche agli occhi degli osservatori meno attenti, tuttavia, non ci dovrebbero essere ormai dubbi sul grande disegno strategico di espansione immaginato da Putin per la Russia. Un programma sostenuto dai suoi cerchi magici, coltivato ed elaborato per lungo tempo in silenzio, nella dissimulazione ma anche in una straordinaria perseveranza di intenti. Un piano che lo ha portato in rotta di collisione con l’Occidente e a “stringersi in un abbraccio” estremamente pericoloso con la Cina, in una formula non di paritaria partnership, bensì di junior partnership.

In tale ambito, gli scossoni prodotti dalle scelte di Putin, dalle pesanti sanzioni economiche e il relativo forte malessere della popolazione, dai lacunosi eventi militari sul campo di battaglia e dal sempre più accentuato isolamento politico internazionaleii hanno pesantemente influito sulla situazione politica interna della Federazione russa, che è diventata sensibilmente più fluida, aprendo ampi spazi di competizione per il potere.

I giocatori

Alcuni attori molto radicali si sono, quindi, presentati sullo scenario interno come outsider e possiamo scommettere che vorranno giorcarsela fino in fondo per poter assicurarsi un ruolo politico importante al Cremlino.

A partire dal ceceno Ramzan Akhmatovič Kadyrov, classe 1976, che in risposta alla sua lealtà verso il potere federale russo ha avuto mano libera in Cecenia, instaurando un sistema di terrore con le sue forze di sicurezza, meglio conosciute come i kadyrovtsy. All’indomani dell’aggressione russa egli ha subito inviato circa 10.000 uomini a sostegno dell’esercito di Mosca e ha poi moltiplicato le sue dichiarazioni belliciste, distinguendosi per la sua chiassosa abilità di apparire sulle notizie del giorno. Dallo scorso settembre, utilizzando anche i social media, ha cominciato a criticare pubblicamente la condotta delle operazioni e i vertici della Difesa russa. A ottobre è addirittura arrivato ad auspicare l’impiego delle armi nucleari contro l’Ucraina. Alcuni analisti lo ritengono uno dei possibili attori in grado di ricoprire dei ruoli nella Federazione, anche alla luce del credito che sembra godere presso il Cremlino.

Altro attore che appare in gara per assumere incarichi rilevanti sembra essere Evgenij Viktorovič Prigožin, classe 1961, imprenditore della ristorazione (conosciuto con l’irridente soprannome di “cuoco di Putin”)iii e fondatore, nel 2014, del gruppo paramilitare privato “Wagner”. Si tratta di una società privata di mercenari particolarmente e violentemente attiva in Ucraina, in Medio-Oriente e in Africa tant’è che il potere russo, dapprima contrario ad avere collegamenti formali con questi mercenari, ne ha poi riconosciuto il ruolo di attore militare in supporto alle operazioni in Ucraina. Un gruppo che si “vende” come truppa d’élite ma che recupera i suoi mercenari dalle patrie galere, con la promessa di una seconda possibilità dopo la guerra.

La partecipazione di una struttura privata alle operazioni militari russe non poteva non far sorgere alcuni attriti a livello di cooperazione tra l’esercito regolare e i paramilitari. Attriti che si vanno evidenziando sempre più e che danno vita alle accese accuse di Prigožin verso i vertici della Difesa. Le sue dichiarazioni vengono, quindi, diffuse su tutti i canali di comunicazione sia per attribuirsi i meriti delle vittorie (es.: battaglia di Soledar del 16 gennaio 2023iv) e scaricare le colpe delle perdite (es.: eventi di Bakhmut, in corso al momento di questa analisi) o delle sconfitte, sia per alimentare una campagna di comunicazione interna per proprio profitto personale, che gli permetta di proporsi all’attenzione dei media russi quale autorevole personaggio cui fare riferimento politico in futuro.

Secondo il sito di informazione indipendente Meduzav, visto il fallimento del suo precedente tentativo con il partito Rodina (Patria) alle elezioni legislative del 2020, Prigožin avrebbe anche intenzione di formare un proprio partito conservatore, patriottico e anti-élites, in modo da capitalizzare in politica i “crediti” acquisiti sul campo di battaglia.

