Maria Paola Zanoboni: La vita al tempo della peste. Misure restrittive, quarantena, crisi economica

Maria Paola Zanoboni
Ed. Jouvence, Sesto San Giovanni (MI) 2020
pagg. 214

L’autrice, professoressa di Storia economica medievale, ci accompagna, con questo suo saggio, in un viaggio nel mondo della peste, iniziando da Tucidide, che fu il primo a descriverla narrando della guerra del Peloponneso (431 – 430 a.C.) tra Atene e Sparta. Ne parlarono anche Lucrezio e Tacito. Quest’ultimo descrisse l’epidemia scoppiata a Roma nel 66 d.C. “Le epidemie di peste si ripeterono periodicamente fino alla metà dell’VIII secolo d.C.”

La Mole Adriana, a Roma, fu ribattezzata Castel Sant’Angelo dopo che il Papa vide sulla sua cima, durante una processione, l’arcangelo Michele, cui fu attribuita la miracolosa salvezza dall’epidemia che colpì la città nel 590 d.C.. “In seguito la malattia scomparve dall’Europa per ripresentarsi tra i 1347 ed il 1348.” Fu portata a Messina, nel 1347, da una flotta di galee in fuga da Caffa, colonia genovese in Crimea, dove la peste si era diffusa nel 1346/47. E dalla Sicilia, in tre anni, si diffuse per tutto il Vecchio Continente, dove vi rimase fino al XVIII secolo.

Boccaccio inizia il suo Decamerone con il racconto della peste del 1348, descrivendone gli effetti psicologici. “Venne meno il rispetto per le leggi umane e divine, ciascuno cominciò a ritenere lecito ciò che più gradiva.” Chi si chiuse in casa, chi si diede agli eccessi più sfrenati. “Venne meno il senso del pudore, il decoro nei riti funebri, molti morivano soli senza essere pianti da nessuno.”

L’economia, in tutta Europa, ricevette, con la peste, il colpo di grazia, in quanto molte attività commerciali chiusero. Inoltre ci fu un drastico calo demografico che comportò la riduzione della manodopera. Tutto questo causò una flessione della produzione manifatturiera e una diminuzione degli scambi commerciali. Il governò cercò di far fronte alla situazione favorendo l’immigrazione per compensare il calo demografico e imponendo nuove tasse per compensare le spese straordinarie sostenute. A causa del calo di manodopera disponibile in tutta Europa, aumentarono i salari, anche se i governi cercarono di arginare il fenomeno con interventi legislativi.

“I rimedi contro la malattia erano pressochè inesistenti, ed inutili, se non addirittura dannosi.[…] Il 70/80% di coloro che avevano contratto la malattia moriva entro 4-7 giorni. Nelle città periva in genere tra il 25 e il 40 % della popolazione.” Le misure di prevenzione, decise dall’autorità pubblica al governo delle città, consistevano nel divieto di spostamento di persone e merci da e verso le città infette, nella chiusura delle taverne e delle attività commerciali (tranne vendite di alimentari e farmacie), nella chiusura delle scuole, nell’obbligo di rimanere in casa per chiunque, nel divieto di partecipare a funerali e celebrazioni religiose, fino ad arrivare alla quarantena, introdotta per la prima volta nel 1377 nella città dalmata di Ragusa.

La quarantena “prevedeva il rifiuto di accesso al porto alle navi provenienti da zone appestate, con l’obbligo di rimanere per un mese al largo della città. […]Una nave armata pattugliava le coste per evitare gli sbarchi non autorizzati.” Dalla metà del ‘400 furono costruiti dei luoghi dove venivano rinchiusi esclusivamente i malati di peste: i Lazzaretti. Il primo fu costruito, nel 1423, a Venezia. In ogni caso diagnosticare la peste rappresentava una responsabilità non indifferente, sia per l’ostilità della popolazione che temeva la quarantena e i lazzaretti, sia per “gli interessi economici e commerciali che venivano sconvolti già alle prime avvisaglie di un’epidemia.” Pertanto, a volte, i medici si mantenevano generici nelle diagnosi, per non incorrere nella reazione violenta della popolazione che, per la maggior parte delle volte, aveva comportamenti decisamente ostili, se non di aperta ribellione,di fronte alle misure per prevenire o arginare il contagio. Pertanto le autorità, in alcune città come Milano e Palermo, fecero drizzare numerose forche in vari punti, “per rendere più convincente l’obbligo tassativo per tutti di rimanere a casa.” A Genova furono eseguite alcune condanne alla pena capitale.

Nel medioevo l’ospedale, inizialmente, non era un’istituzione finalizzata alla cura degli infermi, ma un luogo destinato prevalentemente all’ospitalità. “La sua funzione principale consisteva nell’accoglienza ai pellegrini, ai poveri e ai vagabondi.[…] I malati non vi erano accolti in quanto tali, ma perché spesso era lo stato di malattia a determinare quello di bisogno,e quindi la necessità di essere accolti e curati. La malattia rappresentava soltanto uno degli aspetti della povertà. Il momento strettamente terapeutico non ricopriva dunque un ruolo determinante negli ospedali medievali, il cui scopo primario consisteva nel fornire agli ospiti vitto, alloggio e assistenza spirituale.” La figura del medico come professione, invece, cominciò a svilupparsi nel XIII secolo quando,nelle università, si iniziarono ad insegnare le dottrine mediche, che erano un misto di filosofia e dialettica, mentre “l’esperienza empirica veniva svalutata come arte manuale e meccanica, e affidata ai chirurghi.” Le pratiche più umili (salassi, estrazioni dentarie, applicazioni di sanguisughe, cura delle ferite più semplici) erano lasciate ai barbieri, “che spesso rappresentavano gli unici operatori sanitari nelle campagne e nei villaggi.” Altra figura importante era quello dello speziale che “affiancava alla cultura e all’esperienza tecnica nella preparazione dei farmaci, la conoscenza delle altrettanto complesse pratiche mercantili.”

In conclusione, “è incredibile constatare come,nonostante i progressi straordinari delle discipline mediche, gli strumenti a disposizione ai nostri giorni per le prevenzione delle epidemie siano ancora quelli elaborati nel ‘300 a partire dal Nord della Penisola, recepiti tardi dal resto dell’Europa, e adottati con successo fino al 1720, quando l’ultimo cordone sanitario contro la pestilenza di Marsiglia, debellò quasi completamente il morbo dal Vecchio Continente.”

Gianlorenzo Capano