Nicola Labanca e Oswald Übregger: La guerra italo–austriaca (1915-1918)

Nicola Labanca e Oswald Übregger
Ed. Il Mulino
pagg. 379

Per l’Italia e per gli italiani la prima guerra mondiale fu per innumerevoli versi la guerra italo –austriaca che, rispetto all’intervallo della Grande Guerra ( 1914 – 1918), "copre un arco e un’estensione minori:cronologicamente solo il 1915 – 1918 e geograficamente soprattutto, se non proprio, il fronte carsico- alpino-trentino." Cento anni dopo, questo volume raccoglie gli scritti di una dozzina di studiosi delle due nazioni coinvolte dando vita, così, ad « un progetto trasnazionale italiano e austriaco finalizzato a esaminare, studiare e superare i nazionalismi e gli approcci nazionali di un tempo. Un secolo dopo il 1914, e almeno fra le storiche e gli storici, il tempo dei nazionalismi dovrebbe essere finito."

Con l’assassinio del successore al trono austro-ungarico - l’arciduca Francesco Ferdinando – ad opera di alcuni giovani di origine serba, Vienna ebbe il pretesto "per una resa dei conti generale, auspicata da tempo, con l’irrequieto vicino serbo, che attraverso l’azione nazionalistica, minacciava di destabilizzare l’ordine nella province meridionali di lingua slava della monarchia."

La dichiarazione di guerra nei confronti della Serbia del 28 luglio 1914, causò fin da subito una mancanza, in Austria, della manodopera maschile per la produzione interna, in quanto milioni di uomini partirono per il fronte. "Nel settore primario mancavano i cavalli e gli animali da soma requisiti dall’esercito; la produzione di concimi fu ridotta a favore di quella di esplosivi."

L’Italia, che nel 1882 aveva stretto un’alleanza difensiva con Germania e Austria (la Triplice Alleanza), non fu minimamente interpellata al momento della dichiarazione di guerra alla Serbia, e rimase neutrale, anche perché "l’Austria-Ungheria non veniva aggredita dalla Serbia ma dichiarava essa stessa guerra a quello Stato." In cambio della sua neutralità, però, l’Italia cominciò ad esigere da Vienna compensazioni territoriali che però non arrivarono. Pertanto, la dichiarazione di guerra dell’Italia del 23 maggio 1915, preceduta, tre settimane prima, da una rescissione dalla Triplice alleanza, non colse di sorpresa Vienna. Denunciato questo comportamento come un tradimento senza precedenti, esso "influì per anni, se non per decenni, sul modo in cu gli italiani furono percepiti dagli austriaci." D’altronde, nonostante Sidney Sonnino, ministro degli esteri italiano, fosse un convinto triplicista, "le resistenze dell’Austria a qualsiasi concessione lo indussero ad aprire un confronto diplomatico con la Triplice intesa e il processo che avrebbe poi portato l’Italia in guerra.[…]

Il patto di Londra, siglato il 26 aprile con Francia, Gran Bretagna e Russia, impegnò il governo italiano a dichiarare l’inizio delle ostilità entro un mese a fianco dell’Intesa. […] Con questo trattato segreto l’Italia sancì la sua definitiva uscita dalla Triplice alleanza." Le forze austro-ungariche, aventi come capo di stato maggiore dell’esercito il generale Franz Conrad von Hötzendorf, "nonostante le perdite spaventosamente alte, seppero imporsi in ampia misura in ben undici battaglie dell’Isonzo e impedirono a Cadorna di conseguire il suo obiettivo strategico, che consisteva nello sfondamento della linea del fronte per avanzare verso il cuore della monarchia asburgica."

La disfatta di Caporetto provocò, in Italia, la caduta del governo Boselli (che fu sostituito da Vittorio Emanuele Orlando) e la sostituzione del generale Luigi Cadorna con il generale Armando Diaz come capo di stato maggiore dell’esercito. Inoltre segnò il passaggio, da parte dell’Italia, da una guerra offensiva ad una guerra difensiva sulla linea del Piave. "I quasi 120 mila uomini che, fra morti, feriti e prigionieri, l’Austria-Ungheria perdette nell’offensiva del Piave, rappresentarono una perdita pesante, impossibile da recuperare." D’altronde "la disparità demografica, economica e finanziaria dei due blocchi dell’intesa e degli Imperi centrali doveva prima o poi decidere l’esito della guerra." Per l’Italia il risultato di quarantuno mesi di guerra contro l’Austria – Ungheria, contrariamente ad ogni previsione, fu un completo successo militare conseguito "nel corso di una battaglia vittoriosa, dietro la quale stava la somma degli esiti di quei processi virtuosi facendo leva sui quali le istituzioni militari meritarono la vittoria. Cioè, una condotta della guerra strategicamente rinnovata dopo un disastro quasi fatale, la selezione non esente da errori di un corpo ufficiali capace tuttavia di esprimere comandanti più giovani e dinamici, la capacità di rinnovare le risorse umane e materiali impegnate, in cooperazione con gli alleati." E se la guerra costò all’Impero asburgico 1,45 milioni di caduti (su 9 milioni di uomini chiamati alle armi), all’Italia ne costò 650 mila (su 4,2 milioni chiamati al fronte), un tributo di sangue che fu pagato soprattutto dai più giovani: il caduto italiano aveva in media venticinque anni. Se da una parte "la guerra si rivelerà un incentivo all’apprendimento dei rudimenti o all’affinamento della scrittura e i quattro miliardi di lettere che hanno attraversato la penisola negli anni della guerra ne sono la prova," dall’altra accentuò la frammentazione interna,tra nord e sud, tra città e campagna, tra classi sociali e tra movimenti politici, dando l’avvio ad un processo di delegittimazione della classe dirigente, aprendo quel "cammino che avrebbe portato alla crisi del sistema democratico e all’inaugurazione […] dell’era delle tirannie."

Gianlorenzo Capano