Il poliziotto indagato per la "sparatoria" a Termini: la politica procederà a concrete riforme normative?

(di Avv. Marco Valerio Verni)
05/07/21

Come ormai noto, la procura di Roma avrebbe aperto un’inchiesta sulla "sparatoria alla stazione Termini" dove un agente di polizia ha ferito un extracomunitario armato di un coltello1: per il primo, sarebbe stato ipotizzato l’eccesso colposo nell’uso legittimo delle armi, mentre il secondo, ricoverato in ospedale, sarebbe già in stato di arresto per minacce e resistenza a pubblico ufficiale, nonché per porto abusivo d’arma impropria, mentre, sempre nei suoi confronti, sarebbe decaduta la contestazione afferente al tentato omicidio2.

A seguito di ciò, si è scatenato, come prevedibile, il putiferio mediatico e politico, a difesa, nella quasi totalità delle opinioni espresse, del poliziotto coinvolto: commenti come “un paese che funziona al rovescio”, “non doveva essere indagato”, “ora si dovrà pagare un avvocato, mentre l’altro sarà difeso a spese dei cittadini”, ed altri di simile contenuto, hanno trovato spazio, infatti, nelle parole espresse da comuni cittadini sui social, da opinionisti nei talk-show, financo da alcuni politici in certe loro dichiarazioni.

Prendendo spunto da quanto sopra, cerchiamo di fare ordine: innanzitutto, che l’agente autore dello sparo sia stato indagato è un “atto dovuto”. Ogni fatto, per quanto possa sembrare chiaro nella sua dinamica, e magari “comprensibile” a livello umano, necessita comunque di un accertamento giudiziario che permetta di constatare con certezza che, effettivamente, esso si sia svolto “nel rispetto delle regole”. E ciò, a prescindere da chi ne venga coinvolto: anzi, il fatto che i soggetti che ne siano stati in qualche modo gli attori, vengano iscritti in quello che, giornalisticamente, viene definito “registro degli indagati”, permette a costoro di potersi avvalere di alcune garanzie che, al contrario, non avrebbero, e di svolgere, chi di dovere, le relative attività procedimentali.

Attenzione: con ciò non si vuol dire che ciò non possa “turbare” o che, appunto, come nel caso di specie, non possa causare lo sdegno popolare. Ma, come detto, a garanzia di tutti, è un doloroso, ma necessario passaggio.

Rischiano di sviare e di creare disinformazione, dunque, coloro che gridano allo scandalo, soprattutto quando si tratti, come detto, di politici: costoro, anzi, dovrebbero farsi guidare dal rigore istituzionale e, semmai, ricordarsi di dover essere loro a creare delle leggi il più possibile giuste ed eque, a migliorare quelle esistenti ed a colmare gli eventuali vuoti. Ma, come altri recenti fatti di cronaca hanno dimostrato, sembrano averlo spesso dimenticato, ormai.

Quanto, poi, al fatto che il poliziotto si dovrà, “pagare le spese per la sua difesa”, occorre, anche qui, far chiarezza, e, semmai, cogliere l’occasione di quanto accaduto per migliorare, ove necessario e possibile, la normativa al riguardo.

Cosa prevede quest’ultima?

In linea generale, tutti i dipendenti pubblici - ivi compresi, dunque, gli stessi poliziotti - se è vero che, ove sottoposti a procedimento giudiziario debbano “anticipare” le risorse monetarie utili alla propria difesa, è altresì vero che, ove all’esito dello stesso dovessero risultare “assolti”, potrebbero esercitare l’azione di rivalsa nei confronti dell’Amministrazione di appartenenza. Cosa che, chiaramente, non accadrebbe in caso di condanna.

Per il personale di Polizia, nello specifico, sono due le disposizioni al riguardo: la prima, di carattere specialistico o settoriale, è l’articolo 32 della legge del 22 maggio1975, n.152 (“Disposizioni a tutela dell’ordine pubblico), secondo cui

“Nei procedimenti a carico di ufficiali o agenti di pubblica sicurezza o di polizia giudiziaria o dei militari in servizio di pubblica sicurezza per fatti compiuti in servizio e relativi all'uso delle armi o di altro mezzo di coazione fisica, la difesa può essere assunta a richiesta dell'interessato dall'Avvocatura dello Stato o da libero professionista di fiducia dell'interessato medesimo. In questo secondo caso le spese di difesa sono a carico del Ministero dell'interno salva rivalsa se vi è responsabilità dell'imputato per fatto doloso. Le disposizioni dei comuni precedenti si applicano a favore di qualsiasi persona che, legalmente richiesta dall'appartenente alle forze di polizia, gli presti assistenza”.

