Trump, l'America, Erdogan, la NATO e l'Europa. Un flirt lungo 70 anni è ormai giunto alla fine?

(di Andrea Gaspardo)
14/11/19

Il 4 aprile 1949, i rappresentanti di 12 paesi comprendenti gran parte del Nord America e dell'Europa Occidentale siglarono il documento di fondazione della cosiddetta “Organizzazione del Trattato dell'Atlantico del Nord” (NATO) come alleanza militare multilaterale che avrebbe dovuto difendere l'Europa Occidentale da una ipotetica offensiva sovietica diretta a prendere il controllo dell'intero continente europeo. A distanza di 70 anni da tali eventi, e dopo che nel frattempo l'Alleanza è cresciuta fino a comprendere 29 stati, le parole pronunciate di recente dal presidente francese Emmanuel Macron (“La NATO è ormai in uno stato di morte cerebrale”) dovrebbero finalmente suonare da brusco risveglio per tutti coloro che ancora non si sono resi conto che la NATO è arrivata al suo “canto del cigno” e sta collassando a causa di un mix di ragioni che vanno dalla sovraesposizione territoriale-militare, alla politica irresponsabile portata avanti dai leader di almeno due dei paesi membri (Stati Uniti e Turchia) che stanno letteralmente “cannibalizzando” l'Alleanza dall'interno.

Per la verità, la NATO aveva già iniziato a dare segni di “affaticamento” all'indomani del 1991, quando la “Caduta del Muro di Berlino e della Cortina di Ferro”, la fine del Patto di Varsavia e la disintegrazione stessa dell'URSS avevano lasciato la NATO “orfana della sua missione e vocazione originaria”.

Per un po', l'Organizzazione è stata tenuta in vita dalla necessità di garantire l'esistenza di uno strumento di intervento nelle crisi dell'ex-Jugoslavia e dalla diffusa percezione di insicurezza proveniente dalla Mitteleuropa, dove i paesi un tempo comunisti stavano attraversando un lungo periodo di riforme politiche e doloroso riassetto sociale. Gli eventi dell'11 settembre del 2001 ed il successivo intervento dell'Alleanza Atlantica in Afghanistan hanno poi dato ulteriore acqua al mulino di quanti tentavano in tutti i modi di reinventare una nuova missione per la NATO: quella di “poliziotto globale”.

Oggi, nel 2019, le scuse sono veramente giunte al termine e ciò non lo si deve a causa dell'azione di qualche potenza straniera (come la tanto vituperata Russia) e nemmeno agli attacchi del terrorismo islamico ma semplicemente a causa di un normale processo di “erosione” dei “fondamentali” ideologici, economici e politico-strategici sui quali si basava l'Alleanza e per la nefasta azione congiunta di due uomini che sono riusciti nell'arco degli ultimi 3 anni ad inanellare una serie di colpi che hanno letteralmente inchiodato la NATO al muro, apparentemente senza possibilità di appello. Questi due uomini sono il presidente degli Stati Uniti d'America, Donald John Trump, ed il presidente-dittatore della Repubblica di Turchia, Recep Tayyip Erdoğan.

Per quanto riguarda i “fondamentali”, potremmo dire che l'istituzione della NATO si basava su una sorta di accordo nemmeno tanto tacito; i paesi europei, sconfitti ed umiliati nel corso della Seconda Guerra Mondiale (e qui le parole “sconfitti” ed “umiliati” andrebbero sottolineate almeno una trentina di volte giusto per ricordare a noi stessi chi siamo e da dove veniamo!) accettarono il prezzo dell'occupazione americana per un orizzonte temporale senza limite ottenendone in cambio i fondi necessari per ricostruire le loro disastrate economie.

Qui è necessario fare un piccolo inciso sul perché io abbia utilizzato sopra il termine “occupazione” quando per definizione un'occupazione militare implica una preponderanza delle forze dell'occupante rispetto a quelle dell'occupato. Da questo punto di vista è vero che, dopo una primissima fase nell'immediato dopoguerra, gli Stati Uniti ridussero notevolmente la consistenza numerica delle loro forze di occupazione in Europa. Tuttavia è necessario notare che, allo stesso tempo, gli Stati Uniti hanno creato tutto un sistema di strumenti più subdoli e sottili atti a piegare, intimidire, corrompere, affascinare, cooptare (e via dicendo) sia le élite che le “forze vive” delle società europee (per esempio il mondo della cultura) fino a ridurle ad uno stato mentale nel quale esse non riescono più a percepire l'orizzonte geopolitico proprio e dei loro paesi come disgiunto da quello degli Stati Uniti d'America e finiscono per seguirne pedissequamente i desiderata e le direttive anche quando esse sono drammaticamente in contrasto con i più basilari interessi nazionali dei paesi europei. In una parola, le élite e le “forze vive” del continente europeo hanno finito per “essere felici” di vivere sotto questo evanescente “giogo invisibile”, si sono convinte che l'instaurazione del primato degli Stati Uniti sia veramente frutto della “volontà di Dio” come nel “Destiny Manifesto” e che non possano esistere mondi migliori possibili che non quello nel quale gli Stati Uniti perpetuano indefinitamente la loro egemonia.

