La crisi ucraina e la conseguente possibilità di un coinvolgimento dell’Esercito italiano in un conflitto ad alta intensità hanno fatto tornare prepotentemente di attualità il problema delle capacità di combattimento dei reparti operativi.
In realtà su questo tema non vi è stato finora un serio dibattito, sottintendendo che le Forze armate sarebbero pronte ad affrontare la nuova minaccia. Ma sarà proprio vero?
In altro intervento sono state evidenziate le numerose criticità dell’Esercito italiano nel campo degli armamenti in dotazione; in questa sede vogliamo parlare di un altro argomento cruciale, quello dell’addestramento, che storicamente è, insieme alla logistica, uno dei punti deboli delle nostre forze di terra.
Nelle due guerre mondiali gli eserciti nemici ed alleati, a fattor comune, hanno sempre evidenziato il buono slancio e l’ardimento dei reparti italiani, specie in offensiva, che però non erano di norma supportati da tecniche di combattimento adeguate ai tempi. In sostanza, soldati ed ufficiali, inferiori e superiori, erano coraggiosi e non esitavano ad esporsi sul campo di battaglia, ma non conoscevano i moderni criteri di combattimento, come, ad esempio, la cooperazione interarma. Peggiore era il giudizio sui vertici e sulla preparazione professionale degli ufficiali generali. Del resto, le peggiori sconfitte italiane, come Custoza, Adua, Caporetto, l’attacco alla Grecia del 1940, ecc. sono imputabili più agli errori e alle imprevidenze dei comandi elevati che allo scarso rendimento dei reparti.
Venendo ad oggi, molti ritengono che con la professionalizzazione dello strumento si siano risolti d’incanto gli atavici problemi dello scarso addestramento al combattimento delle truppe.
Approfondendo la questione emerge, invece, che i generali di brigata, anche quelli della riserva, non hanno mai comandato sul campo, in esercitazione con le truppe, una grande unità elementare. Le ultime grandi manovre a livello di brigata, come le esercitazioni NATO “Display determination”, risalgono, infatti, agli anni Settanta ed Ottanta del secolo scorso.
Si è cercato di colmare tale lacuna col ricorso ai giochi di guerra, alle esercitazioni coi quadri, alle simulazioni presso centri specializzati, ma i dubbi sulle capacità di comando in operazioni dei generali rimangono. Il problema della sperimentazione e della validazione sul campo della preparazione dei quadri affligge anche gli ufficiali superiori.
Quanti colonnelli comandanti di reggimento e tenenti colonnelli comandanti di battaglione hanno avuto la possibilità di guidare un gruppo tattico in esercitazione a fuoco o anche solo in bianco? Presumo, purtroppo, ben pochi e per chi ha avuto la fortuna di farlo è stata un’esperienza più unica che rara.
Tale critica situazione è dovuta essenzialmente a due fattori: la scarsità di risorse economiche dedicate all’addestramento e la mancanza di poligoni sul territorio nazionale.
Mentre per lo svolgimento delle lezioni di tiro a fuoco con le armi leggere, ci si è attrezzati con poligoni al chiuso ricavati nelle caserme, per l’impiego delle armi pesanti mancano poligoni di ampiezza sufficiente per contenere la cosiddetta campana di sgombero di artiglierie e missili. I poligoni italiani in cui si può sparare munizionamento da guerra o a corta gittata d’addestramento con cannoni di medio calibro, come noto, sono pochi e generalmente con gravi limitazioni relative alla stagione di utilizzo e alla tipologia di armi di cui è consentito l’impiego. L’utilizzo di simulatori campali può migliorare la situazione ma non risolverla.
Negli ultimi anni si è ricorso all’impiego di poligoni stranieri, ma tale proficua attività non può essere che saltuaria, dati gli elevati oneri di spesa. Le partecipazioni ad esercitazioni NATO all’estero, di recente notevolmente incrementate, hanno certamente avuto ottime ricadute sul livello addestrativo, ma il ridotto numero di personale impiegato (generalmente un plotone o una compagnia), impedisce la generalizzazione delle esperienze apprese in tali contesti internazionali.
Lacune di non poco conto sussistono anche nell’attività addestrativa in centri abitati, nel combattimento notturno ed in zone boscose. Tali criticità appaiono particolarmente gravi proprio alla luce delle esperienze negli attuali scenari bellici, quali quello siriano ed ucraino.
Concludiamo con un’altra domanda provocatoria ma non certo peregrina, date le lezioni apprese nella guerra in Ucraina: quanti equipaggi carri hanno mai sparato colpi da guerra da 120 mm? O quanti si sono addestrati al combattimento urbano? O alla cooperazione in ambiente notturno con la fanteria?
F.C.
Fotogramma: NATO