Gli aiuti da Pechino e Mosca sono davvero gratis?

26/03/20

In questi giorni l’Italia sta affrontando una grave crisi, che mette a dura prova leadership e popolazione sotto molteplici punti di vista (sanitario, psicologico, economico, solo per citarne alcuni). In questa situazione in cui le leadership del paese appaiono, comprensibilmente, confuse e la popolazione ha paura sia per la propria salute sia, soprattutto, per il proprio futuro, potrebbe non essere facile esaminare lucidamente gli eventi che con estrema celerità ci piombano addosso.

Due grandi potenze che non sono annoverate tra i nostri “alleati storici” (intendendo come tali i paesi della comunità euro-atlantica) si prodigano con prontezza a fornirci aiuti. Premetto che qualsiasi forma di aiuto è benvenuta e che è sempre positiva l’apertura di canali di dialogo con importanti “players” sul piano internazionale, come sono, per motivi diversi, Cina e Russia. Non sono un medico e non saprei dire quanto questi aiuti possano essere significativi sotto il profilo sanitario. Peraltro, anche se sotto il profilo sanitario non lo fossero, possono essere molto rilevanti da un punto di vista psicologico e, potenzialmente, anche in una prospettiva geo-politica futura.

Tali aiuti “alieni” assumono ancora maggior rilevanza psicologica perché nella situazione attuale i nostri “tradizionali” alleati sono, a torto o a ragione, da molti percepiti come lontani se non addirittura come ostili.

La politica estera ed economica di Trump ha decisamente allontanato le due sponde dell’Atlantico, compromettendo seriamente sia la coesione della NATO che i rapporti USA-UE. Riguardo all’Italia, in particolare, pesano negativamente anche l’imposizione di dazi sui prodotti italiani (per la problematica Boeing-Airbus, di cui non eravamo parte) e, soprattutto, il ruolo di “grande assente” assunto dagli USA in relazione alle varie crisi nel Mediterraneo Allargato che impattano gravemente sul nostro paese (Libia in primis).

L’UE è da molti descritta come una moderna “fattoria degli animali” dove Germania e Francia sarebbero “più uguali degli altri” e non pare, purtroppo, godere di grande credibilità negli ultimi anni. Senza voler entrare nel merito della fondatezza o meno di tali percezioni, resta il fatto che esse siano oggi abbastanza radicate in Italia.

Le diverse prospettive in materia di politica economica e di flessibilità necessaria per far fronte a situazioni di crisi (senza voler entrare nel merito delle diverse visioni) rischiano di compromettere il legame spirituale degli italiani con le istituzioni europee e con alcuni dei nostri maggiori partners europei, che spesso sono percepiti come componenti della squadra avversaria anziché della nostra.

Si vengono, pertanto, ad abbinare condizioni geo-politiche che ci fanno percepire come infidi e ostili gli “alleati tradizionali” e condizioni psicologiche che potrebbero farci sopravvalutare l’aiuto che ci viene generosamente offerto da altri. Reazione sicuramente comprensibile da parte dell’uomo della strada, ma meno comprensibile ove tale visione fosse acriticamente fatta propria anche dalla leadership politica del paese.

Pechino sta continuando la sua espansione economica a cavallo della “belt and road iniziative” (che noi chiamiamo “nuova via della seta”) e l’Italia rappresenta il “molo naturale” di accesso all’Europa. L’interesse cinese nei nostri confronti non è cosa nuova e la firma di un Memorandum of Understanding tra i due paesi lo scorso marzo ne è tangibile conferma.

La Cina, ovviamente, vuole far dimenticare di essere la nazione dove la pandemia ha avuto inizio, tentando di accreditarsi quale super-potenza il cui sistema sanitario può aiutare gli altri a contrastare il morbo. Bene. Peraltro la Cina è anche una potenza economica bulimica che probabilmente sta già guardando con l’acquolina in bocca ai gruppi industriali e alle eccellenze italiane, pregustando come dopo la crisi potranno essere facile preda di chi (come Pechino) avrà la capacità di investire in un paese che, a quel punto, sarà ben più indebitato di quanto non sia oggi. Al riguardo, dubito che riusciremo a imporre una “golden power” efficace quando avremo l’acqua alla gola. Golden power che, comunque, non potrà certo essere applicata a molte colonne portanti della nostra economia, dalla moda alle infrastrutture turistiche.

Mosca da tempo porta avanti una politica estera molto assertiva e, in varie situazioni di crisi intorno all’area mediterranea, ha saputo accreditarsi quale “protettore” affidabile e fedele dei propri alleati (a differenza degli USA!). La Russia, anziché nel campo economico, si sta imponendo come punto di riferimento politico-militare e potenza capace di porsi quale arbitro nella gestione delle crisi internazionali. È chiaro che Mosca aspiri a sostituire l’influenza USA nel MENA (Medio Oriente e Nord Africa), in ciò molto aiutata dalla politica ondivaga e spesso distratta di Washington (e non solo in epoca Trump). Contemporaneamente, Mosca ha interesse a minare la coesione sia della NATO sia dell’UE (che sono suoi competitors una sul piano militare e l’altra su quello economico). L’Italia è, allo stesso tempo, membro dell’Alleanza (storicamente tra i più fedeli), membro fondatore dell’UE (nel cui ambito resta comunque la terza potenza economica) e “molo naturale” proiettato verso il Nord Africa (dove Putin sta consolidando la sua influenza).

Anche un minimo allentamento del legame tra Roma e gli USA e/o l’UE rappresenterebbe di per sé un successo geo-strategico per Mosca, anche senza alcuna formale presa di posizione italiana a favore della Russia (ad esempio bloccando l’ulteriore proroga delle sanzioni UE).

Ovviamente, né Mosca né Pechino, oggi, ci chiederebbero alcunché. Per contro, mi stupirei se in futuro non tentassero di far leva su un eventuale sentimento di riconoscenza maturato nei loro confronti.

Vi è poi un altro aspetto. Washington non vedrà di buon occhio questi aiuti forniti all’Italia da due potenze di fatto sue “nemiche”. Né li vedranno bene alcuni paesi europei. L’UE potrebbe non essere abbastanza coesa per “farcela pagare”, ma gli USA sicuramente lo farebbero.

Ovviamente ci sono diversi modi per essere membri dell’UE e della NATO e non è necessario, per essere parte del “club” essere tra i soci più fedeli (vedasi il comportamento di Ankara in ambito NATO). Certamente, comunque, ove non lo si sia , se ne devono affrontare le conseguenze (soprattutto se si è “deboli”). Si dirà che NATO ed UE devono entrambe essere ripensate e rinnovate: il legame trans-atlantico è ormai logoro e anche molti “europeisti” non si riconoscono nella UE di oggi. Tutto vero.

Resta il fatto che determinati “aiuti disinteressati” da parte di Cina e Russia possono essere interpretati come una “scelta di campo” sullo scacchiere internazionale, a meno che vengano controbilanciati da atti comprovanti la solidità del nostro rapporto con USA e UE.

Intendiamoci, una scelta di campo tendente ad assumere una posizione più autonoma rispetto a Washington e Bruxelles sarebbe più che lecita, forse anche opportuna, purché fosse una scelta davvero consapevole e se ne fossero valutate tutte le implicazioni e le conseguenze di lungo termine.

Però siamo sicuri che sia così?

Antonio Li Gobbi

Foto: archivio presidenza del consiglio dei ministri / Twitter