Come noto, la NATO è nata (passi lo scioglilingua) nel 1949 come organizzazione di mutua difesa tra Belgio, Canada, Danimarca, Francia, Islanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, UK e USA. Dodici paesi ai quali, con un progressivo allargamento verso est, si sono aggiunti nel '52 Grecia e Turchia; nel '55 la Germania; nell' '82 la Spagna; nel '99 Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria; nel 2004 Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia e Slovenia; nel 2017 il Montenegro e nel 2020 la Macedonia del Nord. Trenta nazioni alle quali, fatto 30 facciamo 31, pare si aggiungerà l'Ucraina e, infine, la Svezia e la Finlandia (a condizione che questi due paesi ancora in lista di attesa consegnino ad Erdogan i dissidenti curdi ai quali in passato è stato concesso asilo politico).
Comprensibile che questa inarrestabile pressione della Nato contro i confini occidentali dell'URSS/Russia non sia stata gradita né da Putin né dai suoi predecessori; significativo che anche il Vaticano abbia stigmatizzato l'abbaiare del “cane” NATO sempre più vicino ai confini russi. È altrettanto noto che nel 1992 sei paesi del Vecchio Continente, tra cui l'Italia, diedero vita all'Unione Europea, alla quale oggi aderiscono 27 stati tra i quali non figura, neanche qui, l'Ucraina.
A differenza della NATO, l'Unione Europea ha tuttavia sviluppato con la Russia forme di collaborazione e accordi commerciali, primo tra tutti la fornitura di prodotti petroliferi vitali per molte industrie europee. A questo punto, considerato che l'Ucraina non è membro di nessuno dei due organismi internazionali citati, potrebbe essere lo stesso “cane” Nato a chiedersi: “Perchè oggi abbaio contro la Russia? In fondo non ho abbaiato nel 1956, quando fu invasa l'Ungheria, né in seguito quando la Turchia si accanì contro il popolo curdo e neppure nel 2014, quando 14.000 ucraini filo-russi furono eliminati da loro connazionali capeggiati da un partito di ispirazione nazista. Sotto un certo aspetto”, prosegue il cane nella sua riflessione, “Putin sta reagendo al provocatorio avvicinamento delle basi Nato ai confini russi così come Kennedy reagì nel 1962, quando Krusciov tentò di installare una base missilistica a Cuba. Ma se allora abbaiai contro chi premeva contro i confini degli Stati Uniti, perchè oggi abbaio contro chi a sua volta subisce una pressione analoga da parte degli Stati Uniti?”
È innegabile che alla base della cosiddetta denazificazione delle province filo-russe dell'Ucraina ci siano interessi economici che Mosca intende difendere, ma è altrettanto vero che anche dietro la reazione NATO, egemonizzata dagli Stati Uniti, ci siano analoghi interessi americani nei campi del commercio, della ricerca e soprattutto dell'industria degli armamenti.
Sic stantibus rebus per l'italiano medio non è facile trovare valide motivazioni a sostegno delle scelte del governo Draghi nel sostenere l'abbaiare del cane Nato e le sanzioni UE alla Russia. A conferire alla prima di tali scelte l'inquietante dimensione di un'entrata in guerra dell'Italia è stata la decisione di inviare armi ad un paese non-Nato (da parte di un'Italia che, si badi bene, “ripudia la guerra come strumento...” bla bla bla), atto che equivale ad un vero e proprio attentato alla nostra Costituzione.
