Decreto liquidità. Un poderoso colpo di K.O. per le piccole medie imprese italiane

15/04/20

“Vi annuncio, con il decreto appena approvato, diamo liquidità immediata per 400 miliardi di euro alle nostre imprese, che siano piccole, medie o grandi. [...] È una potenza di fuoco: io non ricordo, effettivamente, un intervento così poderoso nella storia della nostra Repubblica.” (Giuseppe Conte)

Con la firma del Capo dello Stato, è ufficialmente entrato in vigore il cosiddetto “decreto liquidità”, che solo poche sere fa era stato pomposamente annunciato dal Presidente del Consiglio con le parole citate sopra. Dopo aver letto attentamente il testo del provvedimento, ritengo purtroppo che questo “poderoso” intervento sia del tutto insufficiente ad alleviare le gravi difficoltà che tutte le piccole medie imprese italiane stanno affrontando in questo momento.

È necessario chiarire subito che il decreto non è solo “farina del sacco” del nostro governo, poiché in realtà implementa nel nostro Paese le comunicazioni della Commissione Europea datate 19 marzo 2020 e 3 aprile 2020 recanti un “Quadro temporaneo per le misure di aiuto di Stato a sostegno dell’economia nell’attuale emergenza del COVID-19” e successive “Modifiche”. Dunque le critiche che vengono mosse al decreto in questo articolo sono rivolte al Governo Italiano ed alla Commissione Europea in egual misura.

In buona sostanza il decreto da un lato potenzia lo strumento del “Fondo centrale di garanzia PMI” per quanto riguarda gli aiuti alle imprese più piccole, dall’altro dispone che la società “SACE S.p.A” possa emettere a favore delle banche garanzie su prestiti che queste ultime erogheranno alle imprese più grandi. Così facendo, la SACE, che è una società pubblica del gruppo Cassa Depositi e Prestiti specializzata nel sostegno all’export, viene trasformata in una vera e propria agenzia di intervento finanziario statale nell’economia italiana.

Fin qui non ho nulla da eccepire: anzi, nel contesto eccezionale di profonda crisi economica dovuta alle misure sanitarie che sono state necessariamente adottate per contrastare la pandemia di COVID-19, una forma di aiuto di stato alle imprese private diventa fondamentale per garantire la tenuta del tessuto economico e sociale del nostro Paese. In queste circostanze, sembra appropriata la scelta di affidare la responsabilità decisionale sull’erogazione di questi aiuti ad una società pubblica come SACE, che già deteneva le necessarie competenze di valutazione creditizia delle aziende.

Purtroppo però, a mio parere l’impianto generale del decreto contiene quattro gravi errori che rischiano di debilitare enormemente le possibilità di questo provvedimento di centrare i propri obiettivi.

In primo luogo, contesto la scelta di far transitare questi aiuti attraverso i canali finanziari tradizionali, cioè le banche. Nel decreto approvato, infatti, l’azienda interessata ad un finanziamento garantito da SACE deve prima farne richiesta alla banca, la quale tratterà la richiesta secondo le proprie procedure interne; solo una volta ottenuta la delibera della banca quest’ultima trasmette la richiesta a SACE che procede ad un secondo esame della richiesta e all’emissione della garanzia. Questa “doppia procedura” a nostro avviso avrà l’effetto inevitabile di rallentare l’erogazione di questi aiuti. Secondo me, invece, la SACE avrebbe dovuto poter erogare aiuti finanziari direttamente alle imprese (anche a costo di modificare la legislazione europea sugli aiuti di Stato), quantomeno per velocizzare l’effettivo arrivo di questi aiuti.

Secondo, il provvedimento prevede che i prestiti assistiti da garanzia non superino il maggiore tra il 25% del fatturato 2019 e il doppio del costo del personale nel 2019. A primo avviso può suonare lodevole l’intento di legare gli aiuti al mantenimento dei livelli occupazionali, però a mio avviso non ha alcun senso tarare gli aiuti da erogare oggi ai dati di bilancio 2019. In ogni periodo di crisi improvvisa come questo, la sopravvivenza di un’impresa non dipende dal fatturato dell’anno prima. Dipende invece dall’avere sul conto corrente aziendale la liquidità necessaria per far fronte alle spese incomprimibili fino a fine emergenza. Per questo motivo secondo me gli aiuti dovevano essere tarati sulle reali esigenze di liquidità di ciascuna azienda ad oggi (e non al 31 dicembre scorso).