Esattamente come i popoli della cosiddetta “Mesoamerica pre-colombiana” avevano potuto vivere un lungo periodo di pace e di benessere economico tra il 674 ed il 1168 dopo Cristo all'ombra delle lance dei conquistatori Toltechi, così i popoli e, soprattutto, le élite dell'Europa Occidentale hanno potuto fare lo stesso sfruttando l'ombrello strategico americano arrivando a delegare in parte (o come nel caso dell'Islanda, in tutto) la difesa del nostro continente ad una potenza straniera in cambio dell'adesione al sistema di commercio internazionale liberoscambista sancito dagli accordi di Bretton Woods che hanno contribuito a sostenere per più di mezzo secolo la cosiddetta “piramide del dollaro”. Non solo, la possibilità di delegare agli Stati Uniti la difesa, la sicurezza e persino la stessa tutela dei propri interessi nazionali garantì ai paesi dell'Europa Occidentale la possibilità di utilizzare le proprie risorse economiche per inaugurare un lungo periodo di riforme sia politiche che economiche che hanno concesso a generazioni di europei di godere dei frutti della “socialdemocrazia”.

Visto gli indiscutibili e positivi risultati ottenuti nell'arco di vari decenni e l'innegabile avanzamento economico registrato in questa parte del mondo, si può perdonare ai leader di allora il fatto di aver “firmato” questo “patto faustiano”.

Ciò che a mio avviso è invece imperdonabile è il non essere riusciti a guardare nel lungo periodo (specialmente dopo il 1991!) e non aver preparato i nostri paesi ad un ipotetico “piano B” nel caso che le cose iniziassero a volgere in peggio.

Il primo elemento che ha portato all'incepparsi di questa “grande strategia” è stato la subitanea apertura di tutti i mercati del mondo, anche di quelli che per tutta la “Guerra Fredda” erano stati ermeticamente chiusi (come il Patto di Varsavia o la Cina) o semi-autarchici (l'India, l'America Latina), al commercio ed agli investimenti diretti esteri.

Il risultato della cosiddetta “Globalizzazione” è stato quello di sovra estendere gli interessi nazionali americani (ora divenuti “globali”) con la conseguente progressiva erosione degli strumenti a disposizione degli USA di esercitare le proprie leve di potere. La “Globalizzazione” ha inoltre aggiunto nuove fonti di approvvigionamento per il mantenimento della “piramide del dollaro” mentre l'Europa Occidentale, ora divenuta Unione Europea in progressiva espansione, ha perso il suo ruolo tradizionale di “tributario” del sistema-America e, dopo l'introduzione dell'euro, ne è diventata addirittura un competitore laddove le economie del Vecchio Continente si sono rivelate fonti di maggiore attrazione per le energie provenienti dal resto del mondo a tutto danno del sistema manifatturiero a stelle e strisce che ha progressivamente ed inesorabilmente cominciato ad arrancare. In questo contesto vanno comprese le sparate a zero da parte di Donald Trump contro gli alleati europei della NATO colpevoli a suo dire di “non pagare abbastanza per la loro appartenenza al club”.

Per la verità, già nel corso della presidenza Obama, gli Stati Uniti avevano ingaggiato le diplomazie europee in un lungo braccio di ferro al fine di convincere gli altri partner NATO ad alzare la percentuale dei rispettivi bilanci alla difesa fino alla soglia del 2% dei loro PIL. Tale obiettivo è stato poi formalizzato con piani per la sua realizzazione entro l'anno 2024. Sennonché Trump ha contemporaneamente incominciato una campagna metodica di attacco all'Unione Europea; per esempio esponendosi personalmente dal lato della Brexit, esprimendo parole di stima nei confronti di numerosi leader euroscettici ed affermando impunemente che questo o quel paese dovrebbero uscire dall'Europa.

L'intento dell'inquilino della Casa Bianca è a questo punto ovvio. Per prima cosa Trump vuole annientare l'Unione Europea per eliminare il principale mercato concorrenziale per gli Stati Uniti (la stessa strategia sta per altro venendo portata avanti contro la Cina mediante la cosiddetta “Guerra dei Dazi”); solo dopo che le economie europee verranno messe in ginocchio esse potranno venire “ricolonizzate” da quella americana esattamente come avvenne al termine del secondo conflitto mondiale.