Analogo attentato all'economia italiana è stato il sottoscrivere le sanzioni UE contro la Russia. Stremata da anni di una controversa gestione della pandemia, di una politica economica imperniata sull'assistenzialismo e sulla privatizzazione del patrimonio pubblico e di una irresponsabile gestione dell'immigrazione clandestina, con queste sanzioni l'Italia si accinge a completare la sua metamorfosi da nazione una volta tra le prime dieci potenze economiche del pianeta in un poese popolato da capifamiglia ossessionati dalle bollette di luce-gas da saldare e da titolari di piccole e medie imprese rassegnati a chiudere bottega. Ciò che rende ancor più incomprensibili le scelte italiane è il non aver previsto il più paradossale degli effetti collaterali delle sanzioni con cui ci si illudeva di mettere in ginocchio la Russia, ovvero la collaborazione del sanzionato nel porre in essere le sanzioni! In altri termini: mentre i sanzionatori programmavano di non acquistare più il gas russo nel giro di un anno o poco più, il sanzionato russo ha ipso facto anticipato i tempi, facendo tremare l'economia europea.
Alla luce di questi sviluppi e di quanto agita le cancellerie internazionali, non ultima la provocatoria visita di Nancy Pelosi a Taiwan, per il cane Nato prende corpo un'ulteriore inquietante domanda: nel caso di una crisi Cina-Taiwan, l'Italia si porrà di nuovo “a rimorchio” dell'abbaiare degli Stati Uniti? Sarebbe oltremodo grave ignorare che dal 1950 ad oggi l'abbaiare USA si è tradotto in 33 conflitti che hanno causato in tutto il mondo 800.000 morti e 33 milioni di profughi. Queste carneficine, inclusa quella perpetrata nel 1999 alle soglie di casa nostra con il bombardamento di Belgrado, non hanno tuttavia avuto tanta eco sulla stampa italiana e internazionale quanto gli attuali combattimenti in Ucraina.
A Washington e a Bruxelles sanno benissimo che Putin e Xi Jinping non accetteranno mai una sconfitta ad opera degli USA, e se Mosca e Pechino dovessero trovarsi con l'acqua alla gola valuterebbero senza esitazione l'opzione nucleare. Nulla di apocalittico, secondo qualche analista: solo qualche ordigno nucleare tattico di potenza simile a quelli già sperimentati dagli Stati Uniti a Hiroshima e Nagasaki; ordigni in grado di colpire un ipotetico campo di battaglia europeo ricco di obiettivi Nato, dai confini ucraini fino ad Aviano e Sigonella. Non si può fare a meno di notare che l'esportazione di democrazia nel mondo da parte degli USA è basata sulla disseminazione nel pianeta di un centinaio di basi militari presidiate da un esercito di soldati.
Da questo quadro emerge inequivocabilmente che gli interessi dell'Italia non solo non coincidono ma contrastano con quelli sia della Nato che della UE. Mentre la prima infatti rischia di trascinare l'Italia in una guerra a difesa degli interessi USA e , in primis, della sua poderosa industria degli armamenti, la seconda punta ad anteporre gli interessi dei grandi gruppi finanziari internazionali e dei vari colossi farmaceutici agli interessi dei singoli stati nazionali, la tenuta dei cui governi viene decisa a Bruxelles e a Strasburgo attraverso operazioni che si ripercuotono sullo spred dei singoli stati.
Oltre all'indifferenza dimostrata dalla UE nei confronti dell'immigrazione che pesa sull'Italia, è inaccettabile che in fatto di politica sanitaria Bruxelles sia riuscita ad imporre all'Italia, grazie a contratti centralizzati gestiti in prima persona dalla stessa Commissaria Europea, l'acqusto di 321.349.808 dosi di vaccino (183.374.253 per il 2021 e 137.974.808 per il 2022). Il fatto che che sia stata la stessa Ursula Van der Leyen a condurre le trattative con il Ceo di Pfizer Albert Bourla, alle cui dipendenze lavorerebbe Heiko von der Layen, consorte di Ursula, dà la misura del groviglio di interesi che ruota intorno alla politica sanitaria comunitaria. A completare il quadro contribuiscono i dati resi noti dal generale Tommaso Petroni, successore del generale Figliuolo: 53,5 milioni di dosi “donate” dall'Italia (nel significato di “disperse”) in Tunisia, Libia, Rwanda, Cambogia, Zambia. Incombe inoltre la scadenza entro il corrente mese di agosto di 3.117.000 dosi. Se poi si considera che in Italia sono state inoculate meno della metà dei 321 milioni di dosi, facile dedurre l'entità del fiume di pubblico denaro gettato al vento!
