Male oscuro

(di Walter Raleigh)
10/08/21

È di un venerdì mattina come tanti la notizia dell’ennesimo suicidio di un ragazzo con le stellette; non sappiamo i perché, immaginiamo che siano tanti, troppi da sopportare per chiunque, impossibili da condividere, inimmaginabili per un’età così verde, ancora da schiudere al futuro.

Non possiamo sapere cosa davvero possa aver sofferto quel ragazzo, forse non lo sapremo mai, ed è giusto che sia così. Ma è anche vero che non è il primo, purtroppo, e che, a prescindere dall’età, il male di vivere continua a mietere vittime, a richiedere un tributo di sangue tanto più oneroso quanto inaccettabile, ed incomprensibile per chi rimane attonito a cercare di comprendere, magari assumendosi colpe nemmeno proprie.

Del militare, del resto, l’idea che se ne ha all’esterno, è quanto mai fuorviante, superficiale, mai spontanea, mai sincera.

Il nostro è un Paese che si commuove facilmente per una partita di calcio, ma altrettanto voluttuosamente cede alla risata quando un pluritatuato milionario dalle unghie smaltate definisce cani quelli che hanno scelto di indossare una divisa.

Non importa il perché, sappiamo tutti perfettamente che, da che è mondo, chi si arruola, spesso, lo fa per necessità; non scopriamo certo ora che tanti in divisa vengono dal sud, ma non per questo non hanno meno diritto ad essere rispettati per la scelta che hanno compiuto, al fianco di chi è stato spinto, almeno inizialmente, da motivazioni più ideali. Ed insistiamo sull’avverbio, inizialmente.

L’Italia, così prodiga di bontà a buon mercato, della sua gente in divisa, uomini e donne, non sa nulla; magari di arcobaleni o di adolescenti svedesi onniscienti si, forse, ma di certo di quel che anima un mondo visto con sospetto e prevenzione, no.

Colpa di chi? Beh, intanto di una cultura fatta di incenso e sacrestia, di rifiuto costante di ciò che è dovere, di esaltazione del vietato vietare, di una comoda incoerenza elevata a sistema, di una vigliaccheria dell’animo che, coltivata con accuratezza negli ultimi decenni, fornisce alibi per qualunque atteggiamento. La colpa non è mai di chi commette la mancanza, la colpa è di qualcun altro, sia che si rubi, sia che si stupri.

Come fa ad attecchire una cultura basata sul dovere, sull’onore, sui simboli, sulla memoria, addirittura su un giuramento, cosa che non fanno più neanche i bambini? Inimmaginabile.

Ma è tutta responsabilità esterna? No, non lo crediamo; questo è un male che, come molti del resto, germoglia dall’interno. Quel che accade all’esterno, non fa che aggravarlo.

Come tutti i sistemi sociali, anche quello militare, ha le sue pecche; quel che è grave è che, sempre più spesso, ci gira in tondo, ma non ha il coraggio e la forza di porre rimedio a quei mali che conosce benissimo, ma che non riuscendo ad accettare, guarda con fastidio, permettendo che allignino.

È facile guardare oltre, ma non sembra sia una buona tecnica. Eppure la diaspora di personale qualificato qualcosa dovrebbe pur suggerire; come per esempio prendere atto che i provvedimenti presi a suo tempo per contenere la spesa limitando gli arruolamenti stanno producendo effetti devastanti che incideranno ancora per anni. E se i migliori se ne vanno, poi, chi rimane a guidare le sorti di un’organizzazione così complessa?

Il capitale umano costituisce un valore in larga parte incompreso, che si depaupera in breve tempo. Siamo sinceri, anche il mondo militare, che pure dovrebbe esaltare l’immaterialità di una vocazione portante, ha ceduto ad un pragmatismo che sa di nichilismo, di opportunismo. Se, malgrado tutto, ancora resiste con un barlume di valore, evidentemente non c’è da stare allegri per quel che la società ed il mondo circostante offrono, perché vuol dire che non hanno davvero nulla da dare.

Il beau geste non esiste più, il famoso berretto gettato sul tavolo fa parte di un altro tempo, ammesso che sia mai esistito: nessuno esprime il disagio e le lamentele di un complesso di persone che, mai come ora, sentono e soffrono le distanze siderali che corrono tra loro e dei vertici sempre più lontani. Nessuno che abbia il coraggio di dire: non con me, non succederà con me, non abbandonerò i miei ragazzi.

Siamo onesti, chi si è davvero preoccupato degli alloggi necessari al personale? Chi ha preso il coraggio a due mani, e ha messo alla porta quelli che, per ottima retribuzione, per possesso di proprietà, per annosa decadenza di titolo, ancora occupano case da destinare a chi, avendone diritto, ne ha anche bisogno? Nessuno. Del resto anche la gestione degli straordinari, così importanti per nuclei familiari in sempre maggiore difficoltà, non fa eccezione, soggiacendo a criteri di attribuzione che sovente oscillano sul limite di una discrezionalità che certo non incentiva, poiché gratifica sempre gli stessi.

Il merito è altro argomento delicato, talmente impalpabile che si preferisce non toccarlo nemmeno, anche perché si correrebbe il rischio di non trovare i soliti noti appena accennati, e gratificati, quelli che hanno avuto magari in sorte di conoscere chi ha potuto garantire aiuto sostanziale.

È un mondo difficile quello militare, talmente complicato che vicino ad onesti graduati tuttavia poco considerati, si trovano detentori di elogi ed encomi che, come meteore, sorvolano ogni asperità lasciando all’onesto graduato l’incombenza di assumere incarichi oscuri, pesanti, di responsabilità, che certo non portano ad encomi, quanto piuttosto a denunce o addebiti. Del resto, qualcuno gli incarichi rognosi deve pur assumerli. Poco male se sono sempre gli stessi, quelli che l’encomio lo vedono col binocolo altrui.

È un mondo talmente incomprensibile che, mentre da un lato esalta doverosamente coraggio e sacrificio, dall’altro vede difficilmente prese di posizione nette; meglio la politica alla Richelieu, silente, sotterranea, quella della telefonata fuggevole con malignità al seguito, meglio evitare un pericoloso confronto diretto, che potrebbe mettere a nudo situazioni quanto meno disagevoli. È così, è la vita. È questa vita. È una vita che accompagna uomini e donne in divisa per la maggior parte del loro tempo, anche e soprattutto quando avrebbero una famiglia e dei bambini da accudire, anche e soprattutto quando il famoso alloggio non arriva mai perché chi lo abita, dopo decenni, si è talmente affezionato da volerlo mantenere malgrado tutto, visto che nessuno ravvisa l’opportunità di farlo liberare.

È un menage che, senza scomodare Freud, forse, non aiuta molto in quanto a serenità. È un mondo a due, o anche a più velocità, è tutto da vedere.

Quel che lascia perplessi, dall’esterno, è vedere chi, negli anni, è rimasto coinvolto in vicende penali, e magari è stato anche condannato: dati i gradi, verrebbe da pensare che, forse, le promozioni non hanno gratificato chi davvero avrebbe meritato. E ci si chiede, in un silenzio assordante, come possa essere possibile, come possa ammettersi che, comunque, ci sia chi ancora riesca a beneficiare di diffuse zone d’ombra. Nonostante tutto.

È un male oscuro, è un male che rode, ed alla lunga, se va bene, fa appendere la divisa al chiodo. È un male che si conosce perfettamente, se ne conosce anche la cura, ma l’incisione da praticare è così profonda, e la prognosi così complessa, che il male rimane, silente, a consumare, inevitabilmente, la parte buona.

Foto: ISAF