Prima battaglia dell'Isonzo: La conquista di Quota 142 (Monte S. Michele)

(di Filippo Del Monte)
24/03/20

Ciò che caratterizza il passaggio dalle operazioni del "primo sbalzo offensivo" alla "Prima battaglia dell'Isonzo" è la limitazione degli obiettivi in profondità - quando non la loro definitiva cancellazione - e l'utilizzo delle tattiche della guerra da fortezza; in altre parole la stabilizzazione del fronte dopo i primi scontri del maggio-giugno 1915.

I nuovi ordini del Comando Supremo impongono azioni lente e successive a discapito della manovra strategica. Quello delle parallele e degli approcci inizia ad essere il sistema preferenziale della tattica italiana; portare i ripari in avanti, fino a distanza d'assalto, è da preferirsi rispetto all'avanzata di slancio. Lo scopo preponderante diventa quello di rafforzare immediatamente una posizione conquistata senza tentare l'inseguimento delle truppe nemiche in ritirata.

Entro la metà di giugno quella che era stata pianificata come una guerra di movimento doveva definitivamente trasformarsi in una logorante guerra di posizione con le stesse caratteristiche di quella in corso sul fronte occidentale, ma con l'aggravio di un terreno decisamente più ostico. Un esempio pratico di questa trasformazione nella dottrina strategica e tattica, compreso l'emergere dei contrasti con le vecchie metodologie, è senza ombra di dubbio la battaglia di Quota 142, durante le azioni per la conquista del San Michele.

Il Comando Supremo aveva identificato nel campo trincerato di Gorizia l’obiettivo principale dell’offensiva che si stava per scatenare: alla 2ª Armata viene affidato il compito di attaccare direttamente il Monte Kuk 611 e la linea Oslavia-Podgora, baluardi del campo trincerato; alla 3ª Armata quello di portare avanti un'azione indiretta di sostegno con la conquista del margine dell'altipiano carsico tra Monfalcone e Sagrado e la sponda sinistra dell'Isonzo in corrispondenza del monte San Michele.

Superare l’Isonzo tra il 23 ed il 24 giugno era stato abbastanza ostico a causa del tiro dell’artiglieria e delle scariche di fucileria contro barchini e ponti; per le truppe italiane il vero ostacolo resta però il San Michele, punto forte del sistema difensivo austroungarico. Questa collina alta 250 metri, di forma irregolare e circondata da cinque ripidi speroni rocciosi, per la sua posizione (nel mezzo tra Gorizia ed il Carso) è il nerbo del sistema difensivo austriaco nel Basso Isonzo e la sua perdita significherebbe aprire agli italiani la strada per la piazzaforte goriziana e, da lì, per Trieste.

La battaglia per la conquista del San Michele dunque assume in questa fase una importanza superiore rispetto all'azione principale condotta dalla 2ª Armata. A causa del terreno roccioso gli austriaci sono riusciti a scavare trincee profonde solo fino al ginocchio rinforzando poi blandamente la linea difensiva con muretti a secco di pietra e terriccio, mentre con delle fronde sono stati occultati i reticolati. Nonostante l'approssimazione delle opere difensive, gli austriaci (foto) hanno un considerevole vantaggio in quanto dispongono di mitragliatrici mentre gli italiani no.

Le operazioni contro il Monte San Michele vengono affidate alla XIX Divisione che comprende la Brigata Pisa (Reggimenti di fanteria 29° e 30°) a cui viene ordinato di avanzare su Quota 142, tra i cinque speroni del San Michele quello più vicino alla testa di ponte di Sagrado. Alle 06.00 del mattino del primo luglio, mentre un violentissimo temporale fuori stagione s'abbatte sul Carso, i soldati italiani attraversano i fianchi boscosi di Quota 142. Poiché la notte prima l’utilizzo dei tubi esplosivi contro i reticolati nemici non aveva sortito effetti, alle 07.00 riprende il tiro d’artiglieria. Il rombo dei cannoni accompagna i soldati italiani in marcia sotto la pioggia battente. Verso le 08.00 il sole torna a splendere sul San Michele ed in cielo si può notare, una volta diradata la foschia, un arcobaleno. Pare di buon auspicio. In una distesa di erba e rocce i soldati riposano per qualche ora; bisogna asciugarsi e scrollarsi di dosso la spossatezza. Il bel tempo consentirebbe agli italiani di attaccare Quota 142 alle ore 09.00, proprio come pianificato. Attorno alle 08.30 parte dal comando l’ordine di allungare il tiro dell’artiglieria. Le difficoltà di collegamento però sono tante e risulta difficile comunicare ai fanti in marcia tra Bosco Lancia e Bosco Cappuccio di tenersi pronti entro mezz’ora.