La seconda, avente portata più ampia e di carattere generale, in quanto valida, come più sopra accennato, per tutti i dipendenti statali, è contenuta nell’articolo 18 del Decreto Legge 25 marzo 1997, n. 67, convertito nella Legge 23 maggio 1997, n. 135, (rubricato “Rimborso delle spese di patrocinio legale”), a mente della quale

"Le spese legali relative a giudizi di responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con l'espletamento del servizio o con l'assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità, sono rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dall'Avvocatura dello Stato. Le amministrazioni interessate, sentita l'avvocatura dello Stato, possono concedere anticipazioni del rimborso, salva la ripetizione nel caso di sentenza definitiva che accerti la responsabilità."

A ciò, si aggiunga che, per i medesimi soggetti, ossia gli appartenenti alla Polizia di Stato, vi sia anche la possibilità di chiedere un “anticipo delle spese”, grazie a quanto previsto, normativamente, dal D.P.R. n. 51 del 16 Aprile 2009 (“Recepimento dell’accordo sindacale per le Forze di polizia ad ordinamento civile e del provvedimento di concertazione per le Forze di polizia ad ordinamento militare, integrativo del decreto del Presidente della Repubblica 11 settembre 2007, n. 170, relativo al quadriennio normativo 2006-2009 e al biennio economico 2006-2007”) e, in particolare, all’art. 21 dello stesso, laddove si afferma che

“(…)2. Ferme restando le disposizioni di cui al comma 1, agli ufficiali o agenti di pubblica sicurezza o di polizia giudiziaria indagati o imputati per fatti inerenti al servizio, che intendono avvalersi di un libero professionista di fiducia, può essere anticipata, a richiesta dell'interessato, la somma di 2.500,00 per le spese legali, salvo rivalsa se al termine del procedimento viene accertata la responsabilità del dipendente a titolo di dolo”.

Ciò detto, però, non sembrano mancare le criticità che, per l’appunto, vicende come quella in commento, dovrebbero servire a riportare sotto i riflettori. E vediamo quali sono.

Intanto, se da una parte, il rimborso, giustamente, è subordinato al fatto che il procedimento al quale esso si riferisce - poi concluso con sentenza passata in giudicato, o altro provvedimento, che escluda ogni responsabilità - sia stato promosso nei confronti del dipendente per atti o fatti connessi con l'espletamento del servizio o con l'assolvimento di obblighi istituzionali, dall’altra parrebbe che

“(…) in diverse occasioni, i dinieghi sono stati motivati con l’assenza di connessione tra il fatto ed il servizio, la non riconducibilità ai fini istituzionali della condotta tenuta come pure la mancanza di adempimento di un dovere legato alla pubblica funzione. Non di rado questi rilievi sono basati sugli esiti di un procedimento disciplinare, relativo alla vicenda giudiziaria, conclusosi con l’applicazione di una sanzione, mediante il quale viene sostanziata la presa di distanza dell’Amministrazione dal comportamento contestato al dipendente”3.

Ma vi sarebbe di più:

“Da un lato vi è l’interpretazione particolarmente rigida e restrittiva del contenuto letterale delle norme operata dall’Amministrazione in sede istruttoria, in parte supportata da pronunce su ricorsi a fonte di precedenti dinieghi e, molto più spesso, indotta dalle statuizioni dell’Avvocatura dello Stato. Infatti l’organo di difesa erariale, in sede di parere, obbligatorio nel caso dell’art.18 e di prassi per uniformità in quello del 32, sovente non si limita ad esprimersi sulla congruità della somma richiesta, il quantum, ma effettua anche valutazioni sull’ammissibilità del rimborso, l’an debeatur, esprimendosi con prospettazioni paralizzanti per i decisori preposti, i quali frequentemente respingono una gran mole di richieste, avendo da una parte la minaccia incombente del possibile danno erariale e dall’altra lo scudo del parere dell’Avvocatura dello Stato. Il secondo elemento di criticità è rappresentato proprio dal calcolo, quasi insindacabile, del quantum effettuato dal predetto Organo tecnico, il cui ammontare è inferiore, non di rado e specie nei casi più gravi e complessi, ad oltre la metà dell’importo quantificato dal difensore di fiducia”.4

Altro elemento critico, poi, è che il “rimborso” non spetterebbe nel caso in cui il giudizio si dovesse concludere con una pronuncia di intervenuta prescrizione del reato o con la formula dubitativa di cui all’art.530 c.2 del c.p.p.: anche sul punto, si dovrebbe intervenire, sull’ovvia evidenza che, quanto alla prima (la prescrizione), in particolare, quando intervenga, non dipenda affatto dall’imputato e che, sebbene ad essa si possa rinunciare, in molti casi ciò non accada proprio a causa della sofferenza che lo stare “sotto processo” per un tempo infinito possa comportare (come si dice “il processo è esso stesso una pena”).

