Luca Fregona con Giorgio Cargioli: Laggiù dove si muore. Il Vietnam dei giovani italiani con la Legione straniera

Luca Fregona con Giorgio Cargioli
Ed. Athesia Buch, Bolzano, 2023
pp. 359

Questo libro tratta di un argomento che probabilmente non molti conoscono. Si tratta di ciò che accadde ad alcuni nostri connazionali che entrarono nella Legione Straniera e furono inviati in Vietnam a combattere contro le truppe di Ho Chi Minh (l’Esercito di Liberazione).

Il testo è introdotto dalla bella Prefazione di Gianni Oliva dal titolo La rivolta antifrancese in Vietnam 1945-1954 – vedi, in Difesa Online, la recensione a firma di Ciro Metaggiata, del libro di Oliva Combattere - Dagli arditi ai marò, storia dei corpi speciali italiani – e si compone di sette capitoli; nella parte finale sono inserite la Cronologia, la Bibliografia e i Ringraziamenti.

L’autore, Luca Fregona, è caporedattore del quotidiano Alto Adige, e non è nuovo ad imprese simili, avendo pubblicato Soldati di Sventura. Nella Legione straniera il Vietnam dimenticato dei giovani italiani. L'inferno a 10mila chilometri da casa (Athesia Buch, Bolzano), un lavoro che ha destato un notevole interesse.

Nel suo lavoro di ricerca e analisi che lo ha condotto a scrivere Laggiù dove si muore, Luca Fregona ha avuto modo di raccogliere numerose storie di giovani italiani e sudtirolesi ingaggiati dalla, o più spesso intrappolati nella Legione Straniera (si trattava soprattutto di migranti economici clandestini che, fermati dalla gendarmeria, avevano solo due possibilità: la prigione o la Legione); giovani che, ad un certo punto, venivano spediti a combattere in Vietnam.

Così introduce il testo Luca Fregona: “Dopo la pubblicazione di Soldati di sventura nel 2020, ho ricevuto decine di email, messaggi, telefonate da figli, fratelli, sorelle, nipoti di legionari italiani che avevano combattuto in Vietnam nella prima guerra di Indocina dal 1946 al 1954. Mi hanno spedito tutto il materiale in loro possesso: fotografie, lettere, cartoline, ritagli di giornale, frammenti di divise, croci di guerra, encomi, e libretti militari…” (p. 4).

È il primo capitolo (che copre le prime duecento pagine circa) a dare la cifra del volume, narrando in cinque paragrafi la storia di Giorgio Cargioli, nato a La Spezia nel 1935, il quale a diciotto anni entrò come clandestino in Francia alla ricerca di un lavoro; ben presto fermato e arrestato, scelse di arruolarsi nella Legione Straniera allo scopo di evitare la detenzione, e da lì in avanti si aprì ai suoi occhi un mondo sconosciuto e terribile.

Ma prima del Vietnam, per il giovanissimo Giorgio Cargioli, si snoda il resoconto del massacrante periodo di addestramento in Algeria e il tentativo di fuga – “il pensiero di passare cinque anni nella Legione per una manciata di franchi con il rischio di lasciarci la pelle, mi tormenta” (p. 46) – con tutto ciò che si può immaginare al momento in cui la fuga fallì.

È il 20 dicembre del 1953 quando Cargioli sa dove dovrà andare a combattere: “sono stato assegnato per punizione ai fucilieri… nel nord dell’Indocina, dove Ho Chi Minh sta facendo a pezzi il Corpo di spedizione francese…Fanteria significa: centinaia di chilometri a piedi, zaino di venti chili in spalla più munizioni e armi. Fanteria significa carne da macello” (p. 63-64). Seguono decine di pagine scritte in modo diretto, immediato: un resoconto in prima persona che conduce il lettore a essere lì, a vivere le atroci esperienze delle battaglie che condurranno il protagonista verso la diserzione – un altro evento rocambolesco che a suo tempo ebbe un’eco enorme. Ma mentre “le cronache dal Tonchino e da Dien Bien Phu riempivano le prime pagine dei giornali. E tutti sapevano, in Italia, che lì in mezzo c’erano migliaia di ventenni italiani, e che centinaia erano rimasti uccisi, mutilati, feriti, erano dispersi o andati completamente fuori di testa” (p. 194), il Vietnam è passato alla storia come una guerra americana.

Per dare un’idea di ciò che è raccontato da Cargioli saranno sufficienti questi brani: “I viet stanno arrivando. È finita: se ci alziamo per scappare ci abbattono come vitelli. Abbiamo una sola possibilità: fingerci morti. Ci sdraiamo con la faccia nel fango. Le divise impastate dal sangue dei compagni. Le bombe a mano sotto la pancia. La mano sulla sicura. Provate solo a toccarmi e vi porto al creatore con me” (p. 88).

La seconda parte del testo scopre e riscopre le storie di altri ragazzi, e di persone che hanno saputo per la prima volta notizie dei loro parenti morti, dispersi, svaniti in quegli anni, in quelle paludi, come si evince da brani come questo: “ci sono voluti settant’anni per sapere dove, quando e come è morto il legionario di seconda classe Alfredo Decarli….” (p. 272).

Ulteriori testimonianze sono costituite da diari e lettere, e ancora resoconti che narrano gli effetti di chi ha visto torturare, mutilare e infine uccidere non solo militari ma anche civili presi come prigionieri, oppure ostaggi a protezione temporanea in un trasferimento. Visioni che costituiscono “il punto di non ritorno. ‘Da quel momento non ho più ucciso nessuno se non per difendermi. Sparavo in aria. E non ho più preso prigionieri: facevo segno di nascondersi. Ce n’erano tanti come me, schifati dalla guerra. Ma dovevamo convivere anche con i sadici, i criminali e i legionari traumatizzati completamente fuori di testa” (p. 283).

Cosa dire di queste pagine? Si rimane senza parole, come spesso capita, di fronte a tanta orrenda e spesso banalmente crudele distruttività, al caso imperante che condanna un commilitone e ne salva un altro, alle situazioni di fuoco amico, al cameratismo mischiato alla competizione e alla provocazione perversa, alle situazioni di totale obnubilamento mentale che si sviluppano nel vivo delle fasi più aspre delle battaglie o a valle dei conflitti a fuoco…

Da un lato le esperienze narrate e ricostruite da queste persone, dall’altro l’abilità di Luca Fregona nel rappresentarle, rendono praticamente impossibile fare un vero e proprio resoconto di questo testo, peraltro illustrato da immagini e fotografie inedite, e arricchito da innumerevoli commenti, ricordi e documenti.

Andrea Castiello d’Antonio