Solo alle 12.00 viene dato l'ordine di prepararsi all'assalto: i soldati formano una linea poggiando a terra un ginocchio mentre gli ufficiali rimangono in piedi con le sciabole sguainate. La formazione è un perfetto esempio di quanto codificato dal generale Cadorna nelle sue istruzioni tattiche per la fanteria. Bisogna attaccare il ripido pendio di Quota 142 allo scoperto, con 35 kg d'equipaggiamento sulle spalle e sotto il fuoco incrociato delle mitragliatrici che nemmeno si riescono a vedere. Senza contare che l’artiglieria austriaca posizionata nella piana di Savogna è pronta a colpire sui lati i fanti al momento dell’attacco.

Quando arriva il segnale, l'urlo "Savoia!" prorompe nel silenzio mortifero e la fanteria italiana scatta come una molla all'assalto. Gli ufficiali brandiscono la sciabola con la mano destra e con la sinistra reggono il fodero per evitare di inciampare mentre i soldati fanno fatica a muoversi sotto il peso degli zaini. La massa grigioverde diventa da subito un bersaglio privilegiato per gli austriaci che, dopo pochi secondi, aprono il fuoco falcidiando gli ufficiali mentre i soldati, carponi, cercano un disperato riparo. Il primo attacco italiano al San Michele finisce ancora prima di cominciare.

Nel pomeriggio un secondo attacco viene fermato dal fuoco dell'artiglieria italiana che, con alzo troppo basso, finisce per colpire le linee amiche. Le operazioni si interrompono momentaneamente a causa di una nuova violentissima scarica di pioggia dando così tempo alla Brigata Pisa di riorganizzarsi. Dopo il temporale gli italiani attaccano a gruppuscoli la collina ed i mitraglieri nemici non hanno più la facilità di tiro precedente.

Quando i fanti dalle mostrine nero-verdi riescono a balzare oltre i muretti a secco è strage di nemici. Nel corpo a corpo l'ufficiale italiano armato di sciabola è superiore all'austriaco, così come il fante italiano è meglio addestrato nell'uso della baionetta rispetto al suo nemico. Le lame finemente incise delle sciabole e quelle grezzamente brunite delle baionette sono invermigliate di sangue ed il terreno cosparso di cadaveri bosniaci in uniforme asburgica.

La battaglia del San Michele era appena iniziata, eppure a Quota 142 sembrò evidente come, in determinate occasioni, i principi contenuti in "Attacco frontale e ammaestramento tattico" - seppur "emendati sul campo" dai comandanti di plotone e di compagnia con l'ultimo vittorioso assalto a Quota 142 – restassero validi.

A Quota 142 si era consumato uno dei primi episodi - e ce ne saranno molti altri durante la "Prima battaglia dell'Isonzo" - della difficile convivenza tra una mentalità tattica rigidamente offensiva ed una strategia che stava ormai cambiando pelle per assumere i tratti tipici dell’arte ossidionale. Una sintesi infelice che, in sostanza, rappresenta la cartina al tornasole di quei difetti - ancora in nuce - che avrebbero costituito più avanti una seria limitazione alla gestione della guerra italiana fino alla svolta del 1917.

Filippo Del Monte

Bibliografia essenziale:

• L'Esercito italiano nella Grande Guerra (Le operazioni nel 1915) T. II, Roma, 1929

• La Grande Guerra, Emilio Faldella, Milano, 1965

• Attacco frontale e ammaestramento tattico, Roma, 1915

Foto: Salvatore Cuda (immagine apertura) / web