Alessandria d’Egitto, 19 dicembre 1941: scacco alla Royal Navy

(di Tiziano Ciocchetti)
19/12/19

Nel suo libro di memorie, l’ammiraglio Andrew B. Cunningham - comandante della Mediterranean Fleet della Royal Navy, nel corso della Seconda Guerra Mondiale - scriveva:

Da qualche tempo sospettavamo che gli italiani preparassero un attacco contro le corazzate. Sapevamo che essi possedevano una specie di motoscafi esplosivi sommergibili che potevano navigare in superficie o immersi, e dotati di dispositivi per sollevare le reti, permettendo il passaggio sotto le normali ostruzioni. Il 18 dicembre (1941, nda) diramai un segnale per avvertire la flotta che potremmo aspettarci, in condizioni atmosferiche tranquille, attacchi contro Alessandria mediante siluri lanciati da aerei, da mezzi navali o pilotati da uomini (si riferiva ai S.L.C, nda).

Tralasciando l’origine della fonte che aveva avvisato l’ammiraglio di Sua Maestà, nella notte tra il 18 e il 19 dicembre 1941, sei incursori appartenenti alla Xᵃ Flotiglia MAS della Regia Marina Italiana, attaccarono la flotta inglese nel Mediterraneo, all’ancora nel porto di Alessandria d’Egitto.

Era a conoscenza di Supermarina che, la Mediterranean Fleet, utilizzava la base egiziana per lanciare sortite lungo le coste libiche per bombardare le retrovie italo-tedesche – soprattutto le linee di rifornimento – e appoggiare i movimenti dell’VIII armata britannica (il 19 novembre era scattata l’offensiva contro le forze italo-tedesche).

Al fine di infliggere un duro colpo al dispositivo britannico, il comandante della Xᵃ, il capitano di fregata Ernesto Forza, pianificò un attacco (operazione G.A.3) contro Alessandria d’Egitto, dove le poche fotografie scattate durante le non facili ricognizioni aeree, mostravano la presenza di due navi da battaglia e di una portaerei.

I sei incursori avrebbero raggiunto dapprima l’isola di Rodi, per poi traferirsi nella base di Porto Lago, sull’isola di Lero, dove si sarebbero imbarcati sul sommergile Scirè, agli ordini del Capitano di Corvetta Borghese, nei cui cassoni cilindrici trasportava i tre maiali che sarebbero stati utilizzati contro le navi inglesi: il 221, il 222 e il 223.

Gli incursori selezionati per l’operazione G.A.3 erano i migliori di cui disponeva la Xᵃ Flottiglia, e tutti già con esperienza operativa.

Gli equipaggi furono così ripartiti: sull’SLC 221, tenente di vascello Durand de la Penne e capo palombaro Emilio Bianchi; sull’SLC 222, capitano del genio navale Antonio Marceglia e sottocapo palombaro Spartaco Schergat; sull’SLC 223, capitano delle armi navali Vincenzo Martellotta e il capo palombaro Mario Marino.

Il piano prevedeva l’avvicinamento dello Scirè alla costa egiziana, a 5 miglia da essa, i tre SLC, sarebbero stati rilasciati in mare, ed avrebbero dovuto compiere una navigazione di poco più di due ore e mezzo per raggiungere l’imboccatura del porto. Già dall’inizio i sei incursori erano a conoscenza del fatto che non sarebbero stato possibile recuperarli; per loro, dunque, c’erano solo due opzioni: la morte o la prigionia.

Il 14 dicembre lo Scirè prese il mare con l’ordine di dirigersi verso Alessandria d’Egitto. Nella tarda serata del 16 giunse un messaggio da parte di Supermarina che comunicava probabile presenza in mare di navi da battaglia. Ritardate attacco di 24 ore.

Il 17 dicembre un ricognitore della Regia Aeronautica sorvolò il porto alessandrino. Borghese ricevette lo stesso giorno un messaggio dal comandante Forza: accertata presenza in porto due navi da battaglia. Probabile portaerei. Attaccate!

La sera del 17 Borghese assegnò gli obiettivi alle coppie di incursori: a de la Penne-Bianchi, la nave da battaglia al posto d’ormeggio n. 57; a Marceglia-Schergat, la nave da battaglia al posto d’ormeggio n. 61; a Martellotta-Marino, la ricerca di una portaerei o, in assenza di questa, l’attacco a una grande nave cisterna, possibilmente a pieno carico.

Alle 20.47 del 18 dicembre lo Scirè venne in affioramento per la messa a mare dei tre SLC e dei rispettivi equipaggi. Da qui cominciò l’avventura dei sei marinai ad Alessandria d’Egitto.

L’SLC 222 di Marceglia e Schergat attraversò le ostruzioni e, una volta all’interno dell’area portuale, assunse la rotta per arrivare addosso al suo bersaglio.

Lungo un molo vennero avvistati due incrociatori, una nave mercantile scarica e la nave da battaglia francese Lorraine. Finalmente, a 300 metri di distanza, emerse la sagoma dell’obiettivo assegnato, la corazzata Queen Elizabeth. La coppia di incursori si portò fino a circa 30 metri dalla nave, a quel punto Marceglia decise di immergersi.

Nel suo rapporto di missione scrive: scendiamo fino a 13 metri ed incomincio a strisciare sul fondo con rotta 180° […] a un certo momento ritengo di essere sotto lo scafo, mando in ricognizione il palombaro che sale per circa 5/6 metri. Ritorna e mi fa segno di proseguire.