Il terzo attore che presumibilmente vorrebbe proporsi come interprete principale del dopo-Putin è il già ricordato Medvedev, classe 1965, che al tempo in cui venne nominato presidente illuse la Russia (ma anche l’estero) circa una reale svolta liberale, parlando di “rinnovamento e di valori democratici”, di “società di uomini liberi” e di lasciare “una società arcaica, dove il capo pensa e decide per tutti” (12 novembre 2009). Ora sembra avere gettato la maschera e i suoi discorsi sono radicalmente (non è un termine a caso) cambiati. Sempre più spesso, infatti, appare sulle cronache per le sue dichiarazioni estremamente aggressive e molto fuori dalle righe, gareggiando con gli altri competitors politici a chi la spara più grossa. Una metamorfosi che si spiega semplicemente avendo ben presente la sua totale fedeltà e sudditanza nei confronti di Putin. Egli è, infatti, uno dei “Peterski”, un pretoriano della prima ora. E fino al 2020 è rimasto molto molto vicino a Putin, fino a quando le accuse di corruzione lo hanno reso uno dei personaggi meno amati dai russi. Oggi sembra voler tornare a recitare una parte importante sul palcoscenico russo e le sue forti dichiarazioni sembrano voler tenere testa (e a volte superare in violenza verbale) agli altri pretendenti al “trono”, gettando le basi per un suo eventuale ritorno in politica alle elezioni della Duma del 2024, magari attraverso l’estrema destra ultranazionalista (partito liberaldemocratico), orfana di leadership, e con la complicità della poca memoria della popolazione, ormai dimentica della documentazione fornita in passato da Aleksej Navalny circa le sue proprietà illegali.

A proposito dei prima ricordati blogger militari va detto che si tratta di personaggi che vengono seguiti da migliaia di followers sui social media e che stanno giocando un ruolo centrale per alimentare il consenso popolare verso una maggiore aggressività nei combattimenti. Mentre la maggior parte di questi badano bene a risparmiare critiche verso il capo del Cremlino, non lesinano invece pesanti e violente censure ai vertici militari, portando consensi ai partiti o ai personaggi più spregiudicati e violenti e agendo come centri di pressione per indirizzare le scelte politiche (e militari) russe. Tra i personaggi più influenti il già ricordato Igor’ Girkin, che sfrutta la sua popolarità presso la società russa per il ruolo ricoperto nell’annessione della Crimea, nel 2014.

Al momento, infine, non appaiono esserci figure di opposizione che ambiscano formalmente a ruoli politici di primo piano nell’eventuale Russia dopo-Putin, anche perché chi osa dissentire prima o poi è vittima di condanna giudiziaria o di morte improvvisa e violenta. Tuttavia i due nomi di oppositori precedentemente segnalati potrebbero avere la possibilità di giocare un ruolo, qualora dovessero cambiare le regole in senso veramente democratico. Paradossalmente, infatti, sia Chodorkovskij, classe 1963, che Navalny, classe 1977, hanno le credenziali per proporsi come nuovi leader russi, credenziali fornite prevalentemente proprio dal Cremlino, attraverso quelli che sono sembrati a buona parte del mondo dei processi politici, celebrati per togliere di mezzo autorevoli avversari.

Conclusioni

Come abbiamo visto, la situazione politica interna russa è fluida, nonostante l’apparente rigidità. In tale ambito, gli abitanti delle poche grandi città, anche se più istruiti e informati, hanno pochi strumenti per spingere verso un reale cambiamento interno. Un cambiamento dal basso che, per essere duraturo, dovrebbe coinvolgere ampie porzioni della popolazione e delle élites.

Infatti anche i grandi cambiamenti, come perlomeno appaiono al momento, se non continuamente alimentati con ardore, dopo un lasso di tempo sembrano meno rivoluzionari e sono portati gradualmente a essere riassorbiti nel solco della continuità, anche se lasciano comunque qualcosa che prima non c’era. I russi nati dopo la fine dell’Unione Sovietica hanno, infatti, assaggiato la libertà, internet, l’ultima moda, i viaggi senza restrizioni. Sarà impossibile far loro dimenticare tutte queste cose.