Quali le vie d'uscita per schivare o quanto meno attenuare queste fosche prospettive per l'Italia? In prima battuta si impone la necessità di seguire l'esempio del Regno Unito e chiamarsi fuori dalla UE; a seguire è indispensabile prendere le distanze dalla Nato e dagli interessi USA che questa organizzazione intende difendere a danno di quelli europei , italiani e tedeschi in particolare. Ma tali indirizzi politici non potranno decollare almeno finchè alla guida del governo saranno delegate figure di spicco del mondo finanziario e industriale internazionale, personaggi peraltro sconosciuti al cittadino/elettore. Nell'esporre questo punto di vista ad un giornalista di un quotidiano nazionale, il 12 gennaio dello scorso anno mi soffermai sullo sconcerto di un militare ottantenne in pensione (tale è chi scrive) nello scoprire di provare, dopo una vita trascorsa a correre incontro o inseguire il pericolo, un senso di paura: paura per la mia Patria, per i miei figli, per i miei nipoti. Bersaglio di quella mia lettera in realtà era Mario Draghi, come precisai in un post scriptum che riporto in stralcio.
P.S. Le confesso che da qualche tempo una paura ce l’ho: si chiama Mario Draghi. Ho la netta sensazione che Draghi voglia far fare all’Italia la fine che ha già fatto fare alla Grecia. Nonostante i peana levatisi a Bruxelles e a Washington, Draghi ha già dimostrato straordinarie capacità nel gettare le basi del suo progetto, a cominciare dalla rapidità con cui è riuscito a mettere gli italiani gli uni contro gli altri (divide et impera), una realtà che tocco con mano davanti alle farmacie, dove tre volte alla settimana accompagno un mio familiare invalido costretto a sottoporsi al tampone-ricatto, pena la perdita del lavoro e dello stipendio... Credo comunque che Draghi sarà capace di ben altro, a giudicare dal fatto che si è circondato di figure inadeguate al ruolo ma certamente fedelissime, dall'abilità con cui ha tirato dalla sua parte sia il mondo dell’informazione, generosamente finanziato, sia una classe politica impegnata a salvaguardare il reddito di cittadinanza, garanzia di voti. Anche la chiesa cattolica, sempre interessata all’immigrazione clandestina, ha supportato il governo (lo stato Vaticano ha persino coniato una moneta da 20 euro raffigurante un giovane che offre il braccio al vaccino sperimentale). Per quanto concerne la magistratura sono da registrare le ripetute delusioni riservate alle aspettative dei cittadini, mentre il mondo della scuola e del sindacato hanno confermato la loro devozione così come il mondo militare ha confermato di essere uso ad obbedir tacendo e tacendo fare di tutto, anche se sotto la nobilitante formula dual-use. Lo ammetto: Draghi mi fa paura.
Non resta che sperare in uno scatto di orgoglio degli elettori italiani e in una brusa sterzata della politica nazionale, perchè il futuro dell'Italia non può identificrsi con le basi Nato nè con i diktat di Bruxelles e di Strasburgo. Anche i militari sono ormai consapevoli che la minaccia dei T55 sovietici pronti a irrompere dalla mitica soglia di Gorizia e raggiungere Milano in 48 ore è cosa d'altri tempi.
Oggi i pericoli per l'Italia sono il disastro economico e il rischio di un ordigno nucleare tattico sul nostro territorio... da qualunque parte esso provenga. Se poi le cosiddette grandi potenze intendono scambiarsi qualche testata nucleare, libere di farlo... ma a casa loro, e non in Europa e tanto meno in Italia.
Nicolò Manca
Foto: U.S Army