“Ora basta!”

(di Nicolò Manca)
15/02/20

“Ora basta!”. Forse perché questa esclamazione richiama l'immagine di un genitore esasperato dalla condotta di un figlio insofferente alle buone maniere, non è formula che si addica al dialogo democratico. Quando tuttavia la gestione della cosa pubblica supera un determinato livello di guardia, questo grido, insostituibile nella sua perentoria intransigenza, prorompe dalle viscere di chiunque si imbatta in qualcosa ritenuta inaccettabile. E inaccettabile appare il contenuto della circolare con cui l'Ufficio Amministrazioni Speciali della Difesa recentemente ha messo nero su bianco di non poter erogare, a seguito del pignoramento giudiziario di alcuni conti correnti, i fondi per gli emolumenti al personale in servizio all'estero, per i Distaccamenti e le spese connesse al V° Rendiconto finanziario e infine per gli anticipi e le liquidazioni delle missioni.

Queste misure, figlie della morosità della Difesa nel pagamento (udite, udite!) delle bollette di acqua-luce-gas-immondezza, rivelano che le forze armate danno fondo alle proprie disponibilità per garantire l'opertività minima-indispensabile per assicurare, per dirla con le parole usate dal ministro Guerini nell'ottima intervista rilasciata il 14 febbraio al Corriere della Sera, “la difesa avanzata funzionale alla sicurezza interna”, in altri termini per onorare gli impegni internazionali (l'Italia è il secondo paese al mondo per numero di militari impiegati nelle cosiddette missioni di pace) e per concorrere alla sicurezza interna (7000 uomini impegnati nella sola “strade sicure”). Tuttavia, assolti questi compiti, non restano soldi per le bollette e quindi, come succede nelle famiglie indigenti, si chiudono i rubinetti di spesa o, nel caso in esame, quelli di alcune spettanze al personale.

Comprensibile la proposta dell'uomo della strada: “si risparmi in altri comparti e si paghino le bollette”, cui fa seguito però l'inevitabile incalzante domanda: dove tagliare? Nella già carente manutenzione dei mezzi? Nel rinnovo degli equipaggiamenti e dei sistemi d'arma obsoleti? Nel ridotto numero di ore di volo e di navigazione di velivoli e natanti? Nel rinviare alle calende greche la ristrutturazione delle caserme risalenti al secolo scorso (vedasi lo studio “caserme verdi”)? Oppure nel filosofeggiare intorno alla rivalutazione, sulla falsariga dei 35 euro/giorno disposti dalla ministra Lamorgese per il vettovagliamento dei migranti irregolari, dell'indennità di 27 euro/giorno previsti per i militari impegnati lontani dalla famiglia nella “strade sicure”?

Si tratta di una lunga elencazione che affonda le radici in quel fluttuante 1% che l'Italia destina alla Difesa, a fronte del 2% sostenuto e sollecitato da sempre dagli altri membri della Nato. In altre parole la coperta della Difesa italiana è tanto corta da non consentire di pagare le bollette in questione ma anche da relegare l'Italia, che fa parte del gruppo delle dieci maggiori potenze economiche ed industriali del pianeta, tra i paesi di minor prestigio internazionale. L'essenza del problema è tutta qui e a nulla vale girarci attorno, come peraltro ha fatto anche il ministro Guerini nella citata intervista.

Questo stato di cose renderebbe necessario che qualcuno, in primis il comandante supremo delle Forze Armate, gridasse “ora basta”, o quanto meno lo bisbigliasse o almeno lo pensasse. In fondo si tratterebbe solo di ricalcare le orme di chi tradusse questo grido di dolore in un provocatorio “meglio abolire forze armate così poco credibili perché sotto-finanziate”, come fecero a suo tempo un capo di SMD, il generale Santini, il generale Corcione anche nella veste di Ministro della Difesa e alcuni capi di SME quali i generali Canino e Incisa di Camerana. Quest'ultimo fece la proposta con tono oltremodo brusco al Ministro Previti il 7 giugno del 1994 nella caserma “Gonzaga” di Sassari (erano i tempi della contrazione dell'esercito a 13 brigate ed era in gioco la soppressione della “Sassari”), testimoni il senatore Campus, l'onorevole Pisanu e chi scrive, noto alle superiori autorità per essere stato l'indisciplinato precursore della proposta in questione avendola formulata ripetutamente su vari quotidiani nazionali (tra questi IL Giornale dell'11/giugno e 16/ottobre del 1989).

Occorre ammettere quindi che l'approccio dei tre poteri dello Stato al problema Difesa non è cambiato, anzi, visti i pignoramenti in ballo, è peggiorato.

Certamente i militari sono rimasti sorpresi da un provvedimento giudiziario così eclatante adottato dalla magistratura, una misura che è difficile immaginare applicata, ad esempio, su conti correnti destinati a finanziare l'accoglienza della ri-fiorente immigrazione irregolare o ad assicurare la copertura del reddito di cittadinanza. E questo nonostante alla magistratura sia ben nota la diffusa illegalità cui il reddito di cittadinanza fa da schermo - evasione fiscale derivante dalla appetibilità del lavoro in nero e attività malavitose - nonché gli aspetti connessi alla sicurezza e alla salute pubblica derivanti dagli sbarchi da natanti ONG di africani di ignota identità e provenienza.

Lascia perplessi mettere a confronto il cordone sanitario che negli aeroporti filtra il flusso di passeggeri provenienti da blindatissime capitali europee con la procedura a dir poco elastica e permissiva con cui si accolgono e gestiscono i migranti provenienti dal continente africano dove, tra l'altro, si registra una massiccia presenza cinese gravitante intorno a interessi energetici e minerari. Inevitabile correre col pensiero alla triangolazione Cina-Africa-Porto sicuro italiano che richiama immediate implicazioni sanitarie in cui il coronavirus rappresenta un valore aggiunto ad altre malattie già ricomparse nel nostro paese a seguito della immigrazione irregolare.

Morale: per le forze armate continuano a prospettarsi tempi difficili in cui il dibattito politico continuerà ad essere indifferente ai bilanci della difesa, mentre tra un appello buonista e l'altro lanciato dalla maggioranza dei partiti e dal Vaticano, i militari dovranno, tra una missione in Iraq, in Afghanistan e nella decina di teatri operativi sparsi per il mondo, continuare a combattere contro le bollette di acqua-luce-gas-immondezza.

Un buon motivo perché dovrebbe essere l'Italia intera a gridare “ora basta”.

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Foto: ministero della Difesa / Quirinale