Il mondo di Greta: l’ignoranza storica di un’allarmista di professione

(di David Rossi)
30/09/19

Per favore, accompagnate Greta Thunberg a San Giovanni di Terranova, in Canada, e spiegate che quando i vichinghi di Erik il Rosso arrivarono in quella regione, quasi mille anni fa, la chiamarono “Vinland”, cioè “Terra del Vino”, perché videro le viti che vi crescevano spontaneamente. Poi, aggiungete che oggi con una temperatura media notturna annua di appena un grado e con una media di meno dieci durante tutto il lungo inverno canadese, da quelle parti i vigneti li vedono solo in fotografia. E pensare che l’esploratore scandinavo veniva da quella che allora come oggi era la “Terra verde”, cioè la Groenlandia, dove gli “uomini del nord” erano riusciti a far crescere il frumento, a alcune migliaia di chilometri da quello che oggi è il limite settentrionale della coltivazione del grano.

Fermiamoci qui e allarghiamo un po’ gli orizzonti. Non intendiamo entrare in polemica né con Greta e il suo seguito mediatico né con i sostenitori delle teorie (si badi bene: teorie) sul global warming come prodotto antropico. Vogliamo solo partire dai grappoli d’uva canadesi e dalle spighe polari presi come due sintomi di una situazione climatica diversa da quella attuale e senz’ombra di dubbio caratterizzata da uno spostamento verso nord (molto a nord…) sia della fascia climatica temperata sia, probabilmente, anche di quella sub-tropicale.

Parliamo di sintomi, come per le patologie, non di temperature, perché oggi siamo in grado di fare una diagnosi di un paziente vissuto (e morto) alcuni secoli fa, sia in presenza dei resti del corpo sia di fronte solo a un quadro clinico ben descritto all’epoca della patologia, ma non di indicare quale temperatura corporea avesse durante la malattia.

In sintesi, possiamo affermare che Maria Tudor (nel ritratto) aveva i rigonfiamenti delle ghiandole e dell’addome tipici di un tumore di quarto stadio all’utero al momento della morte, non quale temperatura avesse il suo organismo. Così, sappiamo per certo che nel così detto periodo caldo medievale, tra il X e la metà del XIV secolo, la maggior parte dei passi alpini erano sgombri da nevi e i ghiacciai sciolti nel periodo estivo e che la stagione invernale si limitava a pochi mesi l’anno. Non a caso, nel basso Medio evo, come parecchi lettori sanno in quanto appassionati di storia militare, molte importanti battaglie furono combattute anche nei mesi di febbraio, marzo e novembre, periodi caratterizzati da una mitezza del clima che permetteva di mobilitare degli eserciti di contadini soldati.

Così, nel 1071 Francesi e Fiamminghi poterono combattere la prima battaglia di Cassel il 22 febbraio e l’imperatore Enrico IV la battaglia di Flarchheim addirittura il 27 gennaio 1080. In entrambi i casi, le condizioni meteo-climatiche non ebbero conseguenze per le operazioni.

Al contrario, la vittoria inglese nella battaglia di Azincourt, combattuta il 25 ottobre 1415 fu largamente determinato dai temporali incessanti e dai campi fangosi che impedirono ai Francesi di trarre alcun vantaggio dall’uso massiccio della cavalleria pesante. Le picche e gli arcieri della Britannia fecero il resto…

Così, Groenlandia, Islanda e buona parte del Nord Europa divennero importatori netti di cereali prodotti a climi più temperati per tutta la “piccola era glaciale”, durata tra la prima metà del XIV e la metà del XIX secolo. In questo periodo i ghiacciai alpini raggiunsero la massima estensione degli ultimi tre millenni rendendo lo spostamento dei tradizionali mercanti itineranti germanici verso l’Europa meridionale possibile solo nel breve periodo estivo.

Tanti sintomi rendono possibile la diagnosi di “caldo medievale” e “piccola era glaciale” ma nulla ci dicono della temperatura effettiva, nonostante i tentativi di determinarla. Insomma, se la Senna e il Tamigi gelavano quasi ogni anno, possiamo dedurre che, in assenza di testimonianze di estati roventi, probabilmente la temperatura media annua era inferiore ad adesso, dato che questo fenomeno non si è più verificato addirittura dal 1814.

Sappiamo altresì che nel corso del XIX secolo il clima cambiò eccome: nel 1780 le acque del porto di New York gelarono per l’ultima volta a memoria d’uomo, mentre tra il 1896 e il 1911 (foto) tre imponenti ondate di caldo nel periodo estivo uccisero nella regione della Grande Mela migliaia di persone. E che il clima sia ulteriormente cambiato lo dimostra il fatto che durante dette ondate i picchi delle temperature diurne oscillarono tra i 30 e i 34 gradi, mentre oggi non sono rare punte di 38 gradi a Manhattan. Eppure, nonostante la regione sia mediamente più calda, ancora oggi il limite settentrionale di coltivazione della vite è ben lontano da San Giovanni di Terranova. Parimenti, da questo lato dell’Oceano non mancano tentativi di reintrodurre la vite nelle isole britanniche, dopo quasi sette secoli di assenza. Ma sono sporadici e ben lontani dai risultati del basso Medio evo, quando l’Inghilterra divenne uno dei principali produttori vinicoli del mondo.

Intanto, la giovane Greta, che non metterà certamente piede in quel di Terranova durante il suo soggiorno in Nord America, si avvia probabilmente a ricevere il premio Nobel per la pace, a fine anno. Un premio Nobel non si nega a nessuno, lo ebbe persino António Egas Moniz per l’invenzione della lobotomia: quella cosa che non dobbiamo farci praticare, quando provano a spacciarci una serie di teorie a volte oneste altre fantasiose - ma politicamente corrette - per un dato certo e comunemente accettato dalla comunità scientifica internazionale.

Foto: Parlamento Europeo / web