Anzi, a tal riguardo, occorrerebbe che, soprattutto in episodi come quello in commento, i relativi accertamenti giudiziari si concludano nel più breve tempo possibile, nell’interesse tanto dell’operatore di Polizia coinvolto, quanto della collettività tutta (anche qui, d’altronde, il nostro sistema prevede, almeno in teoria, delle “corsie preferenziali” quando si abbia a che fare con determinati reati: vedasi quelli elencati nel c.d. Codice Rosso).

Una regola, si intende, che dovrebbe valere per tutti, ma che spesso, anzi, viene disattesa: si pensi alle tante richieste di archiviazione che si trasformano in provvedimenti definitivi a distanza di molto tempo dal fatto contestato, e alle innumerevoli udienze preliminari che, lungi dall’essere quel “filtro” voluto dal legislatore per evitare processi inutili, si riducono nella maggior parte dei casi a meri passaggi burocratici (anche per procedimenti che poi, sfociati nel dibattimento, si concludono, per l’appunto, con un nulla di fatto), con le ovvie conseguenze che, chi ne è coinvolto, si trova a subire, sotto diversi aspetti (d’altronde, non è un caso se la riforma della giustizia, e del procedimento penale in particolare, sia uno dei cardini del recente Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza redatto dal nostro attuale Governo e presentato alla Commissione europea per ricevere parte dei fondi previsti dal programma Next Generation Eu, atto a fronteggiare la crisi pandemica che, in questi lunghi mesi, ha sconvolto il mondo).

In tale ottica, per converso, appare anzi opportuna la sempre più pressante esigenza, divenuta ineludibile, di dover intervenire sulla responsabilità civile dei magistrati perché, generalmente parlando, si assiste ormai troppo spesso a persone che, già pregiudicate, si ritrovino a delinquere in maniera seriale, perché magari, in precedenza, tenute in libertà a seguito di una “pena sospesa” del cui istituto, evidentemente, si è, nel tempo, finito per abusare: a seguito, lo si ricorda, di una scelta discrezionale del giudice di volta in volta chiamato a decidere che, evidentemente, laddove abbia compiuto una valutazione errata è- o dovrebbe essere- naturale che ne sia chiamato a rispondere: soprattutto nei casi più gravi.

Tornando al caso in commento, peraltro, ed estendendo il ragionamento a tutti gli altri simili, accaduti e che, purtroppo, continueranno ad accadere (fintanto che, almeno, non si modifichi qualcosa), sarebbe altrettanto un atto dovuto quello che si inizi ad indagare anche sui motivi per i quali, soggetti come quello fermato a Termini, nelle circostanze dette, siano liberi di camminare per strada con un coltello in mano.

Da quanto sembra, infatti, costui “si era già reso responsabile di alcuni episodi che ne avevano connotato la pericolosità sociale: in passato aveva danneggiato alcune statue sacre presenti in alcune Chiese di Roma, manifestando poi ai poliziotti atteggiamenti di odio nei confronti della religione cristiana”.

Inoltre, ad aprile 2020, a quanto pare, era stato sorpreso più volte in piazza San Pietro e denunciato per resistenza e minaccia a pubblico ufficiale nonché per offesa a una confessione religiosa e nel giugno di quest’anno è stato nuovamente denunciato per danneggiamento e lesioni in quanto resosi responsabile di lancio di bottiglie contro il centro islamico di Via San Vito a Roma; circostanza in cui è rimasto ferito anche l’imam.

Sulla posizione del cittadino straniero, irregolare sul territorio italiano, sono emerse difficoltà legate all’attribuzione della nazionalità dovute alla mancata conclusione delle procedure di riconoscimento presso le Autorità Consolari del Gambia, Costa d’Avorio, Nigeria e Ghana avviate nel 2017 che hanno reso non eseguibili le procedure di espulsione a suo carico5.

Oltre ad “andare a trovare il poliziotto indagato”, si muoverà davvero la politica, procedendo a concrete riforme normative?

Ai posteri (speriamo non troppo posteri, però) l'ardua sentenza.

3 “Il poliziotto e le spese di giudizio”, pag. 11, SILP Magazine.

4 “Il poliziotto e le spese di giudizio”, pag. 10, SILP Magazine.