Ma l’eventuale cambiamento dovrà fare i conti con l’isolamento internazionale cui le scellerate scelte di Putin hanno costretto il paese e questo porterà forti penalizzazioni nei nuovi assetti di potere al Cremlino, quando la Russia ritroverà un qualche tipo di equilibrio dopo l’Ucraina (da vincente o da perdente è un dato che è nelle mani di Giove).

Certamente i cerchi magici attorno a Putin, quella fitta rete di complicità e fedeltà creata dallo zar con una dinamica che non è mai cambiata, e dove egli è sempre stato la figura dominante, in questi mesi ha mostrato dei piccoli cedimenti, segno di un possibile riposizionamento di alcuni attori, in vista di una resa dei conti che genera molti interrogativi sul futuro della Russia.

La brutale aggressione lanciata da Putin e dalla sua cerchia contro un paese indipendente e pacifico, colpevole solo di rivendicare la propria identità e specificità nei confronti del grande e ingombrante vicino avrà certamente delle conseguenze anche interne.

Ma l’interrogativo che molti si pongono è se la Russia, consumata la traiettoria autoritaria, troverà i modi di volgersi nuovamente verso Occidente. Soprattutto se la Cina, ora che l’orso russo è economicamente dipendente dagli scambi commerciali con il dragone, accetterà che Mosca ritorni a seguire una propria politica estera indipendente o vorrà, invece, che occupi un ruolo internazionale asservito ai suoi interessi.

Il panorama politico russo si sta popolando di attori che stanno crescendo di popolarità e di cui Putin non controlla ormai più le reali ambizioni. Nell’officina della politica russa, quindi, l’attuale capo del Cremlino non appare più come l’unico artigiano all’opera. Egli ha sempre più bisogno di assicurarsi il fedele sostegno di quegli apparati che traggono benefici dal suo potere ma che oggi lo mettono in discussione. In tale ambito le forze conservatrici e ultranazionaliste costituiscono sicuramente un sostegno alla politica aggressiva di Putin ma rappresentano anche una ulteriore forte pressione contro una qualunque forma di politica che possa essere percepita come una sconfitta, capace di alimentare una crisi del regime. Una situazione estremamente intricata che si va sempre più aggrovigliando.

Chiunque sarà il successore di Putin, quando questo avverrà, dovrà tenere conto di molte componenti e di molti attori, non tutti con interessi limpidi ed evidenti.

In attesa di vedere cosa succederà al Cremlino, continua la girandola di pressioni, interventi, dichiarazioni e giochi di potere più o meno trasparenti, per assicurarsi un posto di rilievo nella griglia di partenza. Una gara che ha per posta un paese grande, ricco di risorse energetiche e di materie prime pregiate, ma che una dissennata politica di conquista rischia di ridurre a sparring partner di paesi più ricchi e cinici. Un paese la cui popolazione non merita di rimanere prigioniera di sanguinose velleità di grandezza ormai anacronistiche.

i Victor Violier, Façonner l’Ètat, former ses serviteurs : la reconfiguration de la politique des cadres de la fin de l’Union Sovietique à la Russie de Vladimir Poutine, thèse de doctorat en science politique sous la direction de Béatrice Hibou et Frédéric Zalewski, Université Paris Nanterre, 2021

ii Vedi la recente risoluzione dell'Assemblea Generale dell'Onu (2 maggio), con la quale si fa esplicito riferimento alla "…aggressione della Federazione russa dell'Ucraina…". La risoluzione è stata approvata anche con il voto favorevole di Cina e India, finora contrarie a condannare Mosca per l'invasione dell'Ucraina.

iiiAssociated Press

iv Dichiarazioni effettuate quando la cittadina non era ancora sotto il completo controllo russo, tant’è che è stato immediatamente smentito dal Ministero della Difesa russo, che ha rivendicato la vittoria due giorni più tardi.

vHe grasps things very quickly Evgeny Prigozhin’s covert bid for power in an unstable Russia — and what he has learned from Alexey Navalny”, Meduza, 15 novembre 2022 (https://rb.gy/7qgdv9)

Foto: Cremlino