Secondariamente, anche se l'importanza della NATO nei pensieri strategici americani è notevolmente diminuita (il “pivot to Asia” era già iniziato in sordina nel corso della presidenza di Bush junior, quindi ben prima dell'ascesa di Trump alla Casa Bianca), tale alleanza militare ha comunque una sua valenza come strumento di pressione nei confronti di Mosca ed aiuta gli Stati Uniti ad “irregimentare” i paesi europei tenendoli sotto controllo politico.

Terzo, per massimizzare in ogni caso il proprio profitto, Washington vuole comunque imporre ai propri “stati clientes” di “pagare di più” in modo da liberare maggiori risorse per se stessa. Si capisce bene quindi come la strategia di Trump celi al proprio interno un triplice disastro per noi europei dato che essa si propone di distruggere le nostre economie, farci pagare di più per i nostri bilanci alla difesa e dirottare questa spesa non verso la tutela dei nostri interessi nazionali ma unicamente verso quelli degli Stati Uniti. Essendo priva di qualsivoglia ombra di “do ut des”, tale iniziativa andrebbe da noi respinta con tutte le forze ed anzi dovrebbe spingere gli stati europei tutti ad una risposta uguale e contraria, quanto meno per forzare le élite americane a seguire una strada più ragionevole, ammesso che ne esista una. Al contrario, tutto ciò che i leader europei attivi a livello nazionale oppure all'interno delle strutture della UE e della NATO sono in grado di fare è di rabberciare ridicole dichiarazioni d'intenti rimarcanti “la fondamentale importanza delle relazioni euro-atlantiche” e intanto pregano che capiti un miracolo e che Trump scompaia come per incanto e tutto torni alla “normalità”. La situazione si è poi fatta ancora più grave da quando, dopo il fallito colpo di stato del 2016 in Turchia, il “sultano” Erdoğan ha iniziato a portare avanti una politica estera ancora più spudoratamente aggressiva non facendosi scrupolo alcuno a ricattare gli altri membri della NATO che, a norma di trattati, sarebbero obbligati a “difenderlo” qualora una delle tante crisi internazionali da lui create dovesse per qualche ragione sfuggirgli di mano.

Qui ci troviamo di fronte ad un paradosso perché l'Alleanza militare a tutela della libertà e della democrazia per eccellenza si trova a dover convivere con un dittatore entro i propri confini territoriali ed istituzionali senza nemmeno avere a disposizione dei meccanismi di sanzione o di espulsione volti a contrastare le intemperanze di quel despota.

La cosa peggiore è che, alla luce di quanto avvenuto negli ultimi tempi in Siria, lo scenario che vedrebbe gli Stati Uniti non più solamente come degli sprovveduti incapaci di gestire la Turchia, ma addirittura “correi” nelle azioni di Erdoğan appare ora sempre più credibile. Infatti, nonostante sia acclarato che l'obiettivo geopolitico di lungo periodo della Turchia sia destinato a sfociare in una guerra di grandi proporzioni nei territori a cavallo tra l'Europa, l'Asia e l'Africa e che tale situazione sia da allarme rosso per noi europei, tale scenario potrebbe anzi beneficiare enormemente gli Stati Uniti d'America che potrebbero contare sul fatto che Erdoğan faccia il lavoro sporco in loro vece innescando una grande crisi che provochi il collasso della UE mentre loro se ne stanno bellamente a guardare, onde poi intervenire al momento opportuno per riguadagnare una volta ancora il controllo del nostro continente come già fecero nella Prima e nella Seconda Guerra Mondiale.

Alla luce di tutto questo, e comprendendo una buona volta che noi non dobbiamo rassegnarci una volta ancora a vestire i panni dei perdenti storici e che avremmo ancora la forza e le capacità di dire la nostra rispetto al destino che ci attende, dovremmo come europei e come italiani ricordarci una serie di cose. Da principio le parole di Kissinger: “Le relazioni tra paesi non sono dettate dall'amore ma dagli interessi”. La NATO non è una storia d'amore ma un flirt di interessi, come tutto nella geopolitica internazionale; finché essa serve ai nostri interessi bene, altrimenti sbarazziamocene e anche in fretta!

Seguendo, con la constatazione che Erdoğan è una minaccia per il mondo ed in particolare per il nostro continente ed il nostro paese e che tale minaccia non può essere evitata in eterno ma deve essere affrontata, risolutamente.

Se per 70 anni abbiamo avuto la possibilità di vivere nell'irresponsabilità (nel senso che non eravamo responsabili di noi stessi e della nostra sicurezza), questo non vuol dire che la Storia ci concederà di esserlo in eterno. Rimbocchiamoci per tanto le maniche e incominciamo a fare i compiti a casa.

Foto: NATO / White House / U.S. Navy / presidenza del consiglio dei ministri / web