Tutti gli imprenditori italiani (più i loro commercialisti ed i loro collaboratori addetti alla contabilità) hanno passato gli ultimi 18 mesi ad affrontare le spese e lo stress legato all’implementazione in tutte le nostre aziende della nuova legislazione sulla fatturazione elettronica. Codesta fatturazione elettronica avrebbe avuto ora un’occasione d’oro di dimostrare la propria utilità: sarebbe stato sufficiente dare a SACE accesso al quadro quotidianamente aggiornato, azienda per azienda, di tutte le fatture emesse verso clienti e non ancora incassate, più tutte le fatture ricevute dai fornitori e non ancora pagate, e SACE avrebbe avuto un quadro preciso, completo e aggiornato delle reali esigenze di liquidità di ciascuna azienda. A mio parere sarebbe stato molto più efficace basare gli aiuti su un tale quadro aggiornato ad oggi dei reali flussi di cassa, piuttosto che su fatturati e costi personale del 2019.

Terzo, per le aziende più piccole che dovranno rivolgersi al Fondo centrale di garanzia PMI si prevedono finanziamenti “comunque non superiori a €25.000”. Ora, per quanto un’attività possa essere piccola, e con modesti costi di gestione, ritengo questo importo massimo assolutamente insufficiente a garantire la sopravvivenza di tutte quelle innumerevoli attività a conduzione personale e/o familiare che sono state gravemente danneggiate da questa crisi.

Quarto (e forse più grave di tutti), è previsto che gli aiuti siano concessi “anche alle aziende che, in data successiva al 31 dicembre 2019, sono state ammesse alla procedura del concordato con continuità aziendale”. Sono profondamente convinto che in un frangente come questo gli aiuti di stato dovrebbero avere come obiettivo imprescindibile non solo il mantenimento dei livelli occupazionali, ma anche il mantenimento dei regolari flussi di pagamento da cliente a fornitore. Qualunque misura che consenta (o addirittura incentivi) strumenti come il concordato che scaricano la maggior parte dei problemi dell’azienda sul creditore non-finanziario (cioè il comune fornitore) sortisce due effetti negativi. Il primo è che anziché aiutare l’azienda in difficoltà la si costringe a propagare i propri problemi alla sua filiera commerciale. Il secondo (e ben più grave in una situazione come questa) è si distruggono i rapporti di fiducia che intercorrono fra clienti e fornitori.

Che ci piaccia o no, l’economia non è fatta solamente di conti economici e flussi di cassa, ma anche e soprattutto di rapporti fra persone, che si costruiscono in decenni e si distruggono in 1 minuto. Questo è vero specialmente in un Paese come il nostro, dove la stragrande maggioranza delle aziende sono guidate non da manager, bensì da imprenditori e commercianti che vedono l’azienda come un’estensione del proprio corpo. E questi imprenditori con ogni probabilità non vorranno più servire il loro cliente dopo aver perso soldi per via del fatto che quest’ultimo è stato indotto dal nostro sistema a ricorrere a strumenti come il concordato. Neppure un domani a crisi finita, semplicemente per “questione di principio”. Questa è la mia paura adesso: che l’utilizzo sempre più diffuso di strumenti come il concordato porti ad una distruzione di rapporti umani fra imprenditori talmente vasta da rendere impossibile qualunque ripresa, anche un domani quando questa crisi sarà passata.

Molti opinionisti in tutto il mondo affermano oramai che i danni economici che questa pandemia ha già arrecato sono talmente profondi da mettere in discussione la sopravvivenza stessa dell’economia di libero mercato così come l’abbiamo conosciuta in Italia e in tutto l’Occidente dalla fine della seconda guerra mondiale fino ad oggi. E non è assolutamente un caso che il decreto liquidità renda definitivo (e non temporaneo) il nuovo ruolo di SACE S.p.A, affermando che “anche in prospettiva futura, superata l’attuale situazione di crisi, nella fase di ricostruzione e anche oltre nel tempo, le garanzie potranno rappresentare uno strumento di intervento pubblico nell’economia”.

È però assai probabile che molti imprenditori affezionati alle loro aziende facciano molta fatica ad accettare la realtà che questa crisi, questa potenza di fuoco, rappresenti in realtà un poderoso colpo di K.O. per moltissime piccole medie imprese italiane.

Paolo Silvagni

(Laureato in economia, ex consulente finanziario, imprenditore)