Sono in corrispondenza dell’aletta di rollio di dritta, alla quale assicuro l’apparecchio con un morsetto. […] Schergat staccata la carica del maiale mi avverte che si sente male. Termino il lavoro da solo: porto la testa in corrispondenza alla chiglia della nave, l’assicuro con la cima al cavetto a una distanza di un metro e mezzo dallo scafo e aziono le spolette. Sono circa le 03.25.

[…] Mi allontano dalla costa per portarmi in acque profonde, ci leviamo i respiratori, li sventriamo e affondiamo, appesantisco l’apparecchio, metto in moto l’autodistruttore e lo affondo. A moto dirigiamo verso terra.

Alle 04.30 circa tocchiamo terra […].

Alle 06.25 la corazzata Queen Elizabeth venne sollevata a causa di una forte esplosione, avvenuta sott’acqua. La carica del maiale aveva provocato uno squarcio di circa un metro e mezzo di diametro sotto il locale delle caldaie prodiere, mettendo la nave fuori combattimento.

La missione di Martellotta e Marino, a differenza delle altre due, non aveva un obiettivo preciso, ma dovevano cercare di colpire una nave cisterna di grosso tonnellaggio, magari carica di greggio in modo tale da provocare un incendio nelle acque portuali.

Ecco cosa riferisce il rapporto di missione di Martellotta:

dopo circa un quarto d’ora di navigazione sono costretto a togliermi la maschera a causa di un po’ di mal di testa e di forti conati di vomito, ci dirigiamo verso la zona delle petroliere. Ne vedo una grossa e carica che apprezzo sulle 16.000 tonnellate […] decido di eseguire l’attacco in superficie. Mi porto a poppa della petroliera e ordino a Marino di portarsi sotto la carena e stabilire un collegamento il più verso prora possibile. […] quando mi dà il pronti lo richiamo a galla e gli dico di staccare la testa; avviare le spolette e portarle dall’altro capo del collegamento. Marino esegue esattamente: sono le 02.55.

[…] con Marino mi avvio allora per uscire dal porto ed entrare in città. A una barriera siamo fermati e arrestati da alcune guardie di dogana e di polizia egiziana che chiamano anche un sottotenente e dei militari dei Royal Marines.

Alle ore 06.00 la testa esplosiva collocata sotto la carena della nave cisterna Sagona esplose. La deflagrazione coinvolse anche il cacciatorpediniere Jervis che rimase gravemente danneggiato.

L’SLC 221 di Durand de la Penne e Bianchi entrò nelle acque interne della base nemica con le stesse modalità degli altri due maiali.

Oltrepassate le reti parasiluri, i due incursori si trovarono a circa 30 metri di distanza dalla Valiant. Il maiale fu fatto immergere a una quota di 7 metri e diretto verso il centro della nave da battaglia.

Alle 06.06 del 19 dicembre 1941 avvenne l’esplosione della carica dell’SLC 221 sulla fiancata sinistra del Valiant, che causò l’allagamento del compartimento compreso fra le ordinate 29 e 52, il danno risultò esteso per una lunghezza di 24 metri. Dopo 4 mesi di lavori tornò in servizio nell’aprile 1942 e venne destinato alle operazioni nel Pacifico; nel 1943 tornò nel Mediterraneo per sostenere gli sbarchi degli Alleati in Sicilia e a Salerno.

Anche il Queen Elizabeth, dopo estesi lavori di riparazione negli Stati Uniti, tornò in servizio e venne inviato, nel 1944, nel Mar di Giava e nell’Oceano Indiano contro i giapponesi.

L’operazione G.A.3 si concluse con un pieno successo per la Regia Marina. L’alba del 19 dicembre 1941 si leva su una Mediterranean Fleet in seria difficoltà: due navi da battaglia messe fuori combattimento, una nave cisterna e un cacciatorpediniere gravemente danneggiati.

Inoltre, nello stesso momento in cui gli uomini della Xᵃ attaccavano Alessandria, le unità navali inglesi che attaccavano i convogli italiani, incapparono in un tratto di mare minato (posate da incrociatori della Regia Marina). Gli incrociatori Neptune e Kandahar affondarono; l’incrociatore Aurora fu gravemente danneggiato, mentre il Penelope riportò solo danni leggeri. All’Ammiraglio Cunningham rimanevano solo tre incrociatori e una flottiglia di cacciatorpediniere.

In una tale situazione strategica, molti addetti ai lavori si sono chiesti, specialmente nel dopoguerra, come mai la Regia Marina non ne avesse approfittato.

Purtroppo, con i mezzi in dotazione, non si sarebbe potuto fare nulla.

I piani per l’invasione di Malta, spina nel fianco dei convogli diretti in Nordafrica, erano ancora in preparazione.

Le unità navali italiane avevano un raggio d’azione limitato per via della scarsità di carburante, quindi non sarebbero state in grado di colpire le basi inglesi nel Mediterraneo Orientale.

Per di più la guerra nel Mediterraneo era diventata un affare tedesco, e la Wermacht riponeva fiducia solo nelle operazioni aeroterrestri: le forze navali avrebbero dovuto solo garantire la sicurezza dei convogli di rifornimento.

Ritornando all’operazione G.A.3, tutti e sei gli incursori della Xᵃ MAS vennero decorati con la medaglia d’oro al valor militare. È indubbio che essi riportarono la più grande vittoria della Marina Militare nell’arco della sua storia; a tutt’oggi costituisce il miglior risultato, in termini di costo/efficacia, nel campo delle operazioni speciali.

La loro impresa dovrebbe essere narrata nelle scuole italiane, come esempio di valore e sacrificio per la propria Nazione. Tuttavia, il nostro Paese non appare in grado di recepire certi sentimenti.