La guerra in Ucraina ha evidenziato le gravi manchevolezze dell’Esercito italiano nel campo degli armamenti in dotazione. Si inizia con la lacuna maggiore nel settore dei velivoli senza pilota a controllo remoto. L’Esercito italiano dispone di un solo reggimento abilitato all’uso di droni da ricognizione e da acquisizione obiettivi, quando ogni reggimento di manovra (in particolare fanteria e cavalleria) dovrebbe disporne in proprio. Nel conflitto in corso è emerso, anzi, che tutti i minori livelli dell’arma base dovrebbero avere questa componente per evitare sorprese e imboscate da parte del nemico, riconoscendo di notte e giorno i movimenti delle forze avversarie nel proprio settore d’azione.
Lo stesso dicasi delle loitering munition (L.M.), o droni killer, l’ultimo ritrovato bellico che ha rivoluzionato le tattiche del combattimento terrestre e che ha trovato nel Bayraktar turco in dotazione agli ucraini una delle armi protagoniste del conflitto. Rispetto ai normali droni, le L.M. sono in grado non solo di riconoscere e individuare gli obiettivi dall’alto ma anche di colpirli con testate belliche di varie dimensioni in base alla loro importanza e tipologia. Esistono ormai da anni sul mercato L.M. di tutti i tipi e dimensioni, impiegabili a partire dal singolo fante contro bersagli puntiformi posti a pochi km di distanza fino a lanciatori multi tubi montati su autocarri in grado di proiettare decine di munizioni contro obiettivi come carri armati in movimento entro le retrovie lontane del nemico. Prima del conflitto era stato avviato un programma di acquisizione di L.M. destinate alle sole forze speciali, quando invece se ne dovrebbe auspicare una distribuzione ben più vasta, in modo da dotare quantomeno una batteria ogni reggimento di artiglieria.
Altra grave carenza è quella di armi e di sistemi di guerra elettronica destinati proprio al contrasto delle varie tipologie di droni e più in generale di velivoli (aerei ed elicotteri) volanti a bassa quota. La controaerea dell’esercito, infatti, latita di armi per la difesa di punto e mobile di reparti di manovra e logistici schierati sul campo di battaglia. L’unico sistema efficace in dotazione è il SAMP/T, ottima arma ma impiegabile solo contro obiettivi di generose dimensioni volanti a quote medio-elevate, mentre gli Skyguard-Aspide e Stinger, già destinati alla copertura a bassa quota, sono al termine della loro vita operativa.
Nel campo dei mezzi cingolati da combattimento delle specialità carristi e bersaglieri la situazione è critica e nota ormai da almeno un decennio. I pochi carri armati Ariete e i veicoli da combattimento da trasporto truppe Dardo (foto) ancora in efficienza lamentano la penuria di parti di ricambio e prestazioni belliche non più all’altezza. Concepiti negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, durante la loro vita operativa non sono mai stati ammodernati, tranne l’acquisizione di alcuni kit di corazzatura aggiuntiva destinati al solo Ariete, facendo scemare così la loro capacità operativa.
L’artiglieria è in condizioni migliori grazie al reggimento lanciarazzi a saturazione d’area MLRS e ai tre reggimenti semoventi PZH-2000, sistemi d’arma entrambi di ottime capacità operative e allo stato dell’arte. Discreta è anche la situazione dei restanti reggimenti dotati di cannoni FH70 da 155/39 e di mortai rigati da 120 mm a traino, armi datate, risalenti agli anni Settanta, ma ancora in grado di fornire un rendimento accettabile. Se le sorgenti di fuoco sono nel complesso all’altezza, il problema è costituito dal munizionamento, in quanto gran parte delle scorte dovrebbero essere costituite da granate L15A2 acquistate negli anni Settanta unitamente agli FH70 e ormai al termine della vita tecnica.
I vertici dell’Esercito hanno provveduto ad avviare programmi tesi a colmare, almeno in parte, le lacune sopra citate, in particolare col rimodernamento dell’Ariete e l’acquisizione del missile controaerei CAMM-ER, ma al momento la situazione è preoccupante e non risolvibile in tempi brevi.
F.C.
Foto: U